venerdì, ottobre 31

L'immensa meraviglia


L'universo è racchiuso in un guscio di noce (titola Stephen Hawking).
E ad ogni osservatore, situato in un punto qualsiasi della Galassia, può sembrare di esserne il centro. E di fatto è così, e non solo!
La fisica moderna, risolve l'enigma di Dio semplicemente arrivando ad un punto in cui, postulando che siamo sulla superficie di una ipersfera, non ha praticamente senso chiedersi cosa ci sia dentro: "ciò che si vede è ciò che c'è dappertutto" (Davies).
In sostanza si arriva ad un punto oltre cui non si può vedere; e se a qualcuno basta, e se la fede aiuta il buon religioso, altri, sul margine dell'abisso, rimangono sospesi e incerti.
Possibile che finisca così?
Come la luce, che "si muove attraverso il cosmo inseguendo galassie che si stanno allontanando dalla sua sorgente", l'u9mo è destinato ad inseguire l'Idea, per spiegare (a) se stesso. E per trovare la sorgente.

"è possibile che l'universo abbia volume finito senza possedere un centro o un margine" (ibid).
Ma come nella storia del fiore dei sette colori (cartone animato che guardavo da piccola), la ricerca appare terminare nel suo (delll'uomo) giardino:
osserva l'osservabile (tutto ciò che è nel suo orizzonte, nel momento in cui guarda), che probabilmente, come un ologramma, rappresenta il tutto. O forse no. Infatti si è sviluppata la teoria del Multiverso, per cui il nostro sarebbe un universo-tasca, e ne esisterebbero altri con diverse caratteristiche. Non osservabili, per ora.
Qui mi fermo. Studiando il corpo umano viene fuori che esso è fatto esattamente così: ci sono un serie di spazi e di connessioni che l'uomo 'comune' non può neppure immaginare.
"Possibile che sia tutto così collegato?", mi chiedono i pazienti quando tento di spiegare come un alluce valgo possa dipendere da una malocclusione dentale.
Si. è possibile.
La struttura del corpo umano è, di fatto, una ipersfera.
Ora provate a mettervi dalla parte della cellula. Una cellula può osservare solo una piccola parte dello spazio attorno a se. E dentro di .
All'interno di sé nota un altra serie di strutture, analoghe alle matrioske: una nell'altra, fino a che, se la cellula è uno scienziato, trova (anzi non trova, ma ne postula l'esistenza) una cosa che chiama stringa, se vive negli anni 2000, o atomo se vive nella parallela 'antica' Grecia.
La cellula in questione osserva l'osservabile, e si trova sulla superficie dell'ipersfera.
Tutte le altre cellule fanno lo stesso, stabilendo un punto di vista da "rete", perché sono connesse, che lo sappiano o no. Ma, supponendo che ciascuna cellula sia un nodo, in quella stessa rete, esistono dei punti di essa che, con lo sguardo, la cellula non raggiunge. O che non osserva.
Ecco, l'uomo (cellula).
L'uomo che non osserva, quando è racchiuso in se stesso (come i malati, che, giustamente, fino ad un certo punto, pensano solo a se stessi) è come l'universo-tasca. Non riesce a vedere tutti gli altri universi. E a questo punto, paradossalmente, non vede nemmeno più dentro di se. (interno dell'ipersfera).

Ritorno a "quattro dimensioni"
(la teoria delle stringhe ipotizza che ce ne siano dieci, forse undici).
Ieri mattina mi sembrava che tutto intorno fosse 'vacuo', illusorio. Sarà stato per via della luce umida di pioggia, che rendeva i confini poco netti.
Perfino lo shopping (il che è tutto dire) sembrava privo di senso. Ci sono stata dentro per un po', a questo stato strano. Poi, all'improvviso, è cambiato qualcosa. Non so. Ho cominciato a parlare con le persone, per strada. Ho ringraziato il barman, perché mi aveva fatto un buon caffè. Ho scherzato con quelli che, come me, si sono trovati imbottigliati nel traffico delirante post-manifestazione. Sono riuscita, pur protestando perchè aveva combinato un po' di confusione (ma questa è un'altra storia) a mettermi nei panni della cassiera del supermarket e far considerare ai clienti che comunqiue lei stava lavorando. Insomma, ho accordato agli altri un po' di quel tempo che, come i bambini, tenevo stretto gelosamente.
E forse sto guarendo, ora.

« Questo ... [universo, uomo, dio]che sta nel cuore é più piccolo di un chicco di riso, più piccolo di un chicco d'orzo, più piccolo di un chicco di senape, più piccolo di un chicco di miglio, più piccolo del germe racchiuso in un chicco di miglio; questo .. [universo, uomo, dio]che sta nel cuore è anche più grande della terra, più grande dell’atmosfera, più grande del cielo, più grande di tutti questi mondi messi insieme »


martedì, ottobre 28

Bici blu

Domenica ho tirato fuori la vecchia bici blu, regalo di un carissimo amico, cui ne hanno regalata un altra... e forse un giorno io la regalerò a qualcuno; ma intanto è parte della mia nuova vita, essendo giunta dopo l'incidente, nata in strada, e come me già vecchia ad una nuova vita. Secondogenita.

Assieme al sudore, mentre pedalo dalla pelle si sfila il ricordo di quella vecchia canzone dei boyscout, che recita più o meno: "ho tirato fuori la mia vecchia bicicletta, / quella d'altri tempi col manubrio da corsa / il cambio a tre marce con il filo e la levetta..".; diventa la colonna sonora di questo viaggio per la città e quando non ricordo le parole intercalo con un sorriso, "che si allarga piano piano".
E mi viene da rivolgerlo a tutti, oggi, un sorriso. A tutti: alla signora con lo sguardo basso, e l'angolo della bocca piegato all'ingiù, come le maniche delle camicie riposte nei cassetti.
All'uomo con il cappello, che gratta il cambio e va lentissimo sul viale dei ricordi; la moglie, al suo fianco, è già arrivata a quella volta che, invece di andare ad Ostia, s'era mangiato un gelato a Frascati; e mentre cercava di misurare attraverso lo stiracchiarsi di Roma quanto fosse lontano il mare, lui le aveva preso le dita fra le mani, e fatto un promessa..
Intanto mi passa di lato la casa diroccata, quella che: "se vincessi al super enalotto". Non gioco, ma se vincessi, la farei restaurare: con le sue bifore, la torretta, lo stemma, sull'architrave di marmo, che schiaccia una porta che quasi non esiste più. Il giardino sul retro ,che divide la casa dalla nuova villetta, è invaso dalle erbacce; la vite americana, rossa e potente, si mescola con l'intonaco; una colonnina delle bifore è spaccata, s'è gonfiata come una gangrena. Ma io la vedo, nel suo massimo splendore: un castelletto, adesso un po' fuori posto, che era il confine della città, e rimane come baluardo di un tempo in cui le pecore, non le villette, erano l'unica cosa bianca che si vedeva nei prati.
Più avanti, nel recinto vicino all'acquedotto romano, qualche pecora magra a dire il vero c'è ancora. Gli agnellini le saltellano intorno e cercano invano di ciucciare il latte cdalle mammelle maldisposte, o forse vuote, perché la terra rivoltata è più dell'erba.
è di fronte a questi balzelli scoordinati, dell'agnello bianco e dell'agnello nero, che trovo l'unica persona che ha messo un sorriso, al posto del vestito da festa; e sta lì a contemplarsela, la vita, che nonostante tutto prende il sopravvento.


