sabato, giugno 23

Lu'


Lu' è una bambina piccola così, come quella che ti immagini nella canzone; le prime volte che l'ho vista e l'ho tenuta in braccio, pensavo fosse più lieve di un papavero. Era così leggera, che quando mi si arrampicava addosso, o la facevo volare sopra le righe, mi pareva che fosse il mio foulard con le farfalle, ma con le farfalle che volavano via, sollevando il panno. Niente.

Lu', quando entravamo nel tempo, ripercorrendo nella storia delle sue ossa la via che l'ha portata ai reflussi che impediscono al corpo di trattenere il nutrimento, era la rondinella che imparava a volare sulle mie mani. Come un aereoplanino di carta: lo stesso peso, lo stesso volo da un punto all'altro ma alla fine, lo dovevi sempre riprendere in mano, perché si alzasse ancora.


Il tempo è passato, ritornando indietro attraverso piccole magie, attraverso racconti non detti di dolori nascosti e intollerabili, troppo grandi per occupare un corpo così piccolo, che forse s'è scansato da se stesso rinunciando a riempirsi di massa, nonostante occupasse lo spazio.

Lu' è stata tutta nel suo sorriso e negli occhi persi oltre quello che si vede; nei sussurri complici e nelle palline di carta nel naso; nei momenti in cui si lasciava molle come una foglia, e nei momenti in cui sentivi il fuscello farsi tronco, inebriato dal contatto con le radici che aveva perduto. Lo stomaco, in fondo, è connesso alla terra.

Riportando il corpo ad un momento prima di quello in cui ha deciso per questa leggerezza, incontaminata dal cibo che non si trattiene dentro, quando ci siamo salutate, ieri,  quasi non riuscivo a sollevarla.
Non è che Lu' sia cresciuta, è sempre più piccola di un papavero: è solo diventata più vera.

E forse, se la realtà è davvero uno specchio, anche io.

giovedì, giugno 14

Il dentro di dentro (racconti diversi)

Sono seduti più distanti possibile,tra parole che non sono che un confuso orizzonte,verso cui gli sguardi si spingono senza vedere altro che una leggera nebbia. 

Lo immagino ancora, anche se siamo fermi qui da sempre. Un bacio. Di appoggiare le mani in perfetta libertà, senza il timore di stare troppo fuori per educazione, o di perdermi troppo dentro, o di rimbalzare sulla gomma dura del suo bozzolo.
"Si, ma altro che farfalla. Questo è un elefante, dentro una formica che crede d'essere un gigante. E poi nemmeno, perché le formiche fuori hanno la corazza. Lascia stare il dentro. Dentro siamo tutti uguali, alla fine, anche se... Ma le formiche fuori hanno la scorza dura. Non mi importa se si schiacciano, dentro, te l'ho detto, siamo tutti uguali. Questo però, lo schiacci anche senza le dita."
Dentro è molle come un leprotto.
"non ha la velocità, del leprotto. Solo la paura."
Mi avvicinerò, come si fa col gatto. Terrò la mano tesa per toccargli il pelo lucido lucido, ma piano, per vedere come reagisce.
"hahaha, allora non tendere la mano"
Cosa posso fare?
"Lascia le dita rilassatate. Deve venire lui da te. Non hai ancora imparato come sono i gatti? E non importa, se dentro la formica c'è un leprotto. E' lo stesso con i leprotti."
Quello che sta fuori, sai, credo sia come il dentro.
"non mi dire che stai guardando."
Si, è lucido, anche dentro. E morbido. Oh, vorrei che fosse un gatto, ché almeno saprei come comportarmi. Terrei la mano morbida, e aspetterei che ci arrivi dentro. Come quando immagino.

"Sotto il pelo, è fragile come la porcellana, non è nemmeno una formica."
Stai parlando del dentro, di nuovo. Quello che vede lui però. Io parlavo del dentro di dentro, quello che non vede.
"Lo hai notato mentre ride? Quando come te è senza limiti, senza nessuna barriera?"
Si, dentro al dentro. Dentro la formica che sta nell'ippopotamo.

Si tengono le emozioni nelle pieghe del tovagliolo, mentre sorseggiano un finale alla rosa.

"non era un ippopotamo".
Bene, fai conto che lo fosse. O che lo sia, ora.
"ora non lo vedo"
Ti distrai. Io invece no. Lo immagino, e quando lo immagino lo vedo dentro al dentro, ma fuori è un ippopotamo, con dentro una formica...
"somiglia alla storia dei nuclei. Quello che vedo quando apro gli occhi due volte."
Si. Quella che vedi quando siamo insieme, quando osservi invece di preparare solo gli ingredienti, la preparazione, la torta finita, e la bocca che la mangia. Tu lo sai già, come andrà a finire. Io riesco solo a far la lista della spesa.
"Come i nuclei, quindi".
Si. lo hai già detto. Tu diresti che c'è l'acqua, dentro. Ma adesso guarda: dentro l'ippopotamo c'è una formica, con dentro un elefante.
"quindi il gigante c'è davvero".
Se vuoi. Tutti sono dei, e tutti sono giganti. Lui è un gigante..
"Te lo concedo. Allora, tiene in mano un fiore rosso".
E' quello, che voglio.
"Non è tempo.  Lo tiene, si, ma da dentro. Non sa nemmeno come si donano le cose. Sei sicura di voler aspettare?"
Ho visto dietro gli occhi; dentro, anche se potrebbe tenerlo in mano, c'è il fiore rosso.
"Un gigante con un fiore rosso."
Quello, si.
"Ma davanti lo sai, ci sono ancora l'elefante, la formica e l'ippopotamo. Era più semplice, con i nuclei".
I nuclei non sanno niente dei fiori.

