martedì, dicembre 31

amar cor - ama 'r (il) cor _BUON ANNO NUOVO!

Non finisce proprio così... ma qui comincio:

DICEMBRE, 25:
Core amaro: cerco con gli occhi tra le finestre dei rami nudi, come se lì in mezzo ci fosse l'altra parte del mio cuore...ma non si vede la metà di nulla. Figuriamoci la meta: spogliato d'altri petali, quel pezzo che è rimasto non è certo più leggero.
Eppure mi sembrava d'essere ancora tutta intera, anima mia, anche se mi sono sparsa in giro;  mi rimbocco le maniche, già da sempre troppo corte (ho le braccia lunghe..che ci vuoi fare) che mi fanno venire freddo ai polsi.. o forse a questo mezzo cuore, e inizio a cucirgli una veste di ricordi brevi, per tenerlo al caldo.

Meno crudele e meno esplosivo dell'altro, quest'anno recita la "fine" di una amicizia ventennale: è un finale, intendimi, non di quelli che chiudono veramente. Sappiamo sempre di esserci, io almeno so di essere qui... ma credo che, come lei ha già fatto, chiameremo qualcun'altro (almeno "prima") se avremo bisogno. C'è questa chiusa, quindi, in sordina, senza nessuna lite, senza nessun arrivederci: come se fossimo due personaggi che spariscono dalla storia che l'occhio sta seguendo senza che alcun altro se ne accorga: sul palcoscenico resta solo la coscienza d'aver preso strade che si allontanano,  strade in cui abbiamo alzato il telefono per altre chiamate, lasciando scritto, come sibilato dal suggeritore, un messaggio breve di auguri, e 'l'immenso silenzio che segue ilsapere di non aver altro da dire oltre a quei "Tanti auguri, e felice anno nuovo".
"danke, ebenfalls".

SETTEMBRE Core stanco, prima della vacanza in solitaria. Mi inseguivo sulle le mappe, quasi a mettermi avanti e poi trovarmi lì, cercando di fare in modo di passare a raccontarmi qualcosa; e a lasciare a te un regalo che duri per sempre, e a lasciarti andare un altra volta, mentre me ne andavo eretta, con tutti quei battiti in petto (eh, si, la tachicardia)  cui ne manca sempre uno.
Non sapevo se ce l'avrei fatta, non sapevo come trovarti, salvo allo specchio ogni mattina, e poi ero lì, e dicevo qualcosa contro il muro dove stava il viso che ricordo... e l'uomo sotto la scala mi raccontava delle cose, e sembrava che stesse piovendo. Forse perché frusciavano i cipressi, o erano quelle ali che ci stanno proprio sulle spalle, anche se io a volte dimentico ancora di usarle.
"And now we standing face to face, isn't the world a crazy place"?
Ce ne siamo andati da lì col cuore pieno. E non era tanto pesante.

 Ma prima c'è stata tutta una estate di sole, qualche interessarsi accademico per altri volti, e molte volte il curvarsi verso gli altri a mani tese, ascoltando tutti i piccoli sussurri del mio mondo chiuso ai telegiornali e alle notizie, se non quelle che mi vengono all'orecchio per necessità.
C'è stata molta accademia quest'anno, come se potessi così mettere a riposo il mio solo muscolo involontario, per trovare alla fine un accordo.

E sul finale ecco che qualcosa è sembrato accordare tutti i piccoli dolori e i piccoli piaceri di questo anno, ruzzolato via come un ammasso di pietruzze, in un ticchettare quasi musicale di lune-marte-mercole-giove-vene-sabatodomenica, lune-marte-mercole-giove-vene-sabatodomenica......
 Nuovi personaggi son scesi a sorpresa tra le battute, battendo i tacchi o i tasti, e aprendosi un posto nel copione poco originale di una qualsiasi (- ? -  maddai, si fa per dire!) fine anno... spiegando (non ti pare?) l'abitudine all'artificio dei fuochi: rappresentare la festa degli eventi accaduti, che dirompendo evaporano senza lasciare traccia, se non quel sorriso che, fin da bambini, facciamo nel vedere i fiori lassù nel cielo.


Ecco... Aspettando con gli occhi in alto, raccolgo in una volta sola tutta la mia gratitudine ed il cuore sparso, espanso, in compenso,  preparandomi a innalzarlo per l'ultimo brindisi, e poi lasciarlo andare.

Ci verso dentro quella volta a Matera, che, lavorando, mi sono guadagnata una cena a vino, chiacchiere e formaggio con il miglior amico di una sera.
ci metto i fruscii di lava sul dorso dell'Etna, l'accompagnamento di tastiera ai nostri pensieri quando dialoghiamo con le persone lontane, il bagno nel mare in un'alba di spuma dorata, le voci stonate a cantare con gli amici sulla spiaggia; le corse nel traffico per arrivare in tempo, il tempo preso per rimanersi accanto...
nel calice, o nel cuore, c'è un grazie agli amici di prima,
a quelli che non sono più "boni amichi come prima",
c'è il grazie a tutti quelli che erano amici da prima di conoscerci,
a quelli che a conoscerci siamo più che amici, fratelli.
C'è il Grazie a mio fratello e alla mia sorella-cognata, ai miei carissimi genitori, alla mia nonna che a vederla, non sapresti mai quanto è grande, visto che sta diventando piccola piccola, il grazie a tua sorella, alla mia nuova amica, alla mia buona vita.
Un grazie agli amici di un solo sorriso, di un buon giorno, di una sera, di una conversazione con abbastanza parole, di un testo che non basta a raccontarci, di un racconto che non sai quando finirà, di una fine che..
eccola, sta tutta qua.
E..non è altro che un inizio...
raccolto tutto in una sincronia che non sapevo più sentire: si svuota..si riempie, si spezza, si cuce... si stanca e si lancia, aspira e sospinge.. Ma ci sono tutti i battiti, e le battute, e...
i miei più cari Auguri di felicità, piccole e grandi, di carezze, di mete e di metà, di interi e di vuoti, di ritrovarsi e perdersi insieme...
nel Bene, con senno, allegria e tanta serenità!