Pretty Women

Questi giorni, linkando (?) da blog a blog (oddio, comincia a sembrarmi un linguaggio assurdo), sono capitata sui siti di professionisti 'frustrati' così si chiamano loro, fra cui le commesse. Divertentissimi, certo, e senza dubbio ti fanno mettere nei loro panni, almeno un poco. Lavoro a contatto col pubblico, almeno quando lavoro, e so quanto può essere terribile, dopo una lunga giornata ma... anche i clienti a volte hanno ragione d'incazzarsi:

Pretty Women: l'inverno scorso decido, dopo anni, che è ora di comprare un paio di jeans. Ora, essendo mia intenzione usarli per lavorare, contavo di spenderci una cifra ragionevole, maOre le ricerche inutili nei negozi più popolari, forniti solo di modelli a vita ultrabassa, mi conducono ad entrare da MaxMara.
Accidentalmente trovo una commessa cortese (successive visite dimostrarono l'accidentalità) anche con i poveri mortali, che mi aiuta a spendere 100 euro per un solo paio di jeans; però mi calzano benissimo. Quello che non so, è che le taglie di MM sono per clienti che hanno bisogno di credere di essere più magre di come si vedono, e soprattutto di essere dimagrite senza fare la dieta. Una 42 corrisponde quindi ad una 38 di Benetton o simili, (ma ad una 44 di Killah, che 'veste poco'). Per capirsi: i primi due giorni non mi sedevo nemmeno a terra, o sulle scale in Piazza di Spagna, per non sporcare quella meraviglia di Jeans. MA: dopo pochi giorni il jeans cede, mi si adatta addosso.. e comincia a mostrare la sua vera natura: mi va largo, insomma. Per un po' li metto lo stesso, ma quest'anno, dopo mesi di duro lavoro fisico la sproporzione è tanta che cedo. Vado a prenderne un altro paio.
Entro da MM, quello 'solito' e trovo una commessa comune, in divisa, cioè con tailleur nero (io, appena scesa dalla moto, indosso maglioncino, gonna sportiva e stivali, più un paio tra borsa e zainetto, perché sono in giro per commissioni). Le faccio presente la storia dei Jeans che 'ora mi vanno larghi e avrei piacere di ricomprare perché mi sono trovata così bene'.
Errore 1: uso troppe parole.
Errore 2: dimostro di non avere dimestichezza. La commessa mi guarda dall'alto al basso e mi dice: "sicura di averli comprati qui?"
"si, guardi, ne sono certa. L'anno scorso. ".
"non credo" Il viso della signorina comincia a mostrare segni di insofferenza e disgusto.
"ma si, erano della 'linea week-end. Sa mi stavano così bene, ma sono dimagrita.."
Errore 2: le sto dando confidenza.
(si tratta di un errore qui, altrove in genere è piacevole. Nel mio negozio preferito prendo il caffè con la gestrice, e mi fa provare le cose anche quando sa che non le comprerò).
La conversazione, dopo di ciò va in loop e la signora arriva anche a dire he non le sembro il tipo che fa acquisti da loro (!!!). Barcollo.
Ma non mollo.
Due giorni dopo torno, vestita elegantemente, tirata a lucido fino alla punte delle scarpe, mi sento come Julia Roberts (beh, quasi). Entro con l'aspetto deciso di chi conosce il negozio, mi avvicino alla commessa comune, la guardo dall'alto in basso: "ho bisogno di un paio di jeans", esalo con aria sofferta, come se fosse davvero fastidios, doverlo fare.
In pochi secondi mi trovo condotta nella stanza giusta, con una commessa cortese che mi segue. "che taglia?".. "38", dico di corsa (non ci credo nemmeno molto).. e speriamo che vada bene.
La prossima volta, però, ci vengo co' 'sti jeans a fare shopping.

domenica, ottobre 26

Ora (il)legale


Stavolta è successo anche a me. Stamattina esco con la bici, quasi senza colazione ma con l'allegra prospettiva di comprarmi una pasta, magari due, dopo la sfacchinata. Pedala pedala, finalmente mi sembra il momento di tornare indietro e fermarmi quindi a fare la sospirata colazione. Mi faccio di volata l'ultimo tratto del parco, via delle Capannelle, Torre spaccata e.. sì, finalmente avvisto la Cornetteria. Si tratta di una pasticceria punjiabi, dove lavorano dieci piccoli indiani, farinosi e aromatizzati alla vaniglia. Quando entri ti guardano come fossi un bignè, e ti trattano con le cure del caso: ti servono con dolcezza.
Le paste sono molto buone. E quelle italiane, da loro, acquistano un che di esotico ti fanno quasi viaggiare, lasciandoti immaginare un universo d colori (quello della versione edulcorata che il cinema della loro terra inizia a proporci).
Ho già l'acquolina in bocca, e la fame è tanta, tuttavia una telefonata (la prossima volta il cellulare resterà a casa) mi porta l'attenzione sull'ora: le 12 e 20! Capperi, mi sa che rinuncio, o mi rovino il pranzo, mi dico,; e lo faccio anche. Convinta di arrivare a casa e cucinare, a questo punto, un delicato e delizioso pranzetto, riprendo la bici e arranco, in calo di zuccheri, per l'ultimo pezzo di strada.
Breve sosta al supermarket per rimpinguare la scorta di mele, ma appena metto piede in casa sono già sulle padelle. Aglio, olio sale.. mah, magari posso sentire un TG. (penso). Solo che non ce ne sono,. E l'orologio del videoregistratore mi blocca con gli ingrdienti già versati nella cuccuma: le 11.40.

A questo punto mi restano le mele. Che hanno l'esotico sapore del Trentino, odorano dell'aria tersa delle valli tra le Dolomiti, e racchiudono un succo dolce , appena consistente. Ma , scusate, a quella crema, appena speziata di chiodi di garofano, non ci si avvicinano neanche.
A questo punto, mi resta anche una domanda: ma dove sta il risparmio, del cambiare l'ora? Nel non avr comprato le paste?
Perchè torno a casa, il pomeriggio, e devo già accendere la luce. L'Acea in genere se ne accorge.
Mi viene fame prima, quindi cucino più volte.. ingrasso e devo andare dal dietologo.
Col fatto che fa buio presto mi pare più freddo; quindi corro a comprare un maglione.
Sto esagerando? Ma pensate a quanto si lambicca l'organismo, che, secondo la medicina cinese, ha tutta una serie di ritmi di maggiore e minore attività degli organi, legati agli orari..
Le implicazioni sono infinite; hai male da una parte dalle 17 alle 19 : sono i reni, con l'ora solare. Con quella legale devi far di conto, e ci arrivi lo stesso, ma il bioritmo no. Ti tocca andare a fare agopuntura, per bilanciare i meridiani...
Allora, dov'è il risparmio?

