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mercoledì, settembre 5

il viaggio dentro (3)

  I giorni successivi ho scelto la lezione più breve e tarda del mattino;  a tu per tu con i miei limiti, ho avvertito la necessità di riposare questo corpo sempre in servizio, sempre forte, di corsa, in orario; che ha un diario di rughe intorno alla bocca, giù tra gli occhi, ma anche di lato, dove si fermano i sorrisi.
Mi levavo lo stesso con il sole, facevo i miei esercizi e magari una passeggiata al fresco per rubare qualche frutto dagli alberi, solo per senntirli tra le mani appena raccolti, sapidi d'alba e di collina. Abbiamo lavorato sui chakra, e ho colpito con leggerezza le sicurezze intorno a me, ma l'ho saputo dopo. Qualcuno direbbe troppo tardi, ma penso di no. O almeno perché non pensavo a nulla (talvolta) mentre la giovane insegnante si preparava agli esami regalandoci un'ora di yoga nidra, o il compagno della insegnante ci prolungava la vita nella meditazione camminata.

Agosto, giorno 9 - pratichiamo il silenzio e la meditazione camminata
Annuso l'aroma che sale dalla terra calda, i panni stesi sull'orizzonte, il sale sparso nel vento, l'edera arrampicata alla fattoria, la mia pelle di pecora che si tiene l'essenza della mia casa.
Seguo il volo delle farfalle, le pieghe delle mie dita, la bracciata lenta nell'acqua della piscina, la foresta di parole sulla pagina del libro.  Il libro parla, lo so, e il silenzio un po' si rompe; ma resta un segreto racchiuso tra me e qualcun altro che se ne accorge. Spero che l'Alighieri, defunto da tempo ma più che silenzioso, segreto, non lo racconti; mi 'conto i Canti saltando i commenti. L'autore di questi è vivo, e parla troppo forte.
Annuso l'erba schiacciata contro il naso, diveltami dal libro e sfaccendata a faccia in giù per mischiarmi alla terra. Il sole che  rilascia i muscoli sotto la pelle, la pelle (di pecora) sotto la pancia a scaldarmi l'addome.

Alle 16e30 chi vuole approfitta delle domande sulla "meditazione camminata" per spezzare l'inquietudine del silenzio. Qualcuno, si vede dal parcheggio svuotato, se ne è andato. Osservo, provo a zittire i pensieri, ascolto l'istruzione, seguo: il primo inspiro spinta con il piede, trattieni l'aria dentro, la gamba arriva alla verticale, espira il tallone poggia, trattieni l'aria fuori (mi sembra di morire), la punta poggia. E:
Inspiro (quanta aria!) - spingo. Trattengo (i muscoli si sgravano muovendosi). Espiro (il peso si sposta nel bacino). Trattengo (mi sembra di morire).
Inspiro (spingo). Trattengo (il polpaccio tira). Espiro (senti quanto piede!). Trattengo (mi sembra di morire).
Inspiroespingo. Trattengoesollevoilpiede. Espiroepoggioiltallone. Trattengo (c'è spazio,senz'aria).
Inspiro. Trattengo. Espiro. Trattengo.

E' andata avanti così, più o meno: presente, pensante, soffocata, piena, pesante, forte, attenta, distante.

Dopo, dopo la meditazione seduta, e di nuovo camminata, per un po' di tempo camminare veloce è stato difficile; più che altro privo di senso, ecco, come se il ritmo fosse quella consapevolezza, quella lentezza e accuratezza che mai si dedica ad una attività così... così scontata. Almeno per chi non ha mai avuto difficoltà; almeno per chi non ha mai deciso di percepire cosa succede quando ci si muove.
Nella consapevolezza del mutamento delle cose, ci sono bellezza, forza, saggezza. C'è il sorriso, che sommerge le rovine dell'ultimo sconquasso del mondo noto, e crea il momento giusto per ricostruire.

Ricostruiamo l'integrità tra questo altro posto e il mondo fuori sulle note di canzoni ballabili, e spruzzando la "sacher" vegana con un allegria di vino.
Poi è tutto una polvere sulla strada bainca, mani dai finestrini, abbracci senza promesse. Promesse senza parole.

