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mercoledì, settembre 5

il viaggio dentro (3)

  I giorni successivi ho scelto la lezione più breve e tarda del mattino;  a tu per tu con i miei limiti, ho avvertito la necessità di riposare questo corpo sempre in servizio, sempre forte, di corsa, in orario; che ha un diario di rughe intorno alla bocca, giù tra gli occhi, ma anche di lato, dove si fermano i sorrisi.
Mi levavo lo stesso con il sole, facevo i miei esercizi e magari una passeggiata al fresco per rubare qualche frutto dagli alberi, solo per senntirli tra le mani appena raccolti, sapidi d'alba e di collina. Abbiamo lavorato sui chakra, e ho colpito con leggerezza le sicurezze intorno a me, ma l'ho saputo dopo. Qualcuno direbbe troppo tardi, ma penso di no. O almeno perché non pensavo a nulla (talvolta) mentre la giovane insegnante si preparava agli esami regalandoci un'ora di yoga nidra, o il compagno della insegnante ci prolungava la vita nella meditazione camminata.

Agosto, giorno 9 - pratichiamo il silenzio e la meditazione camminata
Annuso l'aroma che sale dalla terra calda, i panni stesi sull'orizzonte, il sale sparso nel vento, l'edera arrampicata alla fattoria, la mia pelle di pecora che si tiene l'essenza della mia casa.
Seguo il volo delle farfalle, le pieghe delle mie dita, la bracciata lenta nell'acqua della piscina, la foresta di parole sulla pagina del libro.  Il libro parla, lo so, e il silenzio un po' si rompe; ma resta un segreto racchiuso tra me e qualcun altro che se ne accorge. Spero che l'Alighieri, defunto da tempo ma più che silenzioso, segreto, non lo racconti; mi 'conto i Canti saltando i commenti. L'autore di questi è vivo, e parla troppo forte.
Annuso l'erba schiacciata contro il naso, diveltami dal libro e sfaccendata a faccia in giù per mischiarmi alla terra. Il sole che  rilascia i muscoli sotto la pelle, la pelle (di pecora) sotto la pancia a scaldarmi l'addome.

Alle 16e30 chi vuole approfitta delle domande sulla "meditazione camminata" per spezzare l'inquietudine del silenzio. Qualcuno, si vede dal parcheggio svuotato, se ne è andato. Osservo, provo a zittire i pensieri, ascolto l'istruzione, seguo: il primo inspiro spinta con il piede, trattieni l'aria dentro, la gamba arriva alla verticale, espira il tallone poggia, trattieni l'aria fuori (mi sembra di morire), la punta poggia. E:
Inspiro (quanta aria!) - spingo. Trattengo (i muscoli si sgravano muovendosi). Espiro (il peso si sposta nel bacino). Trattengo (mi sembra di morire).
Inspiro (spingo). Trattengo (il polpaccio tira). Espiro (senti quanto piede!). Trattengo (mi sembra di morire).
Inspiroespingo. Trattengoesollevoilpiede. Espiroepoggioiltallone. Trattengo (c'è spazio,senz'aria).
Inspiro. Trattengo. Espiro. Trattengo.

E' andata avanti così, più o meno: presente, pensante, soffocata, piena, pesante, forte, attenta, distante.

Dopo, dopo la meditazione seduta, e di nuovo camminata, per un po' di tempo camminare veloce è stato difficile; più che altro privo di senso, ecco, come se il ritmo fosse quella consapevolezza, quella lentezza e accuratezza che mai si dedica ad una attività così... così scontata. Almeno per chi non ha mai avuto difficoltà; almeno per chi non ha mai deciso di percepire cosa succede quando ci si muove.
Nella consapevolezza del mutamento delle cose, ci sono bellezza, forza, saggezza. C'è il sorriso, che sommerge le rovine dell'ultimo sconquasso del mondo noto, e crea il momento giusto per ricostruire.

Ricostruiamo l'integrità tra questo altro posto e il mondo fuori sulle note di canzoni ballabili, e spruzzando la "sacher" vegana con un allegria di vino.
Poi è tutto una polvere sulla strada bainca, mani dai finestrini, abbracci senza promesse. Promesse senza parole.