sabato, ottobre 25

Umor nero

Non humor, ma umor nero, anzi rumore.
Un rombo sordo ha percosso le mura della casa, quasi da far tremare le gocce d'acqua che percorrono le piastrelle, rimbalzate sul muro dal corpo, mentre faccio la doccia.
A guardar fuori sembra che, per scherzo, qualcuno abbia sostituito il palazzo di fronte con una immensa tenda d'acqua. Non c'è alcuna soluzione di continuità, tra una goccia e l'altra. Sembra che la stessa realtà molecolare, si sia compattata, riducendo la propria massa in quel filo continuo che tremola innanzi agli occhi.
E mi rende la ragione di un altro filo, quello sottile del dolore. Sordo come il rumore del tuono, da un paio di giorni mi avvisava che qualcosa stava muovendosi, lassù nelle alte sfere.
Mi avvisava di non cantare vittoria, non ancora, che cinque mesi sono pochi per una cicatrice come questa. A vederla, quella che sta fuori, piccola, rossa , secca e minuscola linea che costeggia il margine frastagliato della cresta ossea della colonna, non si direbbe.
Non si direbbe che dentro possa esserci qualcos'altro. Qualcosa che si è compresso, che si è rotto per il peso e la tensione che, insopportabili e incurati, si sono sfogati al primo evento utile.
Di fronte ad una frattura, ti senti immediatamente impotente. Nel senso che la percezione di onnipotenza di un corpo allenato, di una mente abbastanza vigile e veloce, si sfalda e si comprime. Rimane un misero resto della perfezione che c'era: un cilindretto schiacciato e deforme, al posto di un rocchetto elevato al cielo, che dipanava gioioso il filo della esperienza (parlando di psicosomatica) ad esso collegato.
Bisogna fare i conti, con questa cosa.

"Signora, non si deve muovere. Lei ha una frattura vertebrale".
Certo, il crack lo avevo sentito. Ma dalla moto sono caduta tante volte, senza danni, che semplicemente non avevo contemplato il fatto che potessi farmi male. Ero a terra, su quel piano d'asfalto da cui si è rialzata (anzi rotolata in barella) un'altra me, nel momento in cui sono rinata da sola per una spinta in dentro, e non in fuori. Ero a terra ed ho pensato, sì, "si è rotto qualcosa". Ma pensavo che fosse solo la mia forza della giornata. "ecco, ho una buona scusa per non ri-uscire", questo, ho pensato.
Poi la gente. Questa pioggia mi da la stessa sensazione di quei visi: nel ricordo sono solo una linea incessata di fronte agli occhi.
Ininterrotto da mesi, pur se a volte mascherato dall'iperattività congenita, mi logora, questo filo. Immagino che qualcuno sia lì, alla metà della mia schiena, e lo stia muovendo avanti e dietro. Non potrebbe, non dovrebbe, dolere ancora così.
Anche se il dolore è cambiato. Ora s'è cupo, e più circoscritto.
Lì, allora, era una mano che serrava e incastrava, come se tutto il corpo dovesse, per risolverlo, implodere; raccogliersi in quel punto che non sapevo dove fosse. Che si chiudeva in . Grattando.
Lo sento ancora, il grattare.
Al lato destro, tra fegato e polmone, come qualcosa che fatica a scorrere,;e talvolta mi socchiude un poco il respiro. Socchiude, riduce, sgrana.
Lì, allora, nemmeno ci riuscivo bene, a respirare. Inspirare profondamente, per riprendersi la vita sembrava impossibile. E avevo paura di espirare. Avevo paura, lì si, che espirando mi sarebbe scivolata via la vita e il movimento che invece si sentivano pulsare. Perché le gambe le muovevo. E la schiena batteva. E il sangue, batteva sulla schiena.
"Come, non devo muovermi? sulla barella mi ci sono messa da sola", rispondo guardinga al dottore- Poi mi sfugge altro fiato: "ma dove si è fratturata?"
"La seconda vertebra lombare".
Cristo.
"Si, ma mi dica dove si è fratturata: il corpo, un'apofisi, l'arco.."
Il terrorismo da pronto soccorso, dopo che per due ore mi avevano fatto spostare, girare svestire per fare radiografie e Tac, mi ha conservato la lucidità dell'autodiagnosi: mi muovo, tanto grave non sarà.
Il corpo, però, si era rotto comunque. Ed ho esalato, in quel momento, il respiro trattenuto. Ho lasciato che rantolasse, che strisciasse fuori, per rimettersi nello spazio esterno, che gli avevo negato, tra me e quel medico che mi ha chiamato "signora", quando fino a poco prima ero la ragazzina dello scooter.
Ho pianto, dopo. Dopo, perché davanti a loro avevo bisogno di fingere che andasse tutto bene. Lo sapevamo, loro ed io, ma la mente, no. Ha bisogno di mentire fino all'ultimo. Quando ti racconta per distrarti, tutta la tua vita. Che sembra proprio di riviverla tutta, e se ci si pensa, a volte, viene da chiedersi se questo che sto vivendo è la vita, o la vita che ricordo.
Questa, oggi, è la vita che ricordo. Però io sono viva.