L'unica cosa in cui speravo venendo qui, era d'incontrare persone che capissero e condividessero quello che faccio. C'erano; ma ho anche trovato più di quanto stessi cercando.


"Vegno dal loco ove tornar disio". Nel terrazzino, a casa c'è un fiore di molti colori.

giovedì, agosto 23

il viaggio dentro (1)

Premessa:

Quest'estate ho scelto di fare un viaggio diverso, non fuori dall'Italia, ma dentro di me. Caso volle che, nel momento di scgliere la meta per le ferie, mi sia stato indicato un posto in Toscana dove dal quinto giorno di agosto, si sarebbe svolto un corso residenziale di Hata-Yoga. Abituata al Kundalini ed estremamente incuriosita dalla ben più nota forma di Yoga, che avevo praticato solo un paio di volte molti anni fa e con una certa noia, ho deciso cheavrei tentato. La vita e le impressioni, cambiano se lasciamo aperta la mente.

Munita di più magliette del consueto, immaginavo di usarne una per ciascuna lezione (della durata di tre ore) dal momento che tale sarebbe il risultato di altrettante ore di Yoga Kundalini, ho cavalcato la mia curiosità fino ad una collina nei pressi di Magliano in Toscana; seduta a volte sul prato verde e morbido, a volte al bordo esterno del recinto della fattoria dove l'aria sa di terra e paglia secca, per consumare una sigaretta e l'esperienza, ho raccolto le impressioni tra il vento salato che s'innalzava da Talamone, e le cicale che facevano scendere le note dei loro concerti sugli astanti.

Agosto, giorno 7
Prima di partire questo posto era vicino. L'ho scelto anche per questo, perché da qui si vede Ilio, le cui bianche sponde sono un po' la mia seconda casa.
Una volta qui, però, ho scoperto che è molto molto lontano. E' un altro posto.
L'esperienza è di quelle che ti restano dentro con grazia, che te le indossi come il vestito da attore principale, da eroe del romanzo che hai appena chiuso, del film che è appena finito e il cui discorso di incoraggiamento, inevitabile come le stagioni, ti fa alzare fiero e risoluto: pronto a combattere per la tua guerra, o ancor più, per la tua pace.

L'esperienza quando ti resta dentro, può anche non ripetersi. Forse deve non ripetersi.  Ti insegna tracce eterne e amicizie perfette anche se brevi come una vacanza. Tracce che conducono altrove, amicizie che conducono all'ora, che ti specchiano e ti ri-vedi in questo riflesso che è quello che sei oggi, compresa l'unica persona su quaranta presenti che ti disturba le vibrazioni; ma alla fine ballerai anche con lei, che non è altro da te.
CIascuno torna a casa, nella sua città senza sapere se la vita ci condurrà ancora in un altro posto, in un qui che non è ora. Ma ora e qui, ti specchi. E leggi le tracce.

Vi è fra noi partecipanti, l'entusiasmo dell'uno per l'altro. Il desiderio di rendere eterno qualcosa, e questo è il presente di questo incontro. DI questa danza di quaranta corpi che si muovono all'unisono verso la stessa posizione, con la stessa solenne attenzione ad ogni gesto, allo spazio fra sé e gli altri, allo spazio in se stesso. E in se stessi.

"Vegno dal loco ove tornar disio!" mormoro solcando il prato qui sul colle; e ivi arrivata, sotto il cipresso che guarda il Giglio, fior di mare sospeso nell'orizzonte, mi siedo sulla radice a contemplare questo "loco", e il "disio" si placa, qui.









sabato, giugno 23

Lu'


Lu' è una bambina piccola così, come quella che ti immagini nella canzone; le prime volte che l'ho vista e l'ho tenuta in braccio, pensavo fosse più lieve di un papavero. Era così leggera, che quando mi si arrampicava addosso, o la facevo volare sopra le righe, mi pareva che fosse il mio foulard con le farfalle, ma con le farfalle che volavano via, sollevando il panno. Niente.