L'unica cosa in cui speravo venendo qui, era d'incontrare persone che capissero e condividessero quello che faccio. C'erano; ma ho anche trovato più di quanto stessi cercando.


"Vegno dal loco ove tornar disio". Nel terrazzino, a casa c'è un fiore di molti colori.

mercoledì, agosto 17

"... e alla vostra sinistra, si'ori e si'ore, le cucine!"

"La cucina è l'anima della casa", mi dice Luciano, aggrappato al suo bicchiere e spaziando con lo sgurado sull'armata mal assortita di mobili antichi e altri solo vecchi, rabberciati e un po' sgarbati fra loro che circondano il tavolo.
Dopo anni di chiusure ermetiche gli sportelli non serrano più, lasciando intravedere non proprio casualmente quello che c'è dentro. E' come se dei fili legassero le due parti, dentro e fuori, senza tenerle compatte; però la stanza, le pile di piatti, una sofisticata confusione di stili, nell'insieme dava l'impressione di un posto dove si mangiano cose buone. Cose che, per l'appunto, escono dal cuore.
La sua cucina era esattamente come me lo ricordo.
Sul tavolo, nel bicchiere scompagnato di una qualche festa della birra, l'acqua scendendo nel vino ci lasciava dentro un disegno, e solo alla fine si capiva perchè se avesse potuto avrebbe sposato me: sua moglie dipingeva questi intarsi, questi percorsi fra il passato e il ricordo di ciascun pezzo.
L'oggi ero io: ero il ricordo. Ed ero un intarsio incompreso di sua moglie, di quelli che lui le aveva raccontato che esistevano ed ora stava seduto nella sua cucina..  Il futuro, Luciano non l'aveva più. Ma questo, quel giorno non lo sapevamo.

La cucina è il cuore della casa.
Quindi ogni visita si trasforma in un non detto, che racconta molto più della confidenza concessa prendendo un caffè.
C'è una cucina grande, "abitabile" si direbbe in gergo tecnico, il cui centro è completamente vuoto. Tutt'attorno ci senti il calore delle circostanze, dei passanti che si stringono in chiacchere mentre guardano dall'altra parte, come se aspettassero sempre qualcun'altro. E' una stanza dove senti che potresti sederti e guardar passare la vita, quella di qualcun'altro che non è mai arrivato.
Ci abita una donna che vive con suo fratello, e lo accudisce come se lui avesse ancora dieci anni, e lei trenta; non è sposata, e coltiva questi affetti ai margini, facendosene trapunte colorate.

C'è una cucina dove mancano alcuni sportelli, quelli in alto. E lì ci sono promesse di pentole vuote, e intrecci di posate, e cibi con l'aspetto di una idea scappata da uno scaffale di supermercato. Qualcosa di un negozietto etnico, o riportato da un viaggio, s'impone allo sguardo nella confusione, come se potesse in qualche modo far realizzare le intenzioni celate. Celate in basso da sportelli d'acciaio; l'armatura che riflette gelida il tavolo stretto e alto, adossato alla parete di fronte; il cui solo sgabello di legno e metallo si erge a far la guardia ad una tovaglietta dimenticata sotto appunti e giornali.
Ci abita una persona molto sola. Che ha dimenticato cha oltre allo spazio vuoto, quando si aspetta, è bene preparare un posto a sedere perchè qui, sembra non ci si possa fermare. Né ad aspettare che arrivi la vita, né ad inventarsene altre.

Ci sono cucine piccole, quadrate, organizzate, spoglie, ossessive, sfuggenti, robuste, accoglienti, creative.

C'è la cucina della casa dei miei genitori. Ci puoi trovare tutte le spezie di cui hai bisogno, a volte anche due volte; c'è il the nel suo posto nuovo, come se ci fosse da sempre, e il bricco col coperchio che ha visto formulare infusi di calore e affetto, di discorsi e discussioni, di lotte e libertà di pensiero.
C'è sempre un paio di biscotti nella scatola, e un bicchiere pulito, la frutta acciambellata nel cestino.  E' il posto dove il cuore si sente a casa, anche se non è più la casa che hai abitato, ma tanto tu, abiti coloro che ti amano.