giovedì, ottobre 23

Egitto (ricordo dell'altra vita) 3


Pesciolino è di salute cagionevole. Spesso è stanco, o gli fa male qualcosa. Io, carognetta golosa di antichità, insensibile q.b., dopo aver mangiato di tutto, tranne i dolci alla crema, sprizzavo salute da tutti i pori, mentre lui, nell'angusta cabina della nave (il bagno era più grande del letto, però) gemeva febbricitante. Poverino. Ha preso l'antibiotico, così il giorno dopo stava meglio ed è venuto a vedere Edfu e gli altri templi. E siccome si sentiva meglio ha mangiato altri dolci alla crema e poi.. non ve lo dico. Ma stava tanto meglio che mentre anche il 'romano' si sentiva male, lui (infermiere) ha smesso l'antibiotico. Chissà perché, dopo questa mossa, è peggiorato. Quando siamo arrivati a Luxor il commento è stato che la crociera era troppo breve.
Non vi dico. Non è venuto alla Valle dei Re, non è venuto ai Templi di Karnak e Luxor, e quando ha scoperto che ci avevano cancellato il volo diretto per Sharm el Sheik pensavo davvero che non ce l'avrebbe fatta.
A dire il vero lì mi sono imbestialita anche io, ma ero abbastanza serena, siccome avevo mangiato bene (gelato compreso, ma i dolci alla crema no, perché era caldo), avevo visto tutto quello che c'era da vedere, e avevo salvato la macchina fotogtafica dal sequestro, quando alla Valle dei Re la 'romana', cretina fino all'ultima doppia punta dei lunghi capelli biondi, nostante fosse vietato aveva fatto una foto col flash. Il problema è che la guardia ha visto la mia vecchia , enorme, reflex, e non la sua minuscola macchinetta digitale, subito scomparsa in una tasca. Pensando fossi stata io a compiere il crimine contro l'arte e l'antichità, la solerte guardia voleva sequestrare il mio occhio meccanico, ma per fortuna biascico quel tanto di inglese, che mi ha permesso di spiegare che era un po' difficile scattare una foto col flash.. senza flash.
Comunque mi sembrava che il tempo fosse davvero abbastanza per un'altra gita ai templi con Pesciolino, che nel frattempo era migliorato, e sono riuscita a mantenermi lucida abbastanza da chiamare l'agenzia a Roma e farci risolvere il problema dell'aereo mancante. Causa overbooking infatti, a noi, che non viaggiavamo certo con la Franco Rosso, ci volevano mandare a Sharm in macchina,
500 km di deserto con due (e mezzo, anche la romana non stava in forma) che stavano male: vi garantisco che anche il mio più forte spirito d'avventura è retrocesso, lasciando il posto ad una furia indiavolata, tipo la Evy (quella della Mummia) quando lotta con l'asiatica nel secondo film. Ottenuto l'aereo dovuto (pagato!) ma con scalo al Cairo, e secondo volo (per noi era ormai il sesto) per l'agognato riposo a Shatm el Sheik, mi sono portata Pesciolino ai templi; per fortuna abbiamo lasciato in albergo la sua parte malata e la mia parte incazzata, e per un po' siamo stati, entrambi, le nostre due parti buone.
Ma vi giuro, tutto ha un limite.
Quando sull'aereo tra il Cairo e Sharm mi sono sentita dire "ci manca solo che l'aereo precipiti" ho lasciato che la mia parte maligna prevalesse, e da allora in poi credo che sia rimasta sempre un po' troppo viva!
A Sharm,dove per prima cosa ci hanno detto che era meglio non mangiare dolci alla crema per via del caldo, ho chiarito che non avevo intenzione di fargli da balia se non si curava, e mi svegliavo all'alba per fare il bagno da sola, stavo al mare quando tutti,(c'erano anche i napoletani) andavano in piscina (ma vi pare ragionevole, con quel mare??), e facevo la guardia alla barriera corallina rimbrottando tutti i bagnanti che la toccavano con le mani. Ero insopportabile.

Però che mare. La mattina presto nelle acque dipinte d'arancio dal sole che spuntava dietro lontani colline di roccia rossa, si faceva vedere anche un bellissimo pesce Leone; bianco e rosso, e molto timido, nonostante abbia portato Pesciolino verso la sua tana svariate volte, durante il giorno non si è mai fatto vedere.
Ma non è andato tutto così male. Io e Pesciolino ci lasciammo di comune accordo solo a Novembre dello stesso anno.
Ed ora siamo anche tornati amici, e, talvolta, mi pare d'entrare meglio nello specchio, quando l'altra si scansa.
Ora viaggio, critica.

Egitto (ricordo dell'altra vita) 2

D'accordo, il torcicollo è terribile e, evidentemente, dal lato in cui riesci a guardare il modo è tutto nero. Comunque Pesciolino si riprende, e durante la gita a Menphi e Saqqara, l'armonia torna sovrana. Nonostante il commento incidentale, dopo la cena organizzata, sul fatto che, certo è tutto bello, ma "preferisco fare da solo".
Gradevolissima la gita alla Moschea, una volta risoperta con veli la 'romana' , che era un po' troppo svestita. Incantevole la passeggiata nel mercato, dove Pesciolino mi aiutava a contrattare. Il mercato del Cairo è pieno di odori e colori, e di quegli omini fantasici che portano sulla testa enormi vassoi carichi di pane odoroso, che ombreggia di farina i profumi dei banchi delle spezie.

Il giorno successivo iniziò ancor prima dell'alba, per andare ad Abu Simbel.
E qui mi sono goduta una lunga alba, stando in volo, dato che ero accanto al finestrino. Gli altri dormivano. Qualche giorno dopo al quinto o sesto aereo, mi sono sentita dire che dormivano perchè lontano dal finestrino non si vede nulla. Abbiamo fatto cambio di posto, ed hanno dormito lo stesso. Poi dite che non mi fido della gente.
Tornando al viaggio, arriviamo in aereo fino ad Assuan, dove ci prelevano il bagaglio, gli incaricati dell'Agenzia di viaggi, e ci ricacciano nell'aereoporto per prendere il volo verso Abu Simbel.
Lì giunti, eravamo solo quattro, perchè i napoletani sono andati a Sharm-el-sheik, ci guadiamo un po' disorientati intorno per capire cosa fare. L'aereoporto di Abu SImbel è un capannone, appena un po' più decente di come lo immaginate, da cui gli aerei-bus vomitano fuori i turisti, che vengono poi risucchiati da semplici bus per arrivare al sito archeologico. Una volta capito il meccanismo è tutto a posto. Sapevamo che la Guida ci aspettava sul posto, quindi seguiamo il flusso, non senza qualche piccolo sussurro ("certo che ci poteva anche venire a prendere"). Sorrido, felice nonostante tutto, perchè fermamente decisa a non farmi rovinare da nessuna ombra.
La visita guidata è breve, ma poi siamo un po' liberi di scorrazzare in giro, finchè non dobbiamo avviarci per tornare. I vaghi sussurri di prima divengono vibranti proteste quando ci tocca localizzare il bus, arrivare in aereoporto, scoprire da soli che occorre fare la carta di imbarco anche per il ritorno (meno male che il capannone aeroportuale è pieno di italiani) e che tutto sommato... l'aereo funziona come un bus turistico: contano i passeggeri! Perciò se ce ne sono 100 all'andata devono essere 100 al ritorno, due ore dopo. Altrimenti aspetta.
A questo punto, visto che sono stata io quella che si dava da fare per capire la faccenda, e fra l'altro la carta d'imbarco mancante era la mia, mi permetto di far osservare a Pesciolino che "preferisce fare da solo" che gentilmente ci stavano proprio concedendo questo.

La sera gli è venuta la febbre.