Tra i rami, gli occhi si impigliano ai nuovi boccioli, e se quel pezzo (di cuore) che si vede è certo più leggero, il resto non si vede, non perché ci sia solo metà,
ma perché guardo solo un lato, dal centro di un intero.



domenica, dicembre 22

A'm'arcord (ovvero "Ninni")

"Incontrarvi seduti sopra quel treno, tutti [quanti avevamo trent'anni] in meno, come in fondo ad un buco che da nel tempo, e cercare incollando paura e amore, una scusa qualunque per non parlare, se mi guardano in faccia che gli racconto?" (Ninni, R. Vecchioni)

Non ci volevo proprio andare a questo pranzo che, non lo so bene se è il pranzo dei quarant'anni, o quello dei vecchi compagni di scuola.. o sono i vecchi compagni che hanno quarant'anni, tant'è che a me manca ancora qualche mese, e poi, a fare bene il conto dei ricordi, non sono nemmeno certa di averle fatte, le scuole medie. Si, che allora (questo Lila lo ricorda bene), passavo i pomeriggi a giocare con il mio amico del cuore, in mille mondi che nessuno sapeva, e in cui nessun'altro poteva entrare, tranne, qualche volta, la piccola Veronica. 
Qualcuno però se lo ricordava, che c'ero anche la mattina tra i banchi, e poi di sicuro qualche pomeriggio con la nutella in mano e i libri chiusi finalmente, per fare merenda. E mi hanno invitata. 
Naturalmente ho detto subito di no, e non ci sono voluta andare per tre settimane, però l'ho scritto sul calendario, anche se ogni volta che vedevo avvicinarsi i giorni dicevo che non ce l'avrei fatta; eppoi, insomma Roma è così lontana da lì. O così, mi pare che fosse. Forse lo era.
 Forse perché la prima volta, quando abbiamo traslocato, avevo nove anni e nessun modo per andarmene, e quando ci tornavo le ultime volte, nessuno di noi ci voleva più abitare, e se non fosse stato che i miei invece, dovevano stare ancora lì, credo che la valigia fatta a diciannove anni sarebbe stata più grande, e non sarebbe restato nemmeno quel piccolo ricordo felice, quello che alla fine stamani mi ha spinta fuori di casa. 




Si, perché qualcosa, come un'ombra, ma lieve, la ricordo; qualcuno, ma pochi, mi tornano in mente. Eppure, mi dico: "possibile che fossimo solo quattro?..ah no. cinque... con me..". 
Ecco, sono andata per fare i conti. E perché Lila sa che si vive solo ora, e qui, e che si vive davvero solo se consideri che può essere l'ultimo giorno... anche se vivi come se durasse per sempre.
Chiude i libri, che per studiare, chissà perché c'è sempre tempo, una pagina la puoi ri-sfogliare, mentre per il cuore, ci sono i battiti contati, e quelli battuti, non tornano. Si sfogliano, come i rami.

Si veste senza nessun bisogno di essere diversa, questa Lila che si crede di mutare, come gli alberi, da un giorno all'altro, e ora si sente, paradossalmente visto che è un ritorno, come quel giorno che il suo pullman verso le scuole superiori partiva verso Orvieto, e quello dei suoi compagni, nella direzione opposta. Non ci siamo più visti.. (forse eravamo sei? ma come si chiama quell'altro?)...e ora chi sono, quella di allora, o...?

Si veste come se si travestisse, sentendosi solo quella che è, (non puoi farci niente) ponendosi domande interminabili, fino all'ultimo giro di chiave nella toppa, fino al suono dello sportello chiuso con l'allarme (che cosa ci faccio qui?).
Ferma, subito fuori da quell'ultima porta chiusa, si sente ancora dire: "ma chi sto aspettando?"... chi sono...chi erano...chi siamo.


Quando arrivano, gli altri, arrivano quasi tutti insieme, e di quelli che arrivano poco dopo, conoscono la macchina. E di quelli (ah! ma quello non lo avevo visto! e chi è?) che erano già qui, conoscono il volto. 
"Arriva 'la' Lisa", dice qualcuno, e siccome lei me la ricordo, sciolgo l'impasse in un movimento lento ed elastico, che spero non troppo incerto, sul piazzale. Non mi riconosceranno...ma..sono loro...ma chi sono?e... e, cosa gli racconto...e poi...ma se...