Lu', quando entravamo nel tempo, ripercorrendo nella storia delle sue ossa la via che l'ha portata ai reflussi che impediscono al corpo di trattenere il nutrimento, era la rondinella che imparava a volare sulle mie mani. Come un aereoplanino di carta: lo stesso peso, lo stesso volo da un punto all'altro ma alla fine, lo dovevi sempre riprendere in mano, perché si alzasse ancora.


Il tempo è passato, ritornando indietro attraverso piccole magie, attraverso racconti non detti di dolori nascosti e intollerabili, troppo grandi per occupare un corpo così piccolo, che forse s'è scansato da se stesso rinunciando a riempirsi di massa, nonostante occupasse lo spazio.

Lu' è stata tutta nel suo sorriso e negli occhi persi oltre quello che si vede; nei sussurri complici e nelle palline di carta nel naso; nei momenti in cui si lasciava molle come una foglia, e nei momenti in cui sentivi il fuscello farsi tronco, inebriato dal contatto con le radici che aveva perduto. Lo stomaco, in fondo, è connesso alla terra.

Riportando il corpo ad un momento prima di quello in cui ha deciso per questa leggerezza, incontaminata dal cibo che non si trattiene dentro, quando ci siamo salutate, ieri,  quasi non riuscivo a sollevarla.
Non è che Lu' sia cresciuta, è sempre più piccola di un papavero: è solo diventata più vera.

E forse, se la realtà è davvero uno specchio, anche io.

giovedì, giugno 14

Il dentro di dentro (racconti diversi)

Sono seduti più distanti possibile,tra parole che non sono che un confuso orizzonte,verso cui gli sguardi si spingono senza vedere altro che una leggera nebbia. 

Lo immagino ancora, anche se siamo fermi qui da sempre. Un bacio. Di appoggiare le mani in perfetta libertà, senza il timore di stare troppo fuori per educazione, o di perdermi troppo dentro, o di rimbalzare sulla gomma dura del suo bozzolo.
"Si, ma altro che farfalla. Questo è un elefante, dentro una formica che crede d'essere un gigante. E poi nemmeno, perché le formiche fuori hanno la corazza. Lascia stare il dentro. Dentro siamo tutti uguali, alla fine, anche se... Ma le formiche fuori hanno la scorza dura. Non mi importa se si schiacciano, dentro, te l'ho detto, siamo tutti uguali. Questo però, lo schiacci anche senza le dita."
Dentro è molle come un leprotto.
"non ha la velocità, del leprotto. Solo la paura."
Mi avvicinerò, come si fa col gatto. Terrò la mano tesa per toccargli il pelo lucido lucido, ma piano, per vedere come reagisce.
"hahaha, allora non tendere la mano"
Cosa posso fare?
"Lascia le dita rilassatate. Deve venire lui da te. Non hai ancora imparato come sono i gatti? E non importa, se dentro la formica c'è un leprotto. E' lo stesso con i leprotti."
Quello che sta fuori, sai, credo sia come il dentro.
"non mi dire che stai guardando."
Si, è lucido, anche dentro. E morbido. Oh, vorrei che fosse un gatto, ché almeno saprei come comportarmi. Terrei la mano morbida, e aspetterei che ci arrivi dentro. Come quando immagino.

"Sotto il pelo, è fragile come la porcellana, non è nemmeno una formica."
Stai parlando del dentro, di nuovo. Quello che vede lui però. Io parlavo del dentro di dentro, quello che non vede.
"Lo hai notato mentre ride? Quando come te è senza limiti, senza nessuna barriera?"
Si, dentro al dentro. Dentro la formica che sta nell'ippopotamo.

Si tengono le emozioni nelle pieghe del tovagliolo, mentre sorseggiano un finale alla rosa.