mercoledì, ottobre 22

Egitto (ricordo dell'altra vita) 1

Era l'estate del 2004, e si doveva partire per le ferie. Io e il ragazzo (Pesciolino) che frequentavo allora. Dopo aver contemplato per qualche giorno l'idea di un viaggio in Spagna, autogestito, mi reco in agenzia per prenotare il volo su Madrid ed ecco che, in bella vista, fan mostra di diversi volantini di offerte per crociere sul Nilo e viaggi in Egitto.
All'altra "fantasia qui mancò possa", così chiamo il Pesciolino e gli propongo l'alternativa. In realtà ne avevamo già parlato, e dimostrandosi d'acccordo anche lui cogliamo l'occasione. Due estati favolose, mi dico io: l'anno scorso il Messico, questa volta l'Egitto!
Si parte, e il maschio, Pesci (da cui Pesciolino, nome di fantasia qui attribuito), evidentemente in conflitto inizia il viaggio preda del torcicollo. Vi immaginate? Io gemelli, lui pesci: era come partire in quattro, e già è difficile accordarsi in due. Comunque tanto è il mio entusiasmo e l'ottimismo (tipo quei pazzi di Trony, rin-tronaty, appunto) che, nonostante le interpretazioni psicosomatiche, mi convinco che tutto si aggiusterà. Raggiunto il Cairo scopriamo che sono della partita due coppiette in luna di miele: due romani e due napoletani. Simpatici q.b. (quanto basta).
Il primo giorno ci svegliano all'alba, non per l'ultima volta, e ci portano a vedere le Piramidi. Immaginate arrivare in quel posto straordinario da soli: noi e la favolosa Guida. Memoria virgiliana, egli ci conduce nel caldo infernale prima che sia così caldo da bruciare, e percorriamo il tratto dalla Sfinge alle Piramidi in gioiosa solitudine. Io rinfoco l'affetto per Pesciolino, che è qui con me; lui si concentra sulla sveglia così presto. Fa niente.
Andiamo a vedere il museo della barca di Cheope: io mi concentro sull'effetto di osservare qualcosa di così antico, ancora perfettamente conservato; lui sul fatto che sia tutto da pagare. Fa niente.
Ci entusiasmiamo entrambi per il viaggio dentro la piramide di Micerino, mentre devo tenere la manina della ragazza di Roma, che ovviamente soffre di claustrofobia. Io, non il marito. Strano.
Da buoni turisti facciamo anche la "cammellata", e ci chiedono chi vuol salire per primo. Visto che sono tutti titubanti, mi propongo e mi fanno arrampicare sul bestione.
Naturalmente la passeggiata è bellissima: ad un certo punto dinanzi a te c'è solo il deserto, e sembra sconfinato. Immagini che ti perderai dentro quest'emozione rossa e polverosa che ti sale dentro, trapassa il freddo dell'ancestrale paura di perdersi, e ti arraffa lasciandoti essere per pochi istanti un solo piccolissimo granello di sabbia.
Poi emerge la punta della Piramide.
Ti sembra che il mondo torni al suo posto, ma in un altro tempo. Per i pochi istanti in cui si intravede solo il residuo cappuccio marmoreo, ti senti vecchio migliaia di anni, ma eccezionalmente vivo. Gonfio di vita, che hai quasi paura di scoppiare. Tutta la sabbia del deserto, fluida e calda ti scorre nelle vene; la storia, quella che hai letto tante volte, sei tu che caracolli sulla 'nave del deserto', traghettato tra due dimensioni che si sfiorano. Sei la linea di confine. Il baluginio del primo sole.

Ebbene, scesi dal cammello, il miglior commento è stato che, stando dietro, si sentiva troppo che i cammelli puzzano.
Io mi sono lavata un po' meglio la sera. Non si sa mai.


lunedì, ottobre 20

Impressioni

Giorno 4

GIORNO 3
Sono abbastanza soddisfatta; la giornata è andata bene e anche oggi sono riuscita a non farmi degli amici. Ho anche discusso con uno degli assistenti, per via di un "processo alle intenzioni". Mi spiego. Il collega con cui stavo provando, ritenendo che io avessi la mano leggera, voleva 'sentire' la mano dell'insegnante; chiamiamo quindi l'assistente X, che è molto bravo ma un po' Hermione Granger, quando fa la "insopportabile so tutto". A volte, quando siamo bravi, tendiamo a metterci in mostra un po' troppo, e, capita troppo spesso anche a me, utilizziamo un modo complicato di esprimerci tanto per dimostrare che ne siamo capaci. Invece di essere umili, umiliamo.
Non è che mi sentissi umiliata, piuttosto ero 'innocente', stavolta, e tornando al 'processo alle intenzioni'. Signor giudice, dicevo, non ho colpa: nego tutto, io di intenzioni non ne avevo. Non volevo sapere dove era il problema (cosa che nessuno ci aveva richiesto, come lei dice), ma solo se la manovra era ben fatta!Anzi, non lo volevo nemmeno io, ma il collega. La discussione comunque stava entrando in loop (avete presente? si continuano a ripetere le stesse affermazioni senza comprendersi, e alla fine si litiga) così l'ho chiusa chiedendo semplicemente di riprovare.
Alla pratica successiva ovviamente ho cambiato collega, e anche assistente. Finché non ho sentito il primo con cui ho lavorato dire alla sua sfortunata partner: "mi sembra che tu abbia la mano leggera.. chiamiamo un assistente".

Io e X alla fine ci siamo chiariti. Il giorno dopo lo chiamavo sempre, quando avevo bisogno.

Comunque, la tattica per imparare più in fretta è distrarsi, così passo la serata a casa di un'amica, ma senza calcolare il suo pargoletto di due anni (quasi), che invece di permetterci le chiacchiere dovute, dopo due mesi che non ci vediamo, concentra su di sé tutta la materna attenzione.
Adesso so tutto delle sue occupazioni, giochi, dita nel naso, farsi dare l'acqua per poi.. far bere il pavimento, e ovviamente quante volte e come ha bisogno del bagnetto.
Ormai disabituate a stare insieme, io e la mia amica finiamo col vederci un film e per fortuna mi sono addormentata, perché la notte, fra lei che russava e il pargolo che si svegliava, non ho quasi chiuso occhio.
GIORNO 4
Dopo il mancato sonno, la cosa più notevole è stato essere vittima di un insegnante bravo. Preparato e bravo, ma, correggo, 'insegnante alle prime armi', quindi uno bravo che ha bisogno di dimostrarlo. Come detto.
Alla fine di una serie infinita di input su faccette calcaneari, lati delle ossa, movimenti e assi di mobilità ero talmente fusa che quello fa l'unica affermazione che capisco ("l'asse di Henke [si tratta di un asse immaginario 'funzionale'] passa trasversalmente alle faccette articolari del calcagno"), e io penso bene di farci una battuta: "solo che a questo punto, [dico], non sappiamo più dove sono le faccette del calcagno".
Sapete che ha fatto? Dopo otto ore di lezione ha ricominciato a spiegare!
L'ho detto: diverremo pure dei maghi, ma è pur sempre scuola.