"Lila?!" esclama eccitata sorpresa, e davvero felice 'la' Maria, poi l'Ernestina, quella alta, che stava sempre dietro nelle foto. E c'è Tiziano, i maschi si chiamavano senza l'articolo, e "come stai?" (come ci fossimo visti ieri l'altro?!), e Giuliano ("ma che fai ora?")(vedi, qualcuno se ne è accorto che è passato del tempo, almeno per me), e Piero e "la" Romina, e "la" Chiara che abitava su, nella frazione dietro la collina..e Fabio...e...e... 
E ci sono quasi tutti, e uno ad uno mi rispuntano i ricordi, e anche la voce che mi ero scaldata cantando, perché non sentissero il gelo della mia dimenticanza.
E ci sono quasi tutti, e sento che la voce va benissimo, perché mi sgorga dal cuore quella serena felicità delle piccole cose, piccole come ritrovarsi come amici, dopo tanto tempo, perché una volta, anche se non eravamo proprioproprioproprio amici del cuore, quello che ci davamo l'un con l'altra era tutto vero. Era un sentire genuino, come adesso che siamo tornati da strade diverse, abbiamo invece solo per le affinità elettive con uno o l'altro, o magari con nessuno, o magari con l'anima mia o con quei soli pochi veri amici di ora.



Ci son quasi tutti, e so che il mio posto oggi è proprio qui, come allora era il terzo nell'appello, e nel secondo banco a destra, e in prima fila, accovacciata nella foto che hanno stampato sul calendario. 
E loro, loro che (omioddiomasonotuttisposati?!) si sono sempre visti, quelli che non se ne sono mai andati nemmeno in Sicilia, quelli che venivano al Castello in visita, o più tardi per lavorarci, o sono stati a ROma all'Università, loro hanno pensato che ci volesse una foto per tenere questo momento più a lungo; anche se chi ha preso il volo, chi oggi si è ripercorsa le strade, tutte tutte quelle che ricordava, con gli occhi grandi come la prima volta, perché era tutto come allora, ma non lo sapevo più e mi sembrava nuovo (ah! c'è il mercatino di Natale!..ma no, ma no, è il solito mercato della domenica..e i negozi..i negozi sono tutti proprio al posto loro, non come la città che non li ri-trovi nemmeno prima che siano stati aperti.. e fanno sempre turno di apertura la domenica mattina...non come in città da noi, solo da un po' di tempo!), chi aveva dimenticato quanti eravamo, almeno questi non se li scorda più.
E non si scorda, ma quella la avrei trovata anche alla cieca, la vecchia casa, il Castello sulla collina che svetta nel sole sul solito mare di nebbia... e che volevo andare sempre via, e invece non m'è mai sembrato così splendido. Non credo che ricordassi tutti questi colori, in autunno.. proprio come non ricordavo quel sorriso di Chiara, l'aria sempre divertita di A.Maria, le piccole serietà in fondo agli occhi di Lisa, la birboneria Ida, e di sicuro l'ombra nel volto di Tiziano. Ma quella, sono sicura che non c'era.


Sono passati tanti anni, ma pur raccontandoci qualche scorcio della vita fino a qui, saltando tra ieri sera e vent'anni fa, riusciamo a non perderci nel tempo del "come fu", e forse a ri-trovarci davvero..tutti presenti all'appello. Chi l'avrebbe detto...
Suona il timer, quando il momento è perfetto, e Lila si alza, un po' prima degli altri, come si conviene alla gente che va lontano, alla città, e si accomiata, con l'anima calda e tutta una vita, che non sapeva d'avere avuto, dentro: i conti, si dice chiudendoli, e lasciando socchiusa la porta dietro le spalle, tornano tutti. 


Qualunque cosa accada, oggi è stato un dono.

Alla "classe '73, delle scuole medie di G....grazie 
grazie di cuore a tutti,





lunedì, dicembre 9

A Lila piace...

A Lila  piacciono le cose rotonde, che hanno un tempo:un inizio e una fine. Come la passeggiata che ti riporta a casa (per quello ha sempre con se delle scarpette rosse), camminare appoggiati al vento, senza spostarsi, la pioggia che riporta l'acqua al fiume, il fondo del bicchiere (che fosse mezzo pieno o mezzo vuoto).accendere una candela, spegnerla, accenderla di nuovo.

E le

piacciono le cose rotonde senza fine e senza inizio, come gli anelli, gli occhi, il sole e la luna.

E quelle tonde senza inizio ne' fine, come il cielo pieno di stelle, e l'amore.

venerdì, novembre 8

negli ultimi tre minuti

  Non è mai troppo presto, né troppo tardi per credere in qualcosa.
 Si potrebbe pensare che negli ultimi tre minuti, che siano anni o giorni, se non magari mesi stimati da un medico, le persone restino immobili nel loro modus vivendi, e finiscano la loro vita credendo che sia tutta qui, ingiusta o bella, inutile o eccezionale, bianca o nera o a volte ambedue.
Poi, proprio come i cattivi dei film buonisti, o quelli che "dovevo farlo" di qualche giallo considerato scadente, le persone cambiano: proprio lì negli ultimi istanti, come quando nell'esercizio di yoga si raggiunge la perfezione, appena un attimo prima che il timer suoni, così anche nella vita si scopre improvvisamente un senso, e che il senso non è continuare la vita come era, ma morirvi definitivamente, e vivere di nuovo. 
 Si scopre che tutto quello per cui volevamo restare, perché c'è sempre, pare, tanto ancora da portare a termine, non ha ragione di sostenerci nella vita perché era senza ragione, e quello che abbiamo visto essere assente, e in questo caso che racconto è (guarda un po'), l'amore, si concretizza nel cambiamento di se stessi.