E poi, c'è la cucina di casa mia. Quella che non ho comprato ma che ho scelto, e che ho riscelto uguale quando sembrava dovessi traslocare. Avrei cambiato forse uno sportello, quello che lascia vedere un po' troppo dentro, e forse ne avrei messo uno che si apre un po' più verso l'alto; ma sono rimasta qui, ed anche loro.
E' una cucina in cui pensi che tutto possa trovar posto, e in effetti c'è un posto per ciascuno.

E mentre la guardo da fuori, a volte mi pare sia come se s'espandesse; respirando oltre il tavolo, il rosso della poltrona, sul blu del sofà e attraverso la finestra gialla di tende del balcone, l'interno arriva a coincidere con l'esterno.


giovedì, luglio 28

Aprire la valigia (e metterci dentro i ricordi - parte VI)

Ormai impresse nella sua storia, ci allontaniamo da Granada,  seminando le nuvole e il freddo;  indeterminate sui tempi delle prossime visite, ma non sulla meta, ci dirigiamo, come previsto verso Antequera.
pena de los Enamorados

Per arrivare attraversiamo una landa che vorrebbe, senza averne la secchezza, assomigliare ad uno di quei deserti americani con i picchi che si lanciano duri contro il cielo terso, e difatti quasi ricordo dell'amore non consumato dell'Alhambra, si materializza di fronte a noi la pena de lo Enamorados, celando ancora brevemente alla vista, la nostra meta. 

La tappa è stata scelta per la presenza dei Dolmen, che introducono un aspetto totalmente diverso nella visione, distante secoli dalle meraviglie Mudejar, allo stesso modo ineguagliabile per la propria bellezza.
 Sono stata a Stonehenge e, forse perchè là si è condannati a girare intorno e lontano alla struttura, lasciando che i corvi s'impossessino del residuo mistico, ma qui mi pare vi sia un tocco in più; quel pizzico di magia che beneficia, per rimanere, della scarsa presenza di visitatori, che consente di restarvi all'interno, in silenzio, godendo degli anfratti della pietra e del ventre della terra. 
Antequera, primo Dolmen
Antequera, secondo Dolmen

Antequera, terzo Dolmen




Antequera, chiesa barocca
Il paese  è un gioco di tetti e pareti bianche, di vicoli e fortezze, fra i cui merli si gode la splendida vista della vallata... vale la Pena!

Comunque decidiamo di farci bastare una chiesa barocca, indicata dalla guida per il tetto particolare, che scopriamo avere una strana delicatezza e un silenzio racchiuso, che sembra d'esser la polpa di noce nel suo guscio, a starci dentro. Te lo gusti, con i suoi saporiti intrecci di stili, che riducono l'impatto generalmente prepotente dello stile puro.

Ci basta così, anche se avremmo voluto curiosare qualche negozietto, ma l'ora è di quelle che inclinano alla siesta i negozianti, indi ci rimettiamo in marcia, verso la penultima notte.
La nostra piccola avventura, una piccola attesa che ha aumentato l'eccitazione del viaggio. E' infatti l'unica notte senza hostal prenotato.
A dire il vero, stanche, accaldate e già incuriosite dalla città, quando arriviamo a Ronda i brividi d'eccitazione sono scomparsi, e manifestiamo il nostro essere in pieno. Io, inessenziale e stanca opterei per il primo posto possibile, pure caro purchè centrale; anzi, magari caro, tanto per viziarci un poco. Lo', che ha agguantato la cartina con i pochi riferimenti presi da casa, indica una qualche Reina Victoria, che suona bene, e anche spendereccio. Madama Dorè, più pratica, mentre vaghiamo tra i numerosi sensi unici perdendo un po' la bussola, ci indica un albergo proprio lì, sopra al posto macchina gratuito in strada. Alla fine si rivela la scelta giusta: carino, economico, spazioso, centralissimo. L'Hotel Molinos ci fornirà anche una colazione tipica (pane tostato e pomodoro... ma giuro: un sacco di spagnoli la usano!); questo tuttavia deve ancora accadere.

Ombre di viaggio
Ora ci affrettiamo per la via, in direzione dei bagni arabi, una delle "attrazioni" che continuano a sfuggirci (a Granada, altrove, e alla fine... anche qui!). Nel frattempo scopriamo il parco sulla rupe, che fa planare gli sguardi giù per la campagna che si distende, allegra e animata, fino alle Sierre circostanti.
Sostiamo per vedere l'Arena deToros, sorprese dal vento freddo che ha rapidamente preso possesso della cittadina, e che raggela il sangue ribollente di rabbia ed orrore, di fronte all'esposizione museale delle stampe e degli abiti inerenti alle Corride. 

