Non li vorrei come figli, almeno non quelli che sputano nei piatti tesi, e vabbene che le condizioni igeniche non sono da grand'hotel, ma mi sa che non stavi meglio a casa tua, o qui non ci venivi. Mia madre m'ha insegnato a non dire che schifo, e... sono vegetariana, ma se sono ospite di qualcuno che non lo sa, mangio anche la carne; perchè m'hanno insegnato che se ti viene offerto qualcosa chi non accetta non merita. E poi quello c'è, se hai fame mangi. La protesta sta meglio a quelli che ti stanno dando comunque quello che gli avanza negli armadi,o in dispensa, per fare spazio dentro casa mentre non ne hanno fuori per passeggiare perchè continui ad arrivare nella loro terra, anche buttato in spiaggia ( o lasciato a mare) da tutti quelli che non ti accettano. Maltesi, francesi, spagnoli ti ributtano a mare. E tu non sei mio figlio, e ti do da mangiare e tu mi bruci le parrocchie (e questo, scusa, mi fa incazzare anche se i preti non li sopporto) e sputi nel piatto.
Questo non mi piace. Questo mi fa uscire la parte brutta del razzismo, quella che ha paura di te, non quella che mi fermo a farlo passare, perchè è di colore (diverso dal mio) e se non mi fermo io lo mettono sotto. Quello è razzismo (così come cercare di investire gli agenti dell'assicurazione ;-) ), ma almeno è un razzismo utile.
Rispetto e sostengo il desiderio di libertà, ma non pretendere che ti lasci senza lavoro e randagio, senza sapere chi sei. Perchè a me, italiana, se mi prendono senza soldi e documenti rischia pure che mi arrestano per vagabondaggio. A me, italiana e con i documenti, quando sono stata immigrata regolare all'estero, la prima frase in inglese stentato che mi rivolse un collega dopo sei mesi fu: ma tu in Iialia non lo trovavi un lavoro?
Era un'altra situazione, lo so. Ma il razzismo, il rifiuto, l'ho sentito, e so che ti fa star male; anche se era l'immigrazione dei ricchi la mia,. senza guerra, senza povertà alle spalle. Senza galera, fammelo dire.
Lila non si barrica dietro un falso buonismo, e accetta senza remore chi viene a lavorare, chi resta a ricostruire casa propria dopo uno tsunali (ce lo vedi il giapponese che emigra senza documenti?), chi fugge con la speranza di tornare a casa. Mi fermerò pre te, non per l'avvocato in giacchetta e valigetta..."
Questo avevo scritto. E non finiva, perchè è una storia che non ha conclusione. Che rimane sospesa coi puntini sulle banchine di qualunque paese... o quasi.
...O FORSE SI?
Questo avevo scritto.
Poi stamattina è successo un miracolo. Una donna, non è prorpio una mia paziente, non ancora, abbiamo fatto solo una seduta e l'ho "ereditata" da cinque trattamenti fatti col mio collega con la voce a sussuro, che per trovare il fiato alle parole ha preso tre mesi di aspettativa,
Ebbene, m'entra in stanza dicendo sa ho un piccolo problema, sono incinta.
Problema?
Lo sa da ieri, e ne parliamo tutto il tempo,perchè Lila ha sempre bisogno d'esperienza... e alla fine, io che non ho figli, e che voi non siete i miei figli e, al massimo, ho sublimato con i miei allievi tempo fa una maternità che non mi è ancora concessa... alla fine la sento, quella gioia infinita d'essere più d'uno.
Di percepire la VITA che ti scoppia dentro, e che di qualunque razza o paese siamo ti trasporta in uno stato d'estasi. Mi sono commossa, e qualunque parola sarebbe troppo poco, per spiegare come si può sentire qualcosa che non si ha, come fosse proprio. Come sento la tua cicatrice, la tua guerra, la tua fame, il tuo dolore... così il tuo amore. E per una manciata di secondi, io non sono più io, ma io e te.
Di tutte le parole che ho detto, l'unica che mi resta è una parola che non ha lettere.
Che mi commuove e mi rattrista, mi allarga, vi comprende, si scaglia in alto in basso a destra a sinistra avanti dietro, perdendomi i confini in un suono muto e mi riempie fino all'inverosimile.
Poi scompare totalmente.
E poi ho pianto.