IL FATTO
Il mio amico dopo, e paziente prima, ha un tumore che ha consentito ai medici di estirpargli la lingua.
"Ma.... parla?", mi chiedono di solito i curiosi, quando accenno al caso. Si parla.
Il problema, infatti, è farlo stare zitto. 
E non c'è niente da ridere, perché se fosse stato zitto, forse avrebbe saputo dire quello che gli ha dovuto erodere la lingua, perché s'accorgesse del corpo, che manifestava la sofferenza dell'anima .
Parla, ed è una persona atea fino al midollo, socievole, simpatica e di ottima cultura, che ama la musica, le donne, l'arte; amava anche cucinare e mangiare, ma questo non riesce più a farlo come prima. Si alimenta con bibitoni insapori, con dentro giusto quel che serve per nutrire un corpo a cui forse, non ha dato mai il giusto peso. Ora invece è in perfetta forma, e per fortuna, anche l'anima si sta finalmente alimentando bene, e con estremo gusto: 
amputato di una parte di sé, l'amico ha trovato l'amore di una donna, l'amore per una donna. E credo che così, in questo ultimo spazio di mesi concessi dall'ostinazione, quando per comprare un altro pezzo di vita iniziano a togliergli una parte di polmone per via delle metastasi, attraverso lei ha iniziato ad amare Dio.
E ha iniziato a credere. 
Si, perché lui, ateo fino al midollo, razionalista, pessimista per carattere o per gli imprevisti e le separazioni della vita, ha iniziato a credere.
Prima che entrasse in ospedale, abbiamo messo su una festicciola, per brindare (un po' di vino, anche se brucia in gola, riesce ancora a berlo) alla vita con la sua musa e l'altra sua salvatrice, la logopedista amica mia, in una serata calda dell'ottobre romano, nella sua nuova casa, perché non è mai troppo tardi per cercare di cambiare.
"Ci provo", ha detto, lasciando infine il vecchio padre bisbetico ad un isolato da lì, con la badante-che -riposa-la-domenica-e-il-giovedì-pomeriggio.
Ci prova anche a combinarci la cena, ma lui mangia prima, e noi ci presentiamo con i regalini e il vino, e la faccia allegra di chi in ospedale, il giorno dopo, ci va per stare in piedi, non in barella e poi nel lettuccio. 
Ci prova, a dire che sicuramente avrà delle complicanze, e noi lì a dire, maddai-di-che-ti-preoccupi-ormai-superi-anche-questa.
Ci prova a ridere, e intanto scarta la coccinella che gli ho regalato.

UNA SETTIMANA DOPO
"ehi, ragazzo,come ti senti?" gli sussurro tra messaggi e telefonate nei giorni che passano dopo l'intervento.
Bene. Sta proprio bene, e mentre lascia l'ospedale per rientrare a casa, nel pugno stringe ancora quella coccinella che gli ho regalato, perché se l'è portata dietro, che "non si sa mai": tra santini e crocifissi un ateo potrebbe anche morire, ma si può sempre credere che le coccinelle, finché restano appoggiate sulla nostra mano, siano lì per portare fortuna.
E lunga vita.

Non è mai troppo tardi, per credere a qualcosa. Io credo che l'amore, vincerà anche stavolta.

E tanti auguri, amico mio!




martedì, settembre 3

-35 riprendere il viaggio... (102 cose da fare nella vita)

Ho lasciato molte parole appuntate sul calendario tra novembre e qui.
Parole che raccontano fatti, fatte per restare lì, perchè sebbene abbia scritto qualcosa, quello che è scappato tra le date e si è versato su queste pagine, fuori dal cuore, era il racconto di cose fuori dal tempo:  non potevano restare dentro a niente; e le ho riversate e girate per ogni verso, perchè non gli deve restare dentro niente.
Così, dopo aver "saltato nel vuoto senza il vuoto dentro", inizio a riscrivermi da uno spazio senza confine, che inizia con un viaggio, e un viaggio che invece di finire come sempre battendo i tacchi delle scarpe rosse, inizia così: "non c'è nessun posto come casa mia".
La casa però, è dove sta il cuore, dicono.




Così qualche ricordo potrebbe riemergere tra qualche tempo, sul "viaggio della dimenticanza", compiuto con l'amica che piange suo marito, come amica che piangeva il suo amico, ma "compiuto" in Marocco: autenticamente finito là. Un viaggio di carta, nato dal biglietto rimborsato per la nuova Zelanda, e vissuto come se le foto si riproducessero ancora sulla carta fotografica, si è concluso parcheggiando in garage, al ritorno da Fiumicino.
Pertanto può aspettare altri momenti, se mai volesse essere raccontato, anzichè restare riposto nei sottoscala cromatici delle fotografie; quelle, che finiscono con l'essere il miglior ripostiglio per i fatti, restano a segnare le mete percorse, mappa della ricerca di nuove geometrie in cui, specchiandomici, ridisegnavo il paesaggio, e il "passaggio ponte". 
Economico e un po' scomodo, ma ligio al criterio dell' "avventura", sui traghetti" il passaggio ponte è per lo più richiesto per risparmiare, e infatti sul prossimo traghetto, sarà il punto da cui saluterò la mia ultima meta fisica (la Sicilia). Con la metà non fisica però, mi sono accorta ora che questo stretto calle, che connette dentro e fuori, s'era a dir poco interrotto: paradossalmente, invece che dentro me a sbatter la testa in un labirinto egoista, sono rimasta chiusa fuori: sull'estremo in bilico, aggrappata ad un confine che si sbriciolava, Lila percossa dal vento, impigliata al suo ottimismo, è stata la linea di demarcazione tra sée il resto, ma quasi in un altro mondo. A volte, pensava, in un'altra sé. Ma questa è una storia che sarà raccontata altrimenti.