Poi, attraverso il ponte, saltiamo nella vecchia città, valicando il baratro in fondo al quale scorre il Guadalevin, più casto e timido del Guadalquivir anche perchè, da questo dislivello che ci separa dalle acque sembra molto silenzioso!

Il nostro destino con i bagni, come accennato, si riconferma rapidamente; nella discesa che vi condurrebbe, affascinata dall'esterno della Casa del Roi Moro, Lo' propone di fermarsi, e il suo ginocchio, dati i nostri tentennamenti, decide che questa visita è prioritaria;  per impedirci d'oltrepassare cotanta decadente meraviglia, si sacrifica alla causa e si incide eternamente sul ciottolato, con l'occasione tranciando di netto il sandaletto acquistato da Lo' a Siviglia.

Dopo un po' di pronto soccorso (corro in Farmacia a comprare Arnica in granuli e pomata), così convinte e nel frattempo adeguatamente edotte su Ronda da un vecchietto del luogo che ha assistito alla scena, "scegliamo" di inoltrarci nella casa fatiscente. 
particolare della Casa del Roi Moro

la Mina



E forse è stato per questo, o per averla scampata con una brutta botta ma nessuna frattura, a parte quella irriparabile della scarpina che non val neanche come monile di cristallo da lasciarsi dietro per un ipotetico principe, o perchè alla fine della lunga discesa nella Mina lo spettacolo è impareggiabile...

sul fondo della Mina


lo Stregatto (poco sorridente)
Fatto è che sulle stradine bianche di Ronda è rimasto un pezzetto del mio cuore; dei nostri cuori. Ombre impresse dalle luci della sera, che non si dilegueranno domani, e che ancora ondeggiano, se guardate bene, sulle scale della Casa, nella passeggiata per il Ponte, in qualche Calle minuscola e affollata di rondini vere e Stregatti da cortile.







il Ponte
Ceniamo italiano (una fantastica pasta alla marinara!), tanto per embricare i due mondi e non porre alcun confine e far patria dell'Andalusia. I sapori si mischiano perfettamente, e senza meno lo stomaco, nostalgico, ne gioisce;  decidiamo che rimarremo anche domani, sacrificando la visita  a Cadice per una esplorazione che cancelli la caduta, ed innalzi i nostri animi oltre i 100 metri del crepaccio fra le due città... in una.

sabato, giugno 25

Aprire la valigia (e anche la guida turistica - terza parte)

Sole sul silenzio
Al mattino di sabato, nonstante il patrio caffè ci abbia seguite (caffettiera elettrica), scopriamo che siamo ancora qui.

Ci addentriamo nuovamente nei vicoli, mentre la città se ne sta acciambellata come un gatto, ancora assopita: le saracinesche son le sue palpebre abbassate, e si rigira al suono dei nostri piedini turisti, come vagamente infastidita dal pigolio enfatico con cui oltrepassiamo ogni spigolo.


Svegliandosi pian piano

Siviglia, quasi di primo mattino






Tra la Cattedrale e Starbuck's, c'è un Caffè dall'aria invitante, così ci sediamo per gustare qualcosa di tipico (più o meno) prima di infilare il grande portale che ci conduce nelle infinite altezze del gotico, ben noto ai frequentatori delle città della Francia, e che qui sembra un transito fra sé, e il Mudejar che caratterizza l'affascinante Alcazar.
Purtroppo ci scacciano dal Tempio prima che si possa visitare la Giralda, a causa d'una cerimonia, e ci consoliamo pensando che torneremo, più tardi o quel lontano, ultimo giorno di vacanza, in cui ormai abbiamo stabilito di tornare proprio a Siviglia.
La Giralda
Inquadrando metro per metro l'esterno, cercando di raccogliere tutte le sfumature che caratterizzano il dito del campanile puntato al cielo, ci avviciniamo alla fila per il palazzo Reale; cogliamo il tentativo d'una guida (forse abusiva) che vuol vendere i suoi servizi a dei nostri compatrioti, e poi... siamo dentro.
Non saprei proprio cosa mi aspettassi, ma qui non solo "i bambini fanno OH, che meraviglia"!