Lui allunga la mano, le sfiora le punte delle dita, e dove si toccano il rosso sale alle guance, e trasuda dal cuore; e celandoselo in un'ombra del palmo, il gigante senza saperlo, lo lascia battere per un momento fuori da tutti i suoi petti. 
Lei allunga la mano e si infila la notte al posto dell'orizzonte. 
Con il fiore che ha visto, a trattenerle i capelli nell'attesa.



venerdì, giugno 8

Osservo.
Ti vedo con il torace scottato, proprio lì sopra il cuore, dove ti manca un po' di peso. La carne se ne sta tutta altrove, su braccia e gambe così lunghe, che a volte ti sembra che i gesti non arrivino mai a destinazione, che il piede non riesca a toccare terra. Che poi, a dire il vero, tu ce l'hai, la testa fra le nuvole; ma dici sempre che è molto più utile così, almeno riesci a vedere il sole anche se sotto infuria la tempesta.
Ti vedo con le mani trattenute di qua dal tavolo, mentre cerchi la luce degli occhi, negli occhi, per quell'antico gioco di specchi per cui mi dici sempre che siamo quello che ci vediamo davanti. E' così, mi dici, che hai scoperto di avere un cuore. E forse, il peso che non c'è sul petto è tutto lì sotto, in quella cosa sospesa fra l'espandersi e contrarsi, potente al ritmo della corsa, e talvolta della tachicardia.

Osservo.
E vedo che te lo stai trattenendo tra le coste, 'ché, mi dici in un sussurro nel tovagliolo, hai paura che scappi troppo oltre; e "se ciò che dai è tuo per sempre" forse a tenerti per sempre tutto questa cosa che ti scoppia in petto quando fuoriesce, hai paura di perderti definitivamente in questo possesso.
"Ciò che tieni è perduto per sempre", osservo di rimando infilandoti un boccone in bocca, da quelle mani che sentono e conoscono.
Ma per una volta, affogata nell'acqua di un'emozione ventosa e instabile, non mi ascolti.
Forse è per questo, che stamattina ti ho versato il caffè addosso, invece che giù nella gola. Le tue parole erano ancora calde, e le mani, senza il cuore lasciato sul cucchiaino appoggiato al tavolo, avevano bisogno di ricordarsi il posto dove tornare. Quel posto sospeso, fra il limite della paura che te lo tiene dentro, e il varco della percezione che te lo mette fuori dal torace.

Osservo.
Quando il cuore e le mani si muovono insieme, i piedi poggiano a terra. La schiena, solitamente rappresa e percorsa da queste schermaglie, si dilata oltre le nuvole e tu te ne stai ferma, senza perdere la testa. Quando il cuore si alza dal tavolo, e un fulgore balugina negli occhi che hai davanti, ti ricordi che a volte, la luce riflessa, più che l'ombra, suggerisce la presenza del sole.



martedì, giugno 5

L'anno prossimo, se c'è la crisi, sto bene gratis

L'hai visto, no? che periodo è; I prezzi salgono, la crisi resta sul piano, gli amici d'un tempo scendono ad un gradino dal "solo un ricordo". E tu sei qui, con le bisacce in mano, leggere perché non vuoi troppo cibo raffinato e non ti serviva il detersivo, e comunque i soldi sono abbastanza si, ma pochi per gli sprechi. Eccoti qui dicevo, con un sorriso attento a non scurirsi con i malumori passeggeri e gli amori scesi alla stazione prima.
La ascolti mentre, nell'aria calma che modelli, si agita il pensiero di non tornare quella che era (e chi lo sarà mai?) e si riplaca come il mare considerando ogni piccola cosa inaspettata; la vita infondo è una stazione che riserva sorprese, anche se perdi un treno. Così, l'invalidità temporanea servirà almeno a non pagare le cure, per tornare quella che è.

Un po' nervosa, altrove, le bisacce a terra e il sapore dei pini nelle mani, ascolti lei che ti racconta con la faccia da monella, che avanza vivaddio anche con una certa età. E sorridendo discola, ti fa con un sospiro: speriamo la lascino, almeno l'anno prossimo compio "l'esenzione dal ticket per età". Vuoi star male? Ma no, solo per dire. Ah.

E tu, con le mani in bocca a provar le manovre sperando che ti rendano la faccia uguale all'età che arretra, ti trastulli con i contenuti messi a posto e cucinati, credendo che se non cambierà la faccia almeno i denti si chiuderanno da tutte e due le parti, e il cibo delle bisacce, avrà un sapore pieno. E ne gusterai anche altro, perché non servirà l'osteopata per raddrizzarti il sorriso.
Riprendi l'esercizio, e le mani fuori dalla bocca sorprendono le parole di tre donne, sull'orlo di una crisi che non lascia a terra nessuno, ma che vorresti dimenticare al binario morto:
"io l'anno prossimo, sto bene gratis!"