Se invece fossi stata davvero su una nave, in questi mesi, mi sarei sentita nella stiva, o forse naufraga, tanto l'effetto era uguale: la soffocante ristrettezza di alternativa; aspetta e cerca di respirare, (ripeteva quell'ancora di me stessa),  o muori.
Ho respirato. Ho aspettato.
E sono viva. Di nuovo, fino a quel fondo che è "abisso e cielo", perchè l'abisso più grande in cui perdersi è quel cielo di stelle che si intravede tra i pini, e che quando sei in riva al mare a faccia in su, di notte, ti sostiene parimenti alla schiuma di mare di quell'acqua che dietro al solco che lasci "che ritorna eguale"(cfr. Paradiso, Canto I).


Di questo tempo senza me, o meglio, in cui c'era tanta me, tutta dipinta di emozioni confuse, piuttosto un quadro impressionista che una foto, sono le fotografie che mi insegnano, sgranando il reticolo di rughe sottili e fitte, la mappa di tutto il mio andare, per ritrovarmi qui.
Fotografie e parole, che adesso, asciugate dal sole, sono riportate dentro dalla risacca, e si gonfiano, si arrotolano, prendendosi un posto nuovo in questo riprendere la vita... e un viaggio.

C'è già nessuna valigia in cui riportare le cose, e, comke ho detto, prima di avviarmi ho battuto i tacchi delle mie scarpe da viaggio già una volta, perchè il ritorno possa essere più celere.
Spero si ricordino la strada, 'ché non erano servite a rientrare dalla magrebina terra, dato che, per certi versi, non ero mai andata via.

Il bagaglio di questa nuova partenza sono i mobili che hanno cambiato posto, un nuovo ordine per i libri, gli angoli puliti e la dispensa piena dell'aria che, dalle finestre aperte lascia entrare l'ultima estate. Lascia uscire quella che spero essere l'ultima attesa di me. 
E dato che non ci trova altrove, quindi da adesso in poi cercherò di tenermi tutta insieme, il cerchio e il centro, come ditrebbe un altro Pellegrino
E con questo mancato bisogno di andare, a piedi nudi incontro i passi che mi allontanano dalla soglia, e riprendo il conto:
35- riprendere il viaggio con la piena coscienza, e la borsa vuota




  


martedì, luglio 2

un lunghissimo addio e qualche scusa (a Nino Hawk)

  E' passato moltissimo tempo, amico mio
dalla prima volta che ci siamo trovati faccia a faccia e ci siamo scoperti entrambi due metà di uno. L'intero, come sai, alla fine dovevo essere io, ma solo perché sono quella che è rimasta: senza bisogno di sfidare la morte, ma sfidando la vita ogni giorno, cercandola sulle dita, fra i corpi e le anime che mi si muovono intorno riempiendomi sempre più di loro e loro, riempiendosi sempre un po' di me.
  Non rimani mai, se non puoi cavartela. E per potertela cavare, che tu lo sappia o no, devi essere tutto intero. E perché io fossi intera, tu sei andato in pezzi;  perché io potessi rimanere qui, intera... a metà.
  Tu la mia gloria nei cieli, io il tuo cuore sulla terra. Ricordi?

  Ricordi, lo so. Lo so, perché ora che siamo tornati uno solo, tu quel pezzo di anima che mi doveva lasciare affinché mi fosse reso, so che quando ti parlo parlo con me.
  Ogni mio dolore, ogni solitudine sembra essere la tua assenza, ma è proprio questo: è la mia solitudine quella che affronto. Con cui mi confronto, faccia a faccia, e che se fossi diversa da quella che sono, intera a metà, mi spaccherebbe non in due, ma in mille, pezzi, pur cadendo da un punto meno alto di quello che ti è servito perché l'eco e i frammenti arrivassero fino qui.

 La mia solitudine è quella che affronto quando ricordo il primo viaggio che abbiamo fatto insieme, "il viaggio Nino", come lo chiamasti tu, e quello di mezzo, l'ultimo viaggio fisico per arrivare a lasciarti sul confine dell'ambasciata, prima dell'ultimo abbraccio, e molto, molto distante dalle ultime parole che ci siamo detti, dai sogni sussurrati o forse solo sognati.
  E' di questo che volevo scriverti, anzi, dell'unica cosa che non ci siamo detti.
  Perché non sai, che pensavo che se fossimo caduti dallo scooter saresti rimasto qui; e sono stata attenta attenta, 'ché temevo che ti saresti arrabbiato, se ci fossimo fatti male e tu avessi perso il volo. Ti saresti sicuramente arrabbiato, sottovoce, come parlavi tu, ma probabilmente ti saresti così arrabbiato che ci saremmo spezzati, e so per certo che non saresti ancora qui, e io sarei solo metà.
  Ma ti chiedo scusa, perché non ci ho nemmeno provato.
 