Saliamo scale azzurrate, ci incastriamo tra riflessi e finestre, corriamo con gli occhi tra sottotetti e decorazioni, con la percezione che si espande senza perdersi; se ne va attraverso le ondulazioni, gli intrecci, le parole coraniche incise, rilevate, colorate, incastonate, e torna, come abbracciata dagli stessi.
L'arabesco ha la capacità di essere sia circoscritto che espanso, attraverso quei vuoti che lascia in se stesso.
Ben diversa, l'arte barocca che in un certo senso è altrettanto colma di se, ma presuntuosa ed esagerata. Questo stile ha la dignità d'una ricca signora che si mostra senza ostentare. Come se avesse una semplice collana di perle, una perla sola, anzi, su di sé, che racchiude in se stessa il mondo che vi si specchia.
E la mano del vasaio.

La giralda affacciata sull'Alcazar (riflessi)



Alcazar, interni
Alcazar

geometrie imperdibili (Alcazar, Siviglia)

Attraverso la finestra






















Alcazar, i giardini





La visita prosegue, attraverso cortili, giardini ricamati di fiori, portici sospesi fra il cielo e le buganvilles rosa, che ne assediano i contorni.
E non manca l'intermezzo romantico, che spinge a rubare un attimo intimo, come se quella piccola finzione della foto potesse raccontare dei sogni romantici d'ogni passante, ma soprattutto i nostri.





i baci rubati























All'uscita dall'Alcazar, la calura ci dissuade dalla fila per la Cattedrale, ormai riaperta, e ci sediamo a gustare un Salmorejo davvero squisito, anche se purtroppo carissimo. Ma il posto scelto è fresco, e la conversazione brillante come il sole di quest'ora, che stordisce e logora le pupille. Così alla fine ripieghiamo sull'Hostal per una rinfrescata generale e poi, col ritmo placido del turista non ossessivo, ce ne andiamo un po' a passeggio. Cercando, si, lentamente di raggiungere il Barrio de Santa Cruz, ma sedendoci prima in un caffè di piazza tra granite e gelati, smarrendoci nelle vetrine di scarpe, e anche un po' nei negozi.
L'unica soddisfatta alla fine è Lo', che acquista dei graziosi (e il seguito dirà, anche pericolosi) sandaletti neri, per sostituire quelli che fino ad ora l'hanno lasciata sempre un passo indietro, o altrove, rispetto a me Madama Dorè.

















La serata si chiude con un bel tramonto sul Guadalquivir, che già naviga il nostro immaginario, controcorrente verso la prossima tappa.

mercoledì, settembre 15

Mal di Londra (2)... l'anno dopo

L'attesa finisce col trillo del citofono. 
Innalzo lo zaino sulla spalla, e rotolando le circonferenze infinite delle rotelline del trolley lungo il vialetto, così piccole che potrebbero metterci una vita, arrivo alla macchina. Quella che viaggia a terra.

   A Lila piace salire più in alto delle nuvole e immaginare che il mondo sia tutto lì in quella massa bianca sconfinata, che nasconde perfino il ruomore dei reattori; ma ancor più m'affascino nel vedere la terra che, questa volta, s'allontana dalla mia pancia e da quella dell'aereo e rimane in vista, lascandomi riconoscere i particolari delle mie spiagge: Ilio, che da quassù non sembra così grande, e i perimetri dell'Elba, e il mescolarsi dei monti e del mare più su, sulla costa ligure.
Perfino la Francia e lo Stretto sono in piena vista, e solo arrivando sulle morbide campagne inglesi qualche nube m'affranca dai troppi particolari, aumentando la gioia dell'arrivo.