sabato, ottobre 18

Il volo del cigno


GIORNO 1
Giovedì 16 ottobre è iniziata la scuola di magia e stregoneria della riabilitazione, per noi 'giovani maghi', ovvero futuri osteopati. I banchi sono sostituiti dai lettini, ma sempre di scuola si tratta, con tanto di lettera ed elenco dei libri. E si parla di magia perché accadono nel corpo delle cose straordinarie, e l'effetto di un buon lavoro osteopatico è stregonesco. Ma oggi non parliamo di questo.
La lezione si svolge nella palestra di un'albergo, e l'inizio effettivo della lezione (ore 9.15) è sancito dal passaggio delle donne delle pulizie del'albergo; vi è infatti, a mezz'altezza della parete (la palestra è alta circa due piani), un corridoio di passaggio. Come se ci trovassimo dinanzi ad uno di quegli orologi collocati nelle piazze di Praga o Monaco, alle 9.15 inizia la processione di figurine, che si avviano al lavoro.
COMPAGNI DI SCUOLA
Alcuni compagni li conosco già, ma la cosa non è necessariamente positiva: ci siamo già incontrati ai corsi, scambiati i numeri di telefono, per non chiamarci mai più. Chissà che stavolta non si forgino vere amicizie, o vere antipatie, quando ci accorgeremo di doverci vedere per cinque anni. Per sfuggire temporaneamente alla domanda, comunque, e anche perché sono un po' talpa, mi metto al primo banco (ops, lettino) sperando di riuscire a non guardarmi alle spalle e vedere quanti siamo. Sono un po' timida, o magari è perché ho dormito poco. C'è comunque sempre una parte di me che se ne vuole restare nel cassetto, ben ripiegata fra le camicie.
GIORNO 2
Facendo i corsi teorico pratico si entra in confidenza molto in fretta. Almeno in quel tipo di confidenza che si instaura col contatto fisico terapista-paziente, per cui devi attraversare la pelle delle persone e giungere la problema.
Avete presente Neo (K. Reaves) in Matrix 2, quando ficca la mano dentro Trinity e la riporta in vita (mi pare che le faccia un massaggio cardiaco)? L'osteopata fa più o meno questo ma è un po' meno spettacolare: penetra con la sensibilità, non proprio fisicamente, all'interno dell'altro.
Giuro, è bellissimo.
Così mentre ieri tutti i partecipanti arrivavano sparsi, facendo finta di non capire che tutta la gente che affluiva alla palestra sarebbe stata lì per lo stesso motivo, oggi eravamo tutti sorrisi e "buon giorno", già un po' complici e sicuramente più rilassati.
A ora di pranzo però mi rispuntano le tendenze asociali; mentre gli altri, a gruppi più o meno numerosi, se ne vanno al ristorante, io scendo al mio angolo di lago (siamo a Bracciano), felice che il sole un po' latitante, oggi, mi conceda un altro picnic sulla riva, tra i miei simili, papere e cigni.
Le papere perché sono sciocche, i cigni perché sono belli.

giovedì, ottobre 16

I viaggi di gul(p)liver 2

premessa
Un certo Carlo Collodi, in un tempo abbastanza lontano, scrisse la storia di un burattino di legno, con la quale per anni ci hanno tenuto similitudini del tipo: "se dici le bugie ti cresce il naso", "se non studi diventi un ciuchino", "non siamo mica nel paese dei balocchi"..ecc. Storie dell'orrore da propinare giusto ai bambini, che prima o poi diventano grandi e capiscono, come per i film, che si tratta di effetti speciali, e che le cose non sono sempre come le raccontano. Semmai peggio.
Facciamo un esempio: un mio amico mi ha parlato di un horror di serie Z, su delle pecore assassine. Oggigiorno capita di tutto, perfino che il pesce rosso impazzito soffochi il proprietario saltandogli in gola mentre dorme, tuttavia, un film sulle pecore assassine.. ma via, diciamo che si capisce che se una pecora ti morde non diventi una pecora mannara. Al massimo (è il "semmai peggio") ti viene la rabbia. La rabbia per essersi fatto mordere da una pecora.. Mi sento stupida solo a pensarci.
Torniamo bimbi: la storia del paese dei balocchi mi sembrava un po' inverosimile, ma completamente assurda mi pareva quella di Pinocchio arrestato perché era stato derubato.
Quella, ho capito col tempo, era invece una storia vera.
il fatto (vero)
Il problema è, che quando l'uomo inventa i mostri, nella realtà si manifestano davvero, e "semmai peggio", come dicevamo. Avete presente il gigantesco omino Michelin in Ghostbusters? e dire che a vederlo in TV sembra soffice quanto un gatto persiano (...lasciamo stare il carattere dei persiani).
Torni a casa,un giorno, e trovi una cortesissima lettera dell'ufficio pubblico X: "gentile contribuente [sei gentile se contribuisci, dopo un po' cominci a diventare Egregio o giù di lì] ci siamo accorti che siccome si è dimenticato di pagare trentamila lire per .... Adesso bisogna che ce ne paghi centotrentaduemila. Infatti Lei ci deve le trentamila lire,ovviamente, e in più c'è la tassa per la morosità, spese d'istruzione pratica [e lasciatela ignorante, 'sta pratica], marca da bollo, carta intestata, e naturalmente le spese postali.
La preghiamo di pagare con l'apposito bollettino".
Solo che il bollettino non c'è. Il gentile contribuente, che è anche molto indaffarato, preferisce aspettare che ne spediscano un altro, piuttosto che fare anche la fila per richiedere il bollettino. Passa un mese, e l'ufficio pubblico X, puntuale come la morte e, appunto, le tasse, riscrive:
"Gentile contribuente [stranamente è assente il tono di minaccia, ma capirete perché], ci dispiace ma ci siamo sbagliati: Lei in effetti le trentamila lire le ha pagate [il gentile contribuente tira il fiato e sta per riporre il foglio, quando si accorge che c'è una seconda pagina. Sembrandogli troppe due pagine di scuse va avanti nella lettura]. Quindi non si preoccupi, non dovendo pagare le trentamila lire che ci ha già versato, Lei non ci deve centotrentaduemila lire, ma solo centoduemila.
Da pagare col bollettino allegato."
[che stavolta c'è.]
E il gentile contribuente paga, perché è gentile. e anche perché fare ricorso gli costa più che pagare.

martedì, ottobre 14

Un suono da sopravvento


un attimo di quiete. Non voglio ancora aprire gli occhi, riprendere a correre, infilare i passi uno dietro l'altro senza più contarli; senza quasi il tempo di sentire il piede che rotola (tallone, bordo esterno, infine l'alluce) fuori dall'orma che ti lasci alle spalle.
Avverto la contrazione lenta del silenzio e della solitudine che scivolano via, ritraendosi con un vago sordo crepitio; ci resto incollata, mi mantengo in un mondo ad occhi chiusi, dove si può solo percepire l'ombra che si disfa, si rarefà inchiodata nell'angolo. Sbatte le ali disperatamente prima di accasciarsi e spingermi a ripiegarla nel fondo di un cassetto.
Comincia così, e poi si trascina questo giorno, nel tentativo di mantenersi sotto tono, infilata anch'io tra le camicie piegate, immobile per non stropicciarle. Comincia così, e non fatico a mantenermi come un sussurro, appoggiata all'ombra delle case, appiattita sotto i fili d'erba, fin quando vengo tradita dal trovarmi in tal modo sottovento, e un paio di note di violino mi raccolgono dal marciapiedi.
Odio il violino, sussurra l'ombra nel cassetto.
Tuttavia, qualche altra nota rotola verso il mio disperato tentativo di mantenermi dietro l'angolo, tracima dal bordo delle grida sguaiate del vecchio cenciarolo, e mi gronda addosso. Mi resta addosso; come se fosse rugiada e questo fosse il mattino che non ho vissuto, incollata all'apostrofo della notte.
Odio il violino (geme l'ombra nel cassetto) lasciando che il suono prenda il sopravvento.