  E ti chiedo scusa perché credevo che la morte fosse romantica. La morte di Ayrton, ricordi? la morte ti lascia spesso perfetto, agli occhi di chi resta. E quando ti sei detto tutto, anche quest'ultima piccolezza, ti lascia vuoto e immerso in tutto quello che di bello riesci a ricordare, ma anche a trovare altrove, purché ti rammenti tutta a bellezza di quella perfezione che hai vissuto.
"non c'è niente di romantico, nella morte".
C'è, ma non lo sai, pensavo. E non lo sapevo nemmeno io. E ti chiedo scusa, perchè non ti ho spiegato... che non è solo romantica, è anche dolorosa. Per chi resta naturalmente, finché tiene tutte le cose fuori, anche quelle che devono per forza stare prima dentro e poi uscire, come il dolore e la solitudine.

 E' stato così, lo ammetto. Anche per me, con tutti i corsi che ho fatto, e con tutta la forza che ho messo nelle meditazioni per permetterti di andare. Quaranta giorni. Poi ancora ogni 15 del mese. Poi solo scrivendoti addio sulla tua foto, con quel piccolo mantra akal akal akal.
Preferivo Wahe Guru, ma questo lo sapevi. Così una notte sei tornato in sogno, per riportarmi in volo. Per farmi capire che potevo volare, tenendomi ben stretta, proprio perché tu sei il mio cuore nei cieli, e io la tua gloria sulla terra.
 Sei tornato, non in modo tormentoso come quel fantasma della storia indù, della moglie morta che minacciava il marito e lo ossessionava perchè non si trovasse un'altra donna. Alla fine il maestro gli disse di raccogliere dei sassi, e chiedere la fantasma di contarli; gli disse, il maestro, che se il fantasma avesse risposto significava che era vero, e che non avesse risposto significava che era la mente dell'uomo a crearlo. Il fantasma non seppe rispondere, e non apparve più.
  Sei tornato, come quel fantasma, parto della mia mente, ma per dirmi che andava tutto bene. Per dirmi che finalmente eri libero di volare, anche se ti avevano tenuto tra gli aerei tutto questo tempo; e io ho smesso di meditare, perché il mio cuore ha saputo che tutto è stato fatto.
  E' perfetto, e anche se la mente si ostina a dire no, è giusto. 
 
  Amico mio,
questa mattina ho chiuso la valigia dei ricordi e non è rimasto fuori proprio niente. Nessun dolore incastrato nelle serrature, nessun pezzo di racconto dimenticato nel cassetto, nessuna immagine che non sia quella dello specchio, dentro la mia anima.
 Una immagine che, in fondo agli occhidicielo, ha la sfumatura castana che ho imparato nei tuoi. E nel vestito che indosso come pelle, un po' delle cose che ho imparato da te. E fra i miei capelli, ha quel piccolo vento delle altezze che li rende sempre un po' scarmigliati.
  Ho chiuso la valigia, e l'ho lasciata a terra, perché tutto quello che mi serve, lo porto indosso.
Non metà di uno, ma intera a metà, stringimi bene le cinghie, che ora ricomincio il viaggio.


intera, anche a metà

venerdì, aprile 26

"dimmi babbo, che cos'è la felicità?"

Ci sono storia che iniziano con "c'era una volta", ma non ora.
Questa inizia prima con un "C'E'" una volta: c'è una volta in cui ti guardo negli occhi, come se fosse la prima, e vedo cose che nessun figlio deve sapere. Vedo una storia di non detti e di esperienze, che resteranno le tue, ma hanno segnato le pieghe del tuo sorriso. E questo, è il momento in cui non sono tua figlia, ma quello che io sono: il terapeuta che guarda oltre gli occhi.
Il terapeuta che aspetta oltre il sorriso del "buon giorno", quello felice del "ora va tutto bene", che permette ad entrambi di andare per la propria strada.
Ma non sono il tuo terapeuta, sono tua figlia, e come tale posso dirti, che anche se infuria la tempesta,  siamo qui insieme a guardare il cielo e: "ora, va tutto bene".

C'è una volta in cui un figlio guarda suo padre, e vi scopre un fratello, più che una persona. Si trova che la scelta di fare una stessa strada, anche se non ci fa sedere di fianco, ci fa sedere allo stesso modo. E questo è sufficiente per dirimere ogni apparente distanza, ed ogni idea che uno sia venuto prima dell'altro. Siamo qui insieme, e ogni giorno festeggiamo questo trovarci, e ritrovarci oltre i limiti conosciuti. Anche se ciascuno prende la sua strada, non saremo mai lontani.
E' così che so, che va tutto bene.

C'è una volta, papà, te lo dicevo, in cui non si è più figli. Un giorno in cui la linea di confine da ieri a oggi celebra il momento in cui puoi essere madre o padre, puoi essere sposa o sposo, ma non sei più figlio. Sei solo, e sei il re di te stesso. Quel giorno, è il giorno in cui smetti di cercare perché hai trovato. Il giorno in cui vai, solo per andare. Perché va tutto bene: tutto è giusto e perfetto.