Ed è così come correvo da ragazza a rivedere il mare, all'inizio dell'estate. Mi lancio sul prima treno, certa che sia il GatwickExpress, salvo scoprire poi nella faccia da cavallo placido del controllore, che ho sbagliato! 
"come facciamo a scendere???!" imploro verso la sua schiena che mi sembra gentile, non avendoci multati.
"guardi, che arriviamo anche noi a Victoria", ribatte acida, e così capisco: è come se avessimo preso un interregionale col biglietto dell'Eurostar. Con sorpresa scopriamo che il tempo è praticamente lo stesso, e con la sola ora di ritardo accumulata dall'aereo, sono sicura che fosse perchè oggi il cielo è così bello che i piloti hanno volato più piano, giungiamo all'alberghetto stretto e alto, che spazia con lo sguardo fra lo Square innanzi a se e i tetti che gli cadono in basso sul retro.
Lo conosciamo dall'anno scorso, così in poco siamo già per strada, ricordando il senso di marcia, mostrando all'amico che s'è unito all'ultimo i particolari noti e scoprendone anche noi di nuovi. Siamo in tre, stavolta; ma come al solito Lila, correndo veloce, cerca di raddoppiarsi, come se potesse essere in tutti i posti insieme, mentre ancora non s'è trovata.





Tanto nota ci sembra la città, che cominciamo dalla fine; quello che al solito è "in più" e, giganti bambini, prima di scoprire le rose del Queen's Garden a Regent's Park, ci concediamo un incontro con Gandhi e il Dalai Lama, la regina Elisabetta (prima), Morgan Freeman...
Al museo delle cere, naturalmente. Mescolanza di persone e personaggi, che talvolta sono francamente così poco dissimili che potresti sbagliare, e chiedere ad un manichino la strada per il cinema 3D, o viceversa farti fotografare con un perfetto estraneo, credendo che sia un qualche personaggio di un film che non ricordi, e scoprire , mentre sta andando via con aria seccata, che effetto ti fa essere una statua di cera! :-)
Il primo giorno si chiude sui viali del Parco, perchè la cena è un misto di stanchezza ed emozione, colorata dei progetti del giorno dopo che si ripongono sul comodino, in attesa di risfogliarli col primo caffè.

giovedì, giugno 3

Diario di viaggio (1)

Ho il tempo lento degli antichi viaggiatori del cielo, quelli che arrivavano prima in aereoporto per fare il check-in, scegliere il posto migliore, magari dopo un po' di fila in piedi o seduti sulla valigia..."buongiorno, vorrei un posto davanti all'ala, proprio sul finestrino"...  Ecco, così me lo ricordo: ché mio padre mi spiegava sempre, quando partivo, che a seconda della "macchina" era meglio scegliere un posto o l'altro.
Ora, nell'era del check-inonline, è la fila per l'imbarco che determina la possibilità di scelta; e me lo posso scegliere il posto, perchè a Lila piace essere tra i primi, per collocare bene la borsa tirare fuori la borsetta dal bagaglio a mano, indovinare da dove si scenderà... quindi cerco ancora quei posti vicino al finestrino, perchè a Lila piace staccare gli occhi da terra, e poi rimettere le cose in discussione da questa prospettiva d'alta quota, che fa sembrare tutto così piccolo...

Prima della partenza mi piace guardare i visi delle persone che mi sono attorno, chiedermi se poi li troverò cambiati, così cambiati da non sembrare più gli stessi; o appena appena.
Chissà se tutta questa gente, che aspetta un passaggio per chissadove, lo sa dove va?



Quelo che so, è che non si torna mai da nessun viaggio, se nel fare le valigie si fa attenzione a mettere ben piegata una coscienza usa e getta; usa quello che rimane di ieri, e getta il resto, perchè non si può tornare con lo stesso peso o con le stesse cose, altrimenti sarebbe meglio restare a casa.
Dove si può cambiare lo stesso e d'altra parte; se cambia chi resta è già sufficente a farci sentire nuovi.

In Svizzera comunque, bisogna fare attnzione a ciò che si butta. C'è un peso, una dimensione, in base a cui si pagano i rifiuti.
Così, invece di dire sì a tutto, bisogna controllare che quello di cui non hai più bisogno abbia la leggerezza necessaria per essere affidato al vento... che il cuore sia, o diventi più leggero di una piuma, come dicevano gli egizi, anche se easyjet non mette limiti di peso al bagaglio. Ryanair, per esempio, lo fa. E siccome non si sa mai con chi si farà il prossimo viaggio...
meglio essere allenati, e essere leggeri...

domenica, novembre 15

via dell'amore (nella foto)



