giovedì, luglio 28

Aprire la valigia (e metterci dentro i ricordi - parte VI)

Ormai impresse nella sua storia, ci allontaniamo da Granada,  seminando le nuvole e il freddo;  indeterminate sui tempi delle prossime visite, ma non sulla meta, ci dirigiamo, come previsto verso Antequera.
pena de los Enamorados

Per arrivare attraversiamo una landa che vorrebbe, senza averne la secchezza, assomigliare ad uno di quei deserti americani con i picchi che si lanciano duri contro il cielo terso, e difatti quasi ricordo dell'amore non consumato dell'Alhambra, si materializza di fronte a noi la pena de lo Enamorados, celando ancora brevemente alla vista, la nostra meta. 

La tappa è stata scelta per la presenza dei Dolmen, che introducono un aspetto totalmente diverso nella visione, distante secoli dalle meraviglie Mudejar, allo stesso modo ineguagliabile per la propria bellezza.
 Sono stata a Stonehenge e, forse perchè là si è condannati a girare intorno e lontano alla struttura, lasciando che i corvi s'impossessino del residuo mistico, ma qui mi pare vi sia un tocco in più; quel pizzico di magia che beneficia, per rimanere, della scarsa presenza di visitatori, che consente di restarvi all'interno, in silenzio, godendo degli anfratti della pietra e del ventre della terra. 
Antequera, primo Dolmen
Antequera, secondo Dolmen

Antequera, terzo Dolmen




Antequera, chiesa barocca
Il paese  è un gioco di tetti e pareti bianche, di vicoli e fortezze, fra i cui merli si gode la splendida vista della vallata... vale la Pena!

Comunque decidiamo di farci bastare una chiesa barocca, indicata dalla guida per il tetto particolare, che scopriamo avere una strana delicatezza e un silenzio racchiuso, che sembra d'esser la polpa di noce nel suo guscio, a starci dentro. Te lo gusti, con i suoi saporiti intrecci di stili, che riducono l'impatto generalmente prepotente dello stile puro.

Ci basta così, anche se avremmo voluto curiosare qualche negozietto, ma l'ora è di quelle che inclinano alla siesta i negozianti, indi ci rimettiamo in marcia, verso la penultima notte.
La nostra piccola avventura, una piccola attesa che ha aumentato l'eccitazione del viaggio. E' infatti l'unica notte senza hostal prenotato.
A dire il vero, stanche, accaldate e già incuriosite dalla città, quando arriviamo a Ronda i brividi d'eccitazione sono scomparsi, e manifestiamo il nostro essere in pieno. Io, inessenziale e stanca opterei per il primo posto possibile, pure caro purchè centrale; anzi, magari caro, tanto per viziarci un poco. Lo', che ha agguantato la cartina con i pochi riferimenti presi da casa, indica una qualche Reina Victoria, che suona bene, e anche spendereccio. Madama Dorè, più pratica, mentre vaghiamo tra i numerosi sensi unici perdendo un po' la bussola, ci indica un albergo proprio lì, sopra al posto macchina gratuito in strada. Alla fine si rivela la scelta giusta: carino, economico, spazioso, centralissimo. L'Hotel Molinos ci fornirà anche una colazione tipica (pane tostato e pomodoro... ma giuro: un sacco di spagnoli la usano!); questo tuttavia deve ancora accadere.

Ombre di viaggio
Ora ci affrettiamo per la via, in direzione dei bagni arabi, una delle "attrazioni" che continuano a sfuggirci (a Granada, altrove, e alla fine... anche qui!). Nel frattempo scopriamo il parco sulla rupe, che fa planare gli sguardi giù per la campagna che si distende, allegra e animata, fino alle Sierre circostanti.
Sostiamo per vedere l'Arena deToros, sorprese dal vento freddo che ha rapidamente preso possesso della cittadina, e che raggela il sangue ribollente di rabbia ed orrore, di fronte all'esposizione museale delle stampe e degli abiti inerenti alle Corride. 

Poi, attraverso il ponte, saltiamo nella vecchia città, valicando il baratro in fondo al quale scorre il Guadalevin, più casto e timido del Guadalquivir anche perchè, da questo dislivello che ci separa dalle acque sembra molto silenzioso!

Il nostro destino con i bagni, come accennato, si riconferma rapidamente; nella discesa che vi condurrebbe, affascinata dall'esterno della Casa del Roi Moro, Lo' propone di fermarsi, e il suo ginocchio, dati i nostri tentennamenti, decide che questa visita è prioritaria;  per impedirci d'oltrepassare cotanta decadente meraviglia, si sacrifica alla causa e si incide eternamente sul ciottolato, con l'occasione tranciando di netto il sandaletto acquistato da Lo' a Siviglia.