"non era un ippopotamo".
Bene, fai conto che lo fosse. O che lo sia, ora.
"ora non lo vedo"
Ti distrai. Io invece no. Lo immagino, e quando lo immagino lo vedo dentro al dentro, ma fuori è un ippopotamo, con dentro una formica...
"somiglia alla storia dei nuclei. Quello che vedo quando apro gli occhi due volte."
Si. Quella che vedi quando siamo insieme, quando osservi invece di preparare solo gli ingredienti, la preparazione, la torta finita, e la bocca che la mangia. Tu lo sai già, come andrà a finire. Io riesco solo a far la lista della spesa.
"Come i nuclei, quindi".
Si. lo hai già detto. Tu diresti che c'è l'acqua, dentro. Ma adesso guarda: dentro l'ippopotamo c'è una formica, con dentro un elefante.
"quindi il gigante c'è davvero".
Se vuoi. Tutti sono dei, e tutti sono giganti. Lui è un gigante..
"Te lo concedo. Allora, tiene in mano un fiore rosso".
E' quello, che voglio.
"Non è tempo.  Lo tiene, si, ma da dentro. Non sa nemmeno come si donano le cose. Sei sicura di voler aspettare?"
Ho visto dietro gli occhi; dentro, anche se potrebbe tenerlo in mano, c'è il fiore rosso.
"Un gigante con un fiore rosso."
Quello, si.
"Ma davanti lo sai, ci sono ancora l'elefante, la formica e l'ippopotamo. Era più semplice, con i nuclei".
I nuclei non sanno niente dei fiori.

Lui allunga la mano, le sfiora le punte delle dita, e dove si toccano il rosso sale alle guance, e trasuda dal cuore; e celandoselo in un'ombra del palmo, il gigante senza saperlo, lo lascia battere per un momento fuori da tutti i suoi petti. 
Lei allunga la mano e si infila la notte al posto dell'orizzonte. 
Con il fiore che ha visto, a trattenerle i capelli nell'attesa.



martedì, giugno 5

L'anno prossimo, se c'è la crisi, sto bene gratis

L'hai visto, no? che periodo è; I prezzi salgono, la crisi resta sul piano, gli amici d'un tempo scendono ad un gradino dal "solo un ricordo". E tu sei qui, con le bisacce in mano, leggere perché non vuoi troppo cibo raffinato e non ti serviva il detersivo, e comunque i soldi sono abbastanza si, ma pochi per gli sprechi. Eccoti qui dicevo, con un sorriso attento a non scurirsi con i malumori passeggeri e gli amori scesi alla stazione prima.
La ascolti mentre, nell'aria calma che modelli, si agita il pensiero di non tornare quella che era (e chi lo sarà mai?) e si riplaca come il mare considerando ogni piccola cosa inaspettata; la vita infondo è una stazione che riserva sorprese, anche se perdi un treno. Così, l'invalidità temporanea servirà almeno a non pagare le cure, per tornare quella che è.

Un po' nervosa, altrove, le bisacce a terra e il sapore dei pini nelle mani, ascolti lei che ti racconta con la faccia da monella, che avanza vivaddio anche con una certa età. E sorridendo discola, ti fa con un sospiro: speriamo la lascino, almeno l'anno prossimo compio "l'esenzione dal ticket per età". Vuoi star male? Ma no, solo per dire. Ah.

E tu, con le mani in bocca a provar le manovre sperando che ti rendano la faccia uguale all'età che arretra, ti trastulli con i contenuti messi a posto e cucinati, credendo che se non cambierà la faccia almeno i denti si chiuderanno da tutte e due le parti, e il cibo delle bisacce, avrà un sapore pieno. E ne gusterai anche altro, perché non servirà l'osteopata per raddrizzarti il sorriso.
Riprendi l'esercizio, e le mani fuori dalla bocca sorprendono le parole di tre donne, sull'orlo di una crisi che non lascia a terra nessuno, ma che vorresti dimenticare al binario morto:
"io l'anno prossimo, sto bene gratis!"


martedì, maggio 29

Buon compleanno

Quest'anno, Lila si regala l'energia del tempo dell'anno; che gira, la sfiora, le subentra, le trascina fuori ogni briciola di malessere, e non ne lascia nemmeno il ricordo sfocato. Il tempo fa regali poco costosi ma permanenti, e quest'anno non è da meno. Sembrava andata, questa forza dell'alto e basso, del bianco e nero, del dentro e fuori. Ma è un oscillazione, e come tale, torna come un soffio sulla scintilla;  e prendo fuoco in questa spirale ascendente che trascende, spalanca, esplode e si porta, in questo scoppio entusiasta, le persone che amo, le persone che assisto, le persone che amo assistere, verso vette di inimmaginabile. Alchimia.