La poesia si muove
Come un cavallo selvaggio,
nasce e già corre.
Invecchia e si fa
più matura e dolce,
più sicura sui campi
ove già galoppò;
rinasce a se stessa
pur se percorro
con la voce
lo stesso canto.

martedì, maggio 12

mondo gatto (Storie vere)

I gatti hanno un loro modo di farvi capire se siete o no graditi in casa, o se ne siete padroni .. e la risposta è (quasi) sempre no.
Provvisti di istinti che noi abbiamo dimenticato, soffiano all'estraneo sgradito, si dileguano se non hanno intenzione di conoscervi, languiscono fra le braccia dell'umano che è ospite (noi diciamo 'padrone') di casa loro.. ma quando voi ospiti vi avvicinate con carezzevoli intenzioni si irrigidiscono, penzolano l'arto con uno sfrigolio d'artigli se sono educati (tipo Wolverine, per capirsi) e vi suggeriscono così di non provarci nemmeno. Quando non sono educati, sono dolori!

Tutto questo non significa che non gli andremo mai a genio. In genere i plurimi tentativi di giocare con loro, di allungargli un pezzetto di prosciutto sottobanco e magari un cioccolatino (non si sa mai cosa gli piaccia davvero; gli estranei no, però), prima o poi sortiscono l'effetto di rendervi loro schiavi devoti; peggio che con i bambini. Appena li vediamo ecco che la mano s'allunga, grattatina dietro le orecchie, sul dorso... loro accennano alle fusa e noi diventiamo incapaci di smettere.

Comunque questa è l'esperienza.
Ed anche se ci accettano di solito le riserve sono ampie, anzi, smisurate.
Per dire: la Velaia vive in casa di "Muddrica", un italianissima gatta tigrata, che ha addestrato la convivente bipede a cucinare il cavolo bollito un po' più spesso, a prenderla in braccio mentre scrive al computer o parla con gli ospiti, a riprenderla dopo le passeggiate sui tetti quando, stanca di inseguire i gabbiani, o di tirar zampate alle farfalle, anela una sacrosanta bevuta o due biscottini col té.
(la gatta, eh!)
Al mattino quando decide che è ora di far quattro passi inizia un languido miagolio, qualche zampettata morbida sul braccio... ma tuttto sommato a volte è domenica, e ad inizio week end è arrivata l'estranea-con-zaino-blu (Lila), che sembra essere abbastanza addestrabile. Fa le coccole a Muddrica, si ritrae quando Muddrica è stanca, diffonde l'aroma del caffè mentre versa il latte nella ciotola di Muddrica; ha perfino capito che Muddrica ama uscire dalla finestra del bagno, e quindi deve poterci entrare sempre. Anche quando ci va l'estranea.
(non vi dico le corse, per chiuderla fuori)
Ma la cosa destinata a sconvolgere l'ecosistema casalingo, e quindi la serenità imperturbabile di Muddrica, è stata l'inizio delle strane attività motorie dell'estranea. Dapprima tranquilla, con libro e caffè, come la Velaia si comporta di solito, dopo un po' ha invece iniziato a muoversi in su e giù, a torcere la schiena, a piegarsi a terra come per carezzare Muddrica, ignorandola invece per toccarsi le punte dei piedi (facevo Yoga); ma quando l'estranea si mette a testa in giù per Muddrica è troppo: corre dalla Velaia e inizia un racconto accurato e disperato delle stranezze che ha appena visto!
(in pratica ha svegliato la Velaia e forse tutto il palazzo, con un ininterrotto borbottato miagolio!)




... e noi che credevamo accadesse solo nella fantasia animata di qualcuno!

lunedì, febbraio 9

A Lila piace...

Correre con i piedi, più veloce che con i pensieri...
Il silenzio diverso del lago, ogni mattina...
La cornacchia nera, sui rami spogli del tiglio...
Ricordarsi suo papà che legge ad alta voce il Signore degli Anelli...
Ricordarsi di sua mamma che fa il cioccolato con la panna del latte munto la sera prima...
La canzone di "Tutti insieme appassionatamente", in cui elencano le cose che piacciono di più. a cui pensare quando sei giù!

sabato, dicembre 13

Estratti di felicità (notiziario dal mondo)

Dedicato a chi lo può mangiare:

"Il cioccolato fondente è un antidoto alle abbuffate natalizie

...molto buono, il cioccolato fondente è una ricca fonte di antiossidanti, di acidi grassi sani e alcuni studi hanno rilevato effetti benefici contro la depressione. Ora un gruppo di ricercatori dell'Università di Copenaghen ha scoperto che proprio il cioccolato può aiutarci a contrastare le abbuffate natalizie.