Dopo un po' di pronto soccorso (corro in Farmacia a comprare Arnica in granuli e pomata), così convinte e nel frattempo adeguatamente edotte su Ronda da un vecchietto del luogo che ha assistito alla scena, "scegliamo" di inoltrarci nella casa fatiscente. 
particolare della Casa del Roi Moro

la Mina



E forse è stato per questo, o per averla scampata con una brutta botta ma nessuna frattura, a parte quella irriparabile della scarpina che non val neanche come monile di cristallo da lasciarsi dietro per un ipotetico principe, o perchè alla fine della lunga discesa nella Mina lo spettacolo è impareggiabile...

sul fondo della Mina


lo Stregatto (poco sorridente)
Fatto è che sulle stradine bianche di Ronda è rimasto un pezzetto del mio cuore; dei nostri cuori. Ombre impresse dalle luci della sera, che non si dilegueranno domani, e che ancora ondeggiano, se guardate bene, sulle scale della Casa, nella passeggiata per il Ponte, in qualche Calle minuscola e affollata di rondini vere e Stregatti da cortile.







il Ponte
Ceniamo italiano (una fantastica pasta alla marinara!), tanto per embricare i due mondi e non porre alcun confine e far patria dell'Andalusia. I sapori si mischiano perfettamente, e senza meno lo stomaco, nostalgico, ne gioisce;  decidiamo che rimarremo anche domani, sacrificando la visita  a Cadice per una esplorazione che cancelli la caduta, ed innalzi i nostri animi oltre i 100 metri del crepaccio fra le due città... in una.

martedì, luglio 19

Aprire la valigia (e tirare fuori il cappotto - quinta parte II )


 Dunque... abbiamo chiuso gli occhi, con ancora l'immagine di ombre proiettate dal sole che allietava le colline e lambiva la Sierra. La notte, almeno la mia, trascorre male, funestata da un udito iper sensibile alle fusa di Lo', e forse da una certa rivolta dello stomaco all'ennesima frittura. Alle tre sono sulla terrazza della pensione, ad ammirare un meraviglioso cielo stellato, che mi fa da coperta fresca, e mi rasserena quando, alla fine, mi addormento sul divano del salottino comune.

Le perturbazioni del mio stomaco però, al mattino, sembrano appartenere anche a qualcosa di più grande. Lo dico sempre, poiché è vero: Tutto è Uno.
E il cielo, complice della mia mente limpida e sveglia di notte, al mattino si mostra come il mio visino cupo e impastato di sonno... cioè nuvoloso e freddo.

L'ottimismo non muore mai (e purtroppo non agonizza nemmeno quel tanto da convincermi a prendere la giacca), e comunque La visita è prenotata per oggi; così ci avviamo, pronte ad appagare la nostra ricerca di bellezza, alla volta del bus che in pochi minuti ci conduce all'Alhambra.

Arrivo all'Alhambra
Lo spettacolo, nonostante il cielo grigio e i nuvoloni che si accalcano inesorabili fra le cime della Sierra, minacciando di riversarcisi addosso, è incredibile.
Iniziamo dal Generalife, ove ci accolgono rose tondeggianti e piene delle gocce d'acqua lasciate dalla pioggia mattutina; giardini con immense siepi verdi, e poi il Palazzo bianco, che svetta in fondo, a volte inguainato in quel sole che s'affaccia burlone, promettendo ma senza mantenere di irradiarci un poco. Fa freddo, ma il susseguirsi di prospettive, di terrazzamenti intarsiati di altri coloratissimi fiori, il gorgoglio dell'acqua che scende lungo il corrimano, appositamente scavato, ci distraggono e ci immergono nella delizia più pura. Ci par d'essere, nonostante l'anacronismo dei turisti giapponesi, delle dame d'altri tempi, che siedono e passeggiano, e annusano inebriandosi con le soavi varietà di flora.



Generalife, i giardini
Magnolia



Dedichiamo buona parte della mattina alla visita, e ci addentriamo poi nell'Alhambra vera e propria quando le nuvole sono rotolate dai monti pronte a scoppiare; prorompe nella quiete la voce sottile della pioggia, che ci caccia dal nuovo giardino incontrato appena oltre le mura; fortunatamente la voglia di calore e di riparo si soddisfano in un Caffè che ci accoglie, con aria orientaleggiante, proprio pochi metri dopo l'inizio dell'acquazzone.
Ci adeguiamo filosoficamente, e con tempismo perfetto terminiamo le bevande assieme alle ultime gocce di pioggia. E proseguiamo nella visita, baciate di nuovo da un tiepido sole che non scalda le ossa.