"Io sono il mago della pioggia, niente è impossibile per me" re-cita Lila, da una delle sue canzoni preferite, mentre la ragazza col seme in testa espande il  movimento verso l'esterno, sfatando la paura dell'immobilità, ma non il momento che si suggella in un abbraccio. "io lo farò per te, io lo farò con te". Canta Lila con voce silenziosa. Batte il bastone a terra. Magia.

E Lila si regala un giorno, che è l'accoglienza di ogni piccola cosa che giunge per essere resa per la gioia; è come se il suo braccio fosse la mia vita, ed ogni movimento che si manifesta, è solo il preludio del prossimo regalo, ma perfetto in se stesso, e bastante così.  E questo (spero), è amore.



mercoledì, maggio 16

Una collana d'ambra

La ragazza con il seme in testa, mi ha regalato una collana di sangue di conifera; solido come ossa della terra, l'ambrato recinto che ora mi protegge il petto è leggero come le mie ossa cave di uccellino, e lega gli elementi in una densità magica, che ad indossarla con convinzione si può credere anche che possa fare un miracolo: fuoco emerso dalla terra, salito nel legno, liquefatto come l'acqua fuoriesce e cristallizza lo spirito essenziale. C'è tutto l'universo dentro ciascuna goccia.

E il filo che tiene insieme questo racconto, mentre mi muovo riconta le gemme, così per non distrarre troppo Dio, cerco di spostarmi lentamente,  in armonia con il suo respiro mentre tentiamo di far dissolvere il seme, farne esplodere le emozioni che racchiude e dargli la possibilità di diventare un fiore.
La sua corolla è già stata disegnata dalle mani che le han frugato dentro; è quella linea, tracciato sentiero fra i capelli caduti, che diciamo talvolta essere la sua corona di regina, talaltra il ferro di cavallo che le porterà fortuna da qui in poi. Per non suscitar l'invidia della gente, a volte lo copre ma il cappello, lo so, le va così stretto, che vorrei metterci una piuma, per renderlo più leggero.

 Ma per non cadere, non posso strappare le piume delle mie ricresciute ali, così provo con lei a ri-insegnare il volo alla farfalla  incastonata fra il tempo di una vita che le è morta tra le braccia anni fa, e le parete che delimita lo spazio che non si concede e non si trova, in cui sto, con lei, seguendo il ritmo delle parole; attenta e lieve come un astronauta osservo l'espansione cosmica volteggiando incantata.
Non so se sia per l'uomo che ha perso, che le è rimasto nel pensiero destro e non si muove da lì, come il suo braccio, ma l'immoto arto sinistro sembra rappresentare il peso della perdita, di qualunque morte e dolore che non se ne vanno;  se ne stava fermo, talmente calato nella parte, che abbiam dovuto indurlo a riprovare a vivere facendone recitare la parte attiva al destro, agile dentro lo specchio.

Quando il braccio ha iniziato a riconoscersi, per prima cosa ha cercato di avvicinarsi al cuore, che ancora non raggiunge, ma Lila e la ragazza hanno pensato che quando ci riuscirà, il cerchio sarà chiuso, e la vita riprenderà a scorrere, svelata dietro alle lacrime che, accumulate, offuscano quegli occhi verdi. Verdi come il mare, così appropriatamente salati che osservando le maree e bagnandosi appena le mani, Lila prega che il suo pollice cambi colore, e faccia germogliare il legno di questo giardino.
Che faccia uscire le ultime stille di passato, per rendere quel recinto che si forma con la mano sul cuore,  una collana d'alloro per la ragazza eroica.
Ci salutiamo con questo pensiero, e chiamando la volontà fortuna, sperando che arrivi.
Io metto il cappello, per via del vento, lei i capelli, per via del ferro di cavallo.