L’esperimento - Secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Daily Mail, i ricercatori hanno condotto una ricerca su 16 giovani maschi sani con un peso normale. I volontari sono stati a digiuno per 12 ore e dopo sono stati divisi in due gruppi. A un primo è stato dato cioccolato fondente da consumare in soli 15 minuti, all'altro invece è stato dato cioccolato al latte da consumare nella stessa finestra temporale. La quantità di calorie del cioccolato fondente era pari a quella del cioccolato al latte.

Chi mangia il fondente poi ha meno fame - Dopo questa abbuffata veloce di cioccolato, i volontari hanno dichiarato quale fosse il loro livello di sazietà. Dopo altre 5 ore di digiuno, i ricercatori hanno dato pizza a tutti i volontari. Ebbene, a quelli che avevano mangiato cioccolato fondente è bastata per sentirsi sazi una quantità di pizza che aveva il 15 per cento di calorie in meno rispetto a quella necessaria per saziare il gruppo di volontari che aveva mangiato il cioccolato al latte.

Più nero e più sano - Per questo i ricercatori sono convinti che mangiare il cioccolato fondente può aiutarci a frenare i nostri impulsi onnivori che si scatenano in questo periodo festivo.
Esperimenti o no, che il fondente sia più sano del cioccolato al latte lo sanno tutte le nonne e, ormai, pure i nipoti. Però fra tutti i tipi di cioccolati che ci verranno offerti durante le feste (nocciolato, mandorlato, bianco, con la granella, al caffè e chi più ne ha, più ne metta), scegliendo quello nero sapremo che non daremo soddisfazione al solo palato."

(Articolo apparso su: http://natale.tiscali.it/articoli/12/cioccola_contro_abbuffate_123.html)

Dato che io purtroppo non lo digerisco, aggiungo quindi un articolo trovato da mio padre...

"LA FELICITA' CONTAGIOSA, SI TRASMETTE A CHI E' VICINO (ANSA 2008-12-05 12:26)

ROMA - La felicità è contagiosa: si trasmette, infatti, da una persona all'altra, anche se l"untore'' felice non conosce direttamente gli individui destinatari della sua gioia. E l'effetto 'contagio' dura fino a un anno.

Lo dimostra uno studio diretto da Nicholas Christakis della Harvard Medical School e della California a San Diego: la ricerca mostra, infatti, che quando un individuo è felice dell'Università contagia gli amici e gli amici degli amici, disperdendo la sua gioia su tre gradi di connessioni nella rete sociale.

Pubblicato sul British Medical Journal, lo studio è stato condotto sul campione della precedente indagine 'Framingham Heart Study' sulla salute degli americani: 5124 adulti di 21-70 anni reclutati e seguiti tra 1971 e 2003.

Gli autori dello studio hanno trovato 53.228 connessioni sociali tra i 5124 partecipanti, e si sono quindi concentrati su 4739 persone seguite dal 1983 al 2003. Ad essere fondamentale in questo meccanismo di trasmissione della felicità, hanno ossrvato i ricercatori, è la distanza tra i soggetti.

Se due amici vivono infatti a mezzo miglio di distanza (800 metri circa) e uno dei due vive un periodo felice, l'altro ha il 42% in più delle chance di essere felice a sua volta.

Le chance calano all'aumentare della distanza: due miglia (3,2 km circa) equivale a una probabilità di essere contagiato dalla felicità dell'amico del 22% in più. Fortunatamente, però, la tristezza non riesce a diffondersi così a macchia d'olio, sostengono gli autori del lavoro."


... sperando che siate così buoni con me, dopotutto è Natale, da mangiare tanta cioccolata, sentirvi più felici, e contagiare quante più persone possibile...


Occorre considerare che, quando mia madre era a dieta era diventata piuttosto triste, forse proprio perchè le avevano tolto la cioccolata...?

Come il denaro, il nero cibo degli dei non farà la felicità, però aiuta parecchio.

:))