sabato, ottobre 11

Luci di città

La città è inebriante. Ti riempie la coppa dello sguardo fino a stordirti con piccoli ritratti d'altri mondi e d'altre vite, che brevemente s'innestano nella tua. Perdono rapidamente d'importanza, è vero. Giri la pagina , e mentre leggi di suoni azzurri e di altre storie, su quella lì chissà cosa finisce con l'accaderci. A volte, lo abbiamo fatto tutti, rivolto di fretta il foglio, per vedere se si scorge qualcosa di diverso; ma come i giocattoli dei bambini, che si rimettono tutti dove son stati lasciati appena il piccolo sembra svegliarsi, anche le storie quando le riguardi sembrano non essere cambiate affatto. Almeno quelle che si raccontano oggi.
Un cane è riuscito a farsi portare nel cesto bianco della bici, foderato con una vecchia camicia a scacchi, perlopiù gialla, e svetta col capo cambiando la vista sul mondo. Un po' più in alto del solito, si prende un vantaggio sul vecchio cane lupo , sbeffeggiandolo, per quest'unica volta in cui gli è concesso non guardarlo dal basso.
Nessuno sembra accorgersi del gioco di sguardi, e al verde del semaforo la brillante vittoria si smarrisce nel tempo, confusa nella melodia dell'uomo con la tromba, che gareggia con i clacson e l'allegro chiacchericcio delle bambine in fuga dalla scuola. Sgocciola motivi rotondi, che fanno sorridere un giovane col vestito mentale dell'intellettuale di una volta. Si allontana, dondolando a tempo sulle lunghe gambe, un libro imbustato sotto il braccio, ed il sorriso malcelato di profonda soddisfazione perché ha riconosciuto il brano. è la colonna sonora di Paradise, e ci va bene così. Ogni dove, qui, è paradiso.
Nell'ombra lunga della sua vita, una vecchina scivola fuori dal mercato, riprendendosi il suo odore, che s'era mescolato al banco della frutta con quello delle prime arance e dell'uva. Appena un poco più dolce, il suo. Certamente più maturo.
Meticolosamente mi immergo in questi universi distanti, fino a villa Celimontana; chissà da dove, vicino, giunge in anticipo il suono delle cornamuse, portando con se un presagio d'inverno. Lo si ode appena, e stranamente anche il gatto, percosso da un leggero brivido , esce dalla macchia di sole, e cortesemente s'avvicina. colmando col suo incedere assolutamente silenzioso tutto il tempo che m'è rimasto: m'appoggia una zampa sul grembo, come a chiedere il permesso prima di arrampicarvisi.
Rimane giusto il tempo di riprendersi quel calore che era venuto a mancare e mi lascia qui, stesa a consolare la lieve malinconia dell'abbandono al tepore del sole.
Volto la pagina e riguardo velocemente indietro. Ma si, è ancora autunno.

i viaggi di Gul(p)liver

Quanti di noi, incastrati in auto, sulle clacsonanti vie delle metropoli, non hanno una classifica delle auto e degli autisti pericolosi, accendano gli antinebbia e inizino a vedere.
Oltre il parabrezza caliginoso, appannato dal fiato perché siamo tappati dentro per ripararci dallo scarico dei diesel non revisionati, c'è tuto un mondo di gente che viaggia a bordo di improponibili automobili, indossando il cappello per qualche oscura ragione. Solo gli spaventapasseri credono che questo sia un modo per tenere in caldo le idee, noi altri crediamo che il surriscaldamento della materia grigia non favorisca le attività legate alla guida.
Le automobili ingombranti ancor meno.
Quelle nuove di zecca poi scatenano delle paranoie invincibili, che portano il "prima esperto" guidatore a mantenere le distanze anche dai pedali, per il terrore di insozzarli.
Ricordo che una volta mio nonno non ci faceva salire in auto, se non avevamo i piedi puliti. Tornavamo dal mare , e va bene, e probabilmente avevamo un livello di lordura che rasentava il fondo della spazzatura, dove scivolano i residui del caffè, la cenere delle 144 sigarette fumate l'altra sera con gli amici, nonché la roba tirata su con la paletta dopo che il cane infangato si è rotolato per terra per dimostrarvi quanto sia lieto di essere a casa.
Insomma, facevamo abbastanza schifo, ma in città?
Che importa, per rilassarmi mi prendo un pomeriggio libero e faccio una gita ai Castelli. Immaginate la sorpresa nello scoprire che il viaggio nel tempo, creduto impossibile, si può fare! Qui infatti (r)esistono ancora quei piccoli veicoli a tre ruote, cilindrata 50, 17,5 km/h in salita; e sono tutti su quella, piena di curve, per arrivare al Tuscolo. Insorpassabili. Getto la spugna. Pulisco i vetri, e faccio auto-critica.

mercoledì, ottobre 8

Politicamente (s)corretto

Beh, ammettiamolo, quando passi un periodo (fortunatamente) temporaneo come "diversamente abile", ti senti un handicappato.
Non sei più sfavorito nella statura, ma 'tappo'; non hai il fisico da modella: sei anoressica. Smettono di dire che "sembri un papa". ma questo non è necessariamente triste.
Nel tempo degli spaventapasseri, nel fantastico mondo di Oz(io), padre di tanti mostri partoriti dalla ragione, essere senza cervello ha il suo indubbio vantaggio. Si può non parlare o parlare di niente, riferirsi solo a se stessi, colmi dall'egocentrismo che si giustifica solo ai malati. Meglio, diceva qualcuno, non avere un cervello, che usarlo male.
La pausa durerà poco ancora, credo. Poi dovrò riattivare le grige cellule e sembrare intelligente, mostrare più pregi che difetti e sorridere tutte le mattine cinquanta volte tentando di tirar fuori altre persone dalla gabbia dell'handicap. Si perchè qualcuno diceva che questa parola è scorretta, ma crediamo che fosse, poverino, svantaggiato nell'uso del cervello.
Handicap è un termine inglese, riferito a corsa ippica in cui i partecipanti partono con differenti pesi o a differenti distanze . In senso figurato indica uno svantaggio. Non è un termine offensivo. Casomai significa che prima sei stato bravo, più bravo degli altri. Per chi non crede nella reincarnazione (che fa dell'handicap una sorta di scotto da pagare, in modo semplicistico) dovrebbe restare la grande consolazione di quel "Dio manda le prove più grandi ai figli che ama di più".
Cavoli! e se non ci avesse amati?
Ecco che torno e chiudo, sullo stare come un papa: mi sembra bene eliminare l'espressione, sostituendola con quella, mai troppo abusata, di 'persona che ha dei problemi insormontabili a cui pensare e risolve le cose con dogmi e frasi fatte". Non è una bella condizione, no?
La prossima volta che doveste vedere qualcuno stare benissimo, o molto meglio del solito, ditegli soltanto che lo vedete così. Non provate a farlo sembrare qualcos'altro.



martedì, ottobre 7

Spaventapasseri

Il cervello è come una lavatrice, dicevo una volta ad un paziente, nel tentativo di chiarirgli perché il suo braccio non funzionasse più. "Sa, è come se fosse saltato un programma, che so, quello per lavare le tende. Tutti gli altri ce li ha ancora, ma questo non più".
Per fortuna la maggior parte delle volte non è esattamente così; spesso invece questa facezia, che semplicisticamente voleva chiarire ad uno che lo ignorava, come fosse fatto il più complesso organo (s)conosciuto, è drammaticamente vera.
Il problema che i programmi sono come i virus del computer: a volte te li installano. C'è il programma "moda", il programma "politica" "dogmi religiosi" ecc. Nasciamo con quelli base, e gli altri vengono inseriti senza che nemmeno siano stati conosciuti i primi: "sopravvivere, "protezione" "spostamento" "perfezionamento". L'ultimo poi sembra uno di quei bottoni misteriosi che non hai il coraggio di toccare, salvo poi scoprire che si tratta del tasto di accensione.