Ogni giorno, da allora in poi, scopri che è così...
anche se poi... c'era una volta,
che mi cantavi le canzone di Antoine. E mi chiedevo:
"a che età si chiede se si ha l'età per cercare la felicità?
E ora che so che la risposta è "ora", ed anche che la felicità è qui, per una volta non ti aspetterò tornare.
Per una volta ti chiedo di lasciarti andare e mangiare in libertà questo frutto che meriti, e che sono sicura sia molto digeribile!
ti chiedo (in grazia dell'Ora e della tua età) e soprattuto ti auguro di restare sempre in viaggio, in quel paese "che si chiama verità", e di non smarrire mai il coraggio, perché la bontà, è talmente tua che non ti mancherà mai. Come il mio infinito amore, ovunque io sia.
Ti voglio bene, e dato che c'è un momento in cui, come dicevo, non si è più figli, oggi lascerò che le tue parole siano sulle mie labbra, non per la buona notte, ma per un buongiorno di compleanno!

http://www.youtube.com/watch?v=-6qwJ_HuMgA





 


mercoledì, marzo 6

Sse l'avesssi ssaputo prima...

Quasi quasi mi morderei la lingua, e tutto finirebbe prima di iniziare...ma come dire, non ci riesco, e una volta scoperto che "hai un'adernza in alto", proprio lì dove la lingua avrebbe bisogno di libertà per esprimerti, puoi decidere di fare due cose: chinare il capo e procedere come sempre, o prendere la solenne decisione di cambiare la tua vita. Come quando accade, e giuro! accade, che qualche "coincidenza" cambi le carte in tavola. Sarebbe da sciocchi non approfittarne per voltare pagina, o magari semplicemente iniziare a raccontare.

L'ho avuto "sulla punta della lingua" per molti giorni, questo post, e ora prende già una piega diversa. Le lettere che prima pronunciavo con indifferenza, si attaccano inseguite dall'attenzione, sul palato, nella gola, sui denti; si arrotolano placide nella lingua, si impuntano più lungamente tra le labbra mentre me le gusto.
Non le parole, le lettere. Non le lettere non scritte, ma proprio quelle piccoline come Bi, di baciare, Di di dolcezza, Elle di lontano, Gi di giocare...e naturalmente, la essse di ssincerità, ssstupore, ssorpresa...Sssi.

L'avevo sulla punta della lingua mentre l'ho "tenuta a freno", almeno per certi versi; perché chi mi conosce sa che posso parlare per ore, attorno a un argomento, ma così attorno che alla fine mi serve una mappa per ritrovarlo. E riesco a tornarci, ma è sempre tutto diverso d prima, e così posso ancora avere da dire...Ore e ore e ore.
Invece, sse l'avesssi ssaputo prima!

Oh ssi, mi ricordo gli scioglilingua che mi facevano fare: "trentatre trentini andavano a Trento tutti e trentatré trotterellando" "sopralapancalacapracampasottolapancalacapracrepa", "Sa chi sa se sa chi sa, che se sa non sa se sa, sol chi sa che nulla sa, ne sa piu di chi ne sa"... Erano un gioco in cui scivolavo con la mia esse moscia, la "sseppola" fischiata appena, che mi sono portata appresso per anni, forse per questo senza aver saputo mai dire prima con assoluta certezza: "sono al sicuro", "sei speciale", "sentimento" e soprattutto "SI!".
Ho detto sempre NO, perché era più semplice. Anche quella volta che...: "ma tu mi sposeresti?"... ehm.. e ora come glielo dico?.. beh, fa niente:"No".

Certo, lo so che non sarei stata felice, ma si fa per dire. E' cominciata così, e sono ancora qui con tutte queste curve che mi cambiano la vita, ad ogni SI che non sapevo dire, forse un po' più lontana dalla meta; forse un po' più vicina, ma sempre in scivolata, che ho paura che quando arrivo non riesco a fermarmi.

E poi un giorno c'è stato un balzo, che mi ha cambiato la vita come le coincidenze incredibili dei film. E ho deciso che avrei preso il toro per le corna e sarei andata avanti; era tutto lì pronto, con i miei guai da scavezzacollo, e il mio collo che ha retto mentre un altro si è rotto. Ho fatto un salto. E l'ho detto bene. E poi, a terra, mi sembrava tutto così facile, ma allo stesso tempo perdevo equilibrio sulle cose... "tutto o Nulla"... si, ma se non fosse solo così, mi sono detta? Se esistesse un modo...un modo per dire non "stai fermo", ma "stai bilanciato?" 
Ho cercato, e ho trovato come cambiare punto di vista: mI metto sulla tavoletta oscillante, sstufa di ssstare male, e di andare per dottori, e insomma i ssoldi, con quante esse li dici, mi piace usarli per viaggiare e molte altre cose.

Quindi... mi metto sulla tavoletta, e scendo molto più in forma, ma non mi basta ancora.
Decido di affidarmi ad un collega, che per un "ciabattino" si sa che è una impresa già di per sé abbastanza eroica.
E il buon amico, mi fa scoprire questo nodo, quassù in alto, fra tutto quello che ho dentro e tutto quello che viene da fuori. Lascio che mi tratti, e poi mi tratto meglio, esercitando questo muscolo speciale, con tante radici embriologiche e cinque nervi che la innervano; e non sto a dirvi altro.
Salgo sulla tavoletta con la lingua "a freno", ma questo significa ora che sta nel posto giusto. E scopro un nuovo equilibrio. Fisico, si, ma che riflette e mi fa riflettere su altro.
Salgo sulla tavoletta e mi diverto, a occhi aperti in equilibrio perfetto. Faccio la linguaccia e resto ancora lì; sorrido, con una esse sola.