Palazzo di Carlo V

Arriviamo al palazzo di Carlo V e ne percorriamo le sale animate dalla mostra su Escher, e da un nido di uccellini curiosi, che Lo' ha scoperto seguendo gli sguardi dei turisti del Sol Levante.
Prese da una attesa sempre crescente per la visita ai Palazzi Nazaridi (ora fissata le 12.30) ci affrettiamo forse un po' troppo nell' esplorazione alla fortezza vecchia, che purtroppo è consentita una sola volta (non ci si può tornare dopo, quindi), nel corso della  visita.
Pazienza.
L'evento atteso si fa vicinissimo, e alle dodici e quindici siamo pronte, prime della fila, per poter entrare a vedere i Palazzi.

Il sole che quasi arrivava a scaldarmi il viso (per il resto ho usato i Phon nei bagni pubblici) ma che perlomeno ci ha un po' sorriso, improvvisamente si ripara dietro una nube, timido forse per l'eccitazione con cui i turisti lo hanno accolto, e le nubi, pronte come sempre a celarlo, nell'alacrità del loro compito si scontrano e... forse si fanno male. Iniziano a piangerci addosso il loro sconforto. E un po', devo dirlo, anche il nostro.
Ci stringiamo tutti e trecento sotto un minuscolo ombrellone, chi cercando il caldo, chi un effettivo riparo; americani, spagnoli, inglesi, italiani, giapponesi, siamo tutti stretti qui, con l'aria vagamente triste.
E Lo' mi sussurra: "ci vorrebbe sai, di cantare "I'm singing in the rain"".
E io, intonando, voce udibile: "Just singing in the rain..."
e poi, forte, in coro... "and I'm happy again!"
Gli americani ridono, e i giapponesi, quando intoniamo "o Sole mio" tentano anche un timido accompagnamento. E mentre ci scaldiamo la voce con "I don't care the sun don't shine" arriva finalmente l'ora fatidica, e ci introducono nei Palazzi.


Palazzi Nazaridi, particolare delle decorazioni

Tra un arabesco e un muro inclinato, tra una porta e i Leoni in restauro, Lo' fa in tempo ad innamorarsi, perdutamente ricambiata di una delle guardie, che si dimostra un Cicerone efficace e solerte, e fatica a staccarcisi di dosso.
Purtroppo non c'è per ora nessun romantico seguito, in quanto non si sono scambiati i numeri di telefono, ma il sottile tessuto romantico si intreccia alle sale incredibili, aleggia tra gli spazi dei morbidi arzigogoli, e si insinua come un calore sottile nelle fredde membra, che faticano ad alzare la macchinetta (per fortuna si scarica la batteria) e permettono solo ormai un movimento d'occhi, instancabili.

Che dire di più? Bisogna andarci;  ci sono "cose che ridire / né sa né può chi di lassú discende" direbbe il buon Dante. E' una di quelle cose da fare nella vita., uno di quei due o tre viaggi che ti restano nel cuore.
Così, discese da tanto cielo, assieme agli ultimi rovesci di pioggia ci dileguiamo per un po' dal mondo nella nostra linda pensioncina, riposando per metabolizzare il 'sacro', prima di dedicarci al profano shopping.

Qualche paio di scarpe e sacchetti di spezie più tardi, ceniamo a Paella, insalata e briciole di pane fritto, tutto condito dell'olio meno buono che abbiamo trovato, ma pur sempre meritevole. Come detto.


Al mattino ci allontaniamo verso nuova meta (Antequera), seguendo prima l'odor dei biscotti e del cappuccino, e poi la direzione dal vento....





Badando bene di procedere lentamente !

mercoledì, luglio 13

Aprire la valigia (e poi la mappa della Spagna -quinta parte)

Cordova, girando la Juderia
   Quando usciamo dalla Mezquita, stordite dal fascino dell'interno e dalla luce e dal calore esterni, ci soffermiamo nel cortile innanzi mandando a memoria i particolari e assorbendo l'esperienza, mentre tento di risolvere un problemino con la carta di credito. La brutta sorpresa è stata, infatti, un messaggio della banca che comunicava una richiesta di danaro doppia rispetto al previsto, per il noleggio dell'auto. Confesso che per qualche istante, invece che tra gli arabeschi, mi sono persa il cuore sotto il pavimento...  La testa se n'è fuggita fuori, e le gambe non avevano più molte fantasie, se non quella di uscire e "fare qualcosa".  Tuttavia ho lasciato che l'attimo passasse, e mentre mi riprendevo gli scatti con un balzo d'occhi verso le curve degli archi, ho capito che quel momento non sarebbe tornato.
E me lo sono goduto fino in fondo.