domenica, ottobre 5

Tempo e dolore

S'apre velocemente la finestra, lasciata socchiusa e sospinta, quasi con rabbia dal vento che irrrompe nelle stanza. L'aria si schiaccia contro le pareti, rotola sulla superficie polverosa dei mobili, gratta la luce rendendola più mobile; trapassa la superficie del rumore che ho fatto, un singhiozzo che ha spirato fuori ancora un altro ricordo.
La chiave per effettuare il cambiamento sembra , tuttavia, essere nella lentezza. Nella quiete, che segue al tempestoso arruffarsi di intuizioni, di nuove conquiste, del semplice desiderio che qualcosa riesca a cambiare.
Occorre essere come il vento, che con pazienza incide il suo silenzio e la sua voce addosso alla pelle della terra. Occorre essere la terra. che all'apparenza si fa segnare, conducendo il vento a disegnarle addosso un segno segreto, che le ricorda le origini di sè.
Lentamente.
Il tempo è passato; sembra sempre "troppo in fretta" ma non è esattamente così. Passa lento, ma perde consistenza, con lo scivolare dietro, così come l'aria quando esce dalla stanza, e sembra che non esserci stata mai. La polvere si deposita. La luce torna un serico abbraccio e quel colpo che sembrava aver toccato le pareti si scorge appena, e poi non più.
Allo stesso modo, il dolore, se lo lasciamo andare, lentamente scompare. Quel che resta, semmai, è l'abitudine di dire "quanto ho sofferto", che lo rinvigorisce nel ricordo. C'è stato, e tanto. Ma questa volta sono stata attenta, l'ho vissuto tutto, in un tempo che s'è dilatato con lui fino a scomparire.
La finestra ora resta aperta.

giovedì, ottobre 2

disegni

Da tempo non prendo la matita in mano, sicché trasferire questi disegni qui acquista la dimensione del ricordo di un'altra vita. Se poi ha senso.
Era un tempo in cui ho potuto essere completamente un altro. Non parlo di una identità fasulla, d'una maschera applicata addosso per celare e quindi della finzione che ne deriva. Intendo essere l'altro quello che sta di fronte a te, di cui smarrisci il confine netto.
Si tratta di una sensazione strana, che ti fa agire in modo completamente diverso, e, senza giudicare se sia giusto o meno, completa l'esperienza del momento che vivi arricchendolo di sensazioni.

Non uno, non due, così ci si sente quando si è perfettamente innamorati, tanto che si vive uno spazio a-dimensionale, in cui i confini diventano trasparenti, scompaiono e ti perdi l'essenza, senza perderTi. Tuttavia, senza misurarlo in un tempo esatto, diciamo che può durare un Punto (infinitamente piccolo o immenso) e che dipende dalle nostre possibilità. Come dire, non sono gli altri a farci innamorare, ma piuttosto noi che siamo disponibili ad innamorarci.
Quello che conta è comunque quel Punto, dove l'uomo doppio, che in genere si sente mezzo, diventa Uno con l'altro. Non uno, a dire il vero, e non due.




mercoledì, ottobre 1

non uno, non due

le parole che non ho mai detto

Ci sono parole che non ho mai saputo usare: quelle che sintetizzano un concetto ed infilate una dietro all'altra riempiono poco spazio, su un foglio, e faticano perfino a coprire la distanza fra noi e l'interlocutore. Parole come diuturnamente, mi dispiace, le sento cadere prima che possano veramente appoggiarsi nel mio orecchio ignorante, e figuriamoci se provassi ad usarle in un discorso. Inciamperei, per punizione carmica alla presunzione d'aver voluto essere pari a quelli che...
per dire che una cosa dura a lungo, utilizzano il femminile di diuturno, anzi l'avverbio: in maniera diuturna - femminile di diuturno - che dura a lungo.
Bene, non contesto, ma mi confesso: apodittico e ontologico. Eccone altre due. Sono davvero tremenda, dopo anni che sento parlare di ontologico ancora devo guardare il vocabolario per accertarmi di avere capito bene: ...che si riferisce all'essere in generale, alle sue strutture immutabili, oggettive e reali; che riguarda l'ontologia.
Cosa aspettarsi? vent'anni fa avevo capito che ciò che offende la divinità (Sin. sacrilego), si dicesse blasfermo. Figuratevi le risate che ho scatenato la prima volta che ho usato la parola! forse sono rimasta sciocca(ta) da allora, e preferisco usare qualche parola in più, per coprire la distanza che ci separa, per quel suo essere infinita... un punto c'è sempre, tra due punti.
Ma questa è un'altra storia.

L'inizio coincide con la fine

L'inizio coincide sempre con la fine, la fine di te stesso, l'inizio di te stesso, ma tu sei sempre lì, rimani. Anche non sapendolo sei incatenato nel presente in cui tutto si raccoglie.
Ora sto qui. L'inizio di questa cosa scolpito nel presente dell'incidente estivo, frattura di una essenza che non aveva più sostanza né ragione, che si era persa e non voleva accorgersene. Si può cancellare, ho scoperto, come il Blog.
Neanche ho cominciato a scrivere e già, infatti, trovo una voce che dice "cancella". Succede, si, anche nella vita, così questa metafora d'esistenza inizia con la scelta d'andare avanti, ora, dopo una nuova creazione.
Inizia sull'asfalto,questa nuova traccia; dove finiva l'altra, ancora raccolta, a dire il vero, in una macchia d'olio. Ogni tanto ci passo e la guardo, chiedendomi quanto ancora rimarrà lì, quella fine...
Durerà, credo, finché dura questo inizio, "
a meno che non ti metta lì a grattare", direbbe qualcuno. No. Anche se lo faccio.
Al'inizio, anche se non lo sapevo, ci sono sempre degli sconosciuti,, e quando sei in silenzio, che cerchi di capire quali parti del tuo corpo sono rimaste, dolorante da non aver forza di lanciare il primo grido, sono loro che gridano per te. Tu sei lì, come hai fatto già una volta, anche se da bambino ci hai messo qualche anno, che ti conti le dita, esamini con cura maniacale a non procacciarti altro dolore quante parti si muovono. Ti accerti di respirare bene.
A questo punto ti portano via. Arriva qualcuno che ti alza da quel grembo d'asfalto (prezzo della modernità) e ti racchiude altrove, dove ti infila qualche ago assieme alle domande.
"Andare in moto e come avere la morte a fianco".
"dotto', lei me lo insegna, camminiamo sempre così".
Solo che per fortuna, da questa morte, oggi sono nata di nuovo. senza paura, (non si può vivere nella paura:) ne ho preso a braccetto un'altra.
Per tutto il tempo che mi è concesso.