Chiudo gli occhi, e ho ancora qualche dubbio..oscillo, mi riprendo. Apro gli occhi e sorrido sempre, con due esse: una per sorrido, una per sempre.
 Mentre a sognare magari me ne tengo ancora due, così posso farlo più a lungo.
E penso... chissà che sarebbe successo se l'avessi saputo prima... ma la prossima volta, saprò dire "stringimi", invece di "vai", "seguimi" invece di "ciao", e magari, anche "SI".

giovedì, febbraio 14

Auguri (a mia mamma)

C'è un tempo in cui tutte le cose che dici sono una collana di perle, con cui adorni le persone raccontandogli ciascuna piccola cosa bella che hai visto in loro. Potrei parlartene, ma non oggi.

C'è un tempo in cui tutte le cose che fai, sono una carezza sulla pelle di quegli anni fieri che ci portiamo addosso; ciascun gesto è un arco di trionfo che si innalza da se stesso e cambia il proprio stesso senso elevandoti oltre il progetto iniziale. POtrei mettere delle fondamenta, ma non oggi.

C'è un tempo in cui le cose che senti rimbalzano tutto intorno, e ti ritornano con allegria, abbracciando anche le piccole solitudini, quelle che sembra non scompaiano mai; quelle che nessuno può colmare perchè sono la naturale distanza fra un punto e un altro. Quel paradosso che ci addanna quando entriamo in relazinoe con gli altri, ma proprio per questo non sanarsi mai rende la vita degna di essere percorsa. Anche se non arriviamo. Partiamo soltanto. Sempre. Però.. non oggi.
 Perchè c'è un tempo in cui i gesti ordinati sono consegnati senza dover pagare il conto.

E' il tempo in cui l'intenzione sorpassa il mio bisogno, si distende oltre la mano che cerca di prendere, e non potendo arrivare a raccogliere quello cui anela, lo sospinge. E lo dona.
E' il tempo che vorrei regalarti; poca cosa, a te che di doni me ne hai fatti tanti. A te che una zucca (anche se mantovananon basta a renderteli tutti; e almeno sapessi mutarla in una carrozza... ma ti accontenterai, lo so. Perché quello che conta nel dono è tutto in quell'allungarsi e spingere...
in quel porgere e porgersi verso l'altro... che poi è tutto quello che serve, secondo me, per un viaggio: il desiderio di oltrepassarsi, e di lasciare indietro per arrivare altrove; e altrove è dove non c'è più tempo, ma solo tutto l'amore d'essere dentro al cuore delle cose, o delle persone.

E' questo che vorrei regalarti. Oggi.


venerdì, gennaio 18

un certo a - dio...

"Che partenza sarebbe, altrimenti?"

Mi sei mancato ancora, ieri,
perché "Io" non posso trovarti
che in quell’angolo di cassetto,
dove è nascosto il profumo di te.
Manchi ancora in alcuni respiri
quando tento, mentre voglio fare a pezzi
tutta la rabbia di questo a(d)Dio;
ma sei andato, e non è il tempo
per salire fin dove ci confondiamo,
e non è il tempo di scendere
perché non posso confondermi
senza perdere quest'anima una,
di cui eri il pezzo mancante, e mancando
e mancandomi, s'é resa io e te, intera.

E arresa al momento giusto di separarsi,
sono qui, sol una, internamente;
divelta all'interno da radici secche
e dilaniata dall'espendermi per percepirti:
eri una stanza segreta, e ora sei
un infinito spazio, quando cercandoti
ti trovo in brandelli di ciascuna cosa
e ti rimetto insieme amando questa dilatazione.
Così manchi alla nostalgia piccola
che ti vedeva andare come l'anima vagabonda,
che si fregiava di frammenti condivisi fragili,
di borse non troppo piene e non ancora vuote,
in cui piegare la mappa delle solitudini,
e appuntare la direzione dei miei viaggi.

Ma ora c'è la strada dietro di me,
che è il luogo dei ricordi
che ci hanno tenuti insieme;
e c'è la strada innanzi a me,
e sono solo una, come un cerchio
che gira, si chiude, e si quadra e gira,
ed è il luogo dove, se non siamo uno
siamo più di due: tu il mio cuore nei cieli,
e io, il mio cuore sulla terra.

Che solitudine sarebbe altrimenti?

Certo, manchi agli occhi e alle mani
mentre accosto le finestre perché lo zefiro
del nostro tempo, ormai tramontana,
cerca di entrare; lo tengo a bada,
incespicando per un attimo senza respiro,
prima di spalancare la porta al nuovo giorno.
Inspiro me, ed espiro te. E respiro ancora.

La tramontana che cambia il cielo
non disegna il tuo corpo in nessun orizzonte.
ma ho caldo in questo cuore spaccato
(tu il mio cuore nei cieli
io la tua gloria sulla terra),
che si raccatta nel suo setto interno
e mi fa tutta intera con il suo solo colpo.
un battito asincrono perché assente
il suono doppio e la traccia dei tuoi passi.
Che partenza sarebbe, altrimenti?