(Per i curiosi: alla fine trattavasi, ovviamente, di una specie di caparra, che viene restituita al momento in cui si rende l'auto. Il che, naturalmente, ha reso a me il respiro.)
La passeggiata per la Juderia, il bagno coi piedi nella fontana per far riaffluire il sangue in tutti gli anfratti del corpo, dopo che s'era concentrato negli occhi per lo stupore, la cena elegante con cameriere delizioso, e una sorprendente torta de queso, hanno concluso la giornata più che degnamente.
Tra le mura bianche e strette, innaffiate di buganville e di luna, il cuore ha ripreso battiti regolari, sognando già, al fresco del condizionatore, le meraviglie di domani.


Cordova, una chiesa per caso

Cordova, dopo il caffè!













La mattina scoviamo un localino veramente indigeno, per fare colazione prima di recarci al Palacio de Viana, decantato dalla guida come una deliziosa sorpresa. Ma la fortuna aveva voltato la faccia bendata altrove, e ci siamo ritrovate a contemplare l'esterno e le scritte sui muri (lunedì chiuso - ! -), e poi vicoli e chiese sulla via di ritorno... o della partenza.

   Chiusa la valigia, partiamo infatti alla volta di Granada, percorrendo una strada incantevole, che si snoda tra canzoni ripescate nella memoria di nastri e vinile, campi di girasoli e interminabili distese di ulivi. E devo dire che tanto sforza paga, in quanto l'olio qui in Andalusia, è veramente buono.  da per tutto.
 E anche il caffè.
All'ultima curva prima di intravedere Granada, facciamo tappa in un baretto per rinfrescar la schiena e corroborare lo spirito con la nera bevanda. Senza sapere quel che ci attende.


arrivo a Granada
Chi semina (la) fortuna, raccoglierà tempesta:

la fortuna purtroppo è rimasta alle nostre spalle, e ci troviamo a fronteggiare una città molto più grande dell'immaginato, e squassata dai lavori stradali, che sembrano in corso un po' ovunque!
Cerchiamo però di non perderci d'animo; neppure quando ci troviamo a girare in tondo, ad infilarci nella ZTL, a ripercorrere la stessa strada avanti e dietro perchè non si leggono i nomi delle vie, e il nostro piano ben congegnato per raggiungere l'Hostal sembra fallire sotto la pioggia incessante. Neppure con lo scoprire che qui fanno 15°, invece dei 30° previsti, o che è l'ora di punta e la strada è piena di pargoli urlanti che escono da scuola.

Con l'animo saldo (al volante e al dio protettore degli automobilistianoleggio) riusciamo, con una avvincente manovra, ad infilarci nel vicolo che porta alla Pension Suecia, attraverso un portale talmente stretto che devi proprio essere in perpendicolare, per passare.
Stretta è la via che conduce alla felicità, comunque, e noi stringendoci un po', riusciamo ad infilarci anche nella stanza della pensione, che si rivela deliziosa e sarebbe perfetta per due, ma è tremendamente stretta in tre; infatti ci sono due letti e un divano letto,  che però, una volta aperto, blocca il passaggio per il bagno (e la porta!) dai due letti. 
Diversi spostamenti di mobiletti più tardi, riusciamo ad uscire dalla stanza e iniziamo la visita alla città. L'Alhambra, su cui purtroppo non abbiamo potuto fare a meno di carcicare grandi aspettative, l'abbiamo prenotata (LINK QUI) per domani. 

Scendiamo dalla collina, e ci imbattiamo casualmente nella Cattedrale (l'ingresso è quasi nascosto da grandi palazzi), mentre cerchiamo l'Albaicin e el mirador de San Nicolas. L'interno barocco s'allontana molto dalle bellezze mudejar, e presto decidiamo di passare all'esterno, trovandolo molto più soddisfacente. forse per via di quei banchetti di spezie, cui rapiamo l'aroma col naso succhiando zucchero integrale a cristalli. Una sorta di tisana d'aria aperta!

Ci inerpicheremo poi sulla collina;  l'ardua impresa in effetti merita, se pensate a tutta la città vista dall'alto: rossiccia e fitta di tetti da un lato, dove emerge la Cattedrale e si scorge l'anello stradale che tange la città vecchia, e la campagna che se ne allontana. Bianca e fitta di tetti dall'altro oltre il quale, sulla piana dell'altra collina svetta l'ambita meta!

L'Alhambra, fortezza vecchia
Sospinte ancora una volta dalle bizzarre idee da turista ( mangiare!), perplesse e felici d'essere irradiate dal sole che ha finalmente riflesso i suoi allegri raggi sulla Sierra Nevada, facendone risplendere la bianca calotta, torniamo verso Campo del Principe, zona consigliata per le Tapas, nonchè a due passi dall'alloggio.
La cena è eccellente, fritta e abbondante. Poco altro ci rimane alla fine, se non desiderare che presto arrivino le 8.30 di martedì, per varcare le soglie della cantata meraviglia... 
- continua nel prossimo post :)  -


Granada, l'Alhambra, vista dalla moschea

domenica, luglio 3

Aprire la valigia (in un'altra stanza -quarta parte)

Cordova ci accoglie con cordialità, dopo un piacevole percorso sull'autovia che, senza sfiorarlo, risale il Gualquivir fino a qui.
Abbiamo salutato Siviglia di primo mattino, al suono dei semafori pedonali che, quando il tempo del verde sta per finire, mostrano un omino verde che corre, ticchettando per avvisare anche i non vedenti.
Civilissima Spagna! Lungo le strade ci rallegra con cartelli che indicano l'inizio e la "fin tramos de concentration de accidentes", di cui il più bello è senz'altro sulla lunga curva che scende da una collina, proprio prima di Cordova...  che se non fai attenzione rischi di finire in quei campi sterminati di girasoli che affollano la piana più sotto.

Cordova, mura dell'Alcazar

Ci introduciamo in città, alla ricerca dell'Hostal la Fuente, che si rivelerà l'alloggio più carino tra quelli prenotati, ma le nostre abilità di viaggiatrici si scontrano con l'approssimativa mappa del posto. Ferme ad un incrocio veniamo quindi soccorse da un motociclista, che ci accompagna propio di fronte all'albergo!
Nell'attesa della camera abbiamo il tempo di studiare gli arredi del delizioso patio, e pianificare la visita; scalpitiamo, per timore di perderci l'Alcazar che, di domenica, chiude alle quattordici.
 Tuttavia, la fortuna che ci ha atteso sulle porte della città, ci conduce a braccetto tutto il giorno, e riusciamo a penetrare la fortezza per tempo, senza necessità di porla sotto assedio.


Cordova, dale torri dell'Alcazar, veduta della città












Cordova, Giardini dell?Alcazar

  


Nei suoi giardini e sulle sue torri, nonstante la discussione con l'ometto che dirige il traffico verso quest'ultime, e che si rivela scontroso e tiranno, ci incantiamo a dovere.. Il posto merita davvero, benchè non abbia la magnificenza dell'Alcazar sivigliano, e la natura ci sorride dal giardino dei limoni, regalandocene un paio appena caduti, che nell'asprezza succosa ci rendono freschezza e solarità.
Cordova, le mura della Mezquita
 Usciamo raggianti di felicità, sotto un sole che riempie gli occhi e le membra, e lasciamo che ci penetri fino ai piedi, che vorrebbero già correre alla Mezquita. Ma la calura è tanta, e la decisione di prender il tempo con garbo senza timore di perder troppo (da vedere c'è così tanto che comunque la giornata è insufficente), ci fa soffermare con un gelato all'ombra delle mura, prima d'accedere alle superbe meraviglie di questa architettura.

Cordova, Mezquita, particolari esterni






   Ciascun particolare ruba sguardi, arricchendo il bagaglio senza pesare. E alla fine, con la brama placata dalla solennità del luogo, ci addentriamo nella geometria innalzante, che conduce gli sguardi fuori da se stessi, verso un cielo munito di cerchi bianchi e rossi, di antichi giochi mudejar, mescolati con le zone riportate a splendore da un restauro accurato e rispettoso.



  Perse nella ricerca delle solitudini (cioè di momenti in cui non ci siano turisti tra noi e lo sguado della machcina fotografica :D ) ci perdianìmo tra noi, arrivando al primo screzio dovuto alla disorganizzazione. Ma dura poco, poichè la bellezza dell'umano lavoro riscende nei cuori, e riporta la mente verso la contemplazione distogliendola dall'umana beffa che le potrebbe rovinare lo spettacolo.
Tutto si fa silenzio. E visione.

Cordova, Mezquita, interni

Cordova, interno della Mezquita

Mezquita, interni

Cordova, geometrie nella Mezquita

Cordova, Mezquita, ipotesi di bianco e rosso