venerdì, novembre 28

Viaggiare




Mithlond

Forse questo è morire?

Viaggiare e nel viaggio

pian piano abbandonare

le parti (mai più necessarie)

pei luoghi trovati nei sogni

e percorsi nella Realtà.

Forse questo.

Forse un giorno spoglia

d’ogni lembo di questa veste,

prima d’un’altra soglia

ammonticchiata,

per un’ultima meta partirò.

Nuda.

Senza più tornare.

Vuota.

Senza più tazze da colmare.

Forse questo è morire?

Allor m’è dolce il cammino,

e del viaggio e dell’esperienza,

della gioia e del dolore

che poi dispaiono con l’uso,

ogni eco voglio sondare.

Ciascun passo compiere.

E intanto frantumarmi,

lasciarmi attorno.

Fino a non aver più nulla,

nell’esser tutto.

giovedì, novembre 27

Secondo tempo. Primo giorno

Questa volta la partenza è stata salutata da un alba spettacolare. Il sole alle spalle, come va bene all'inizio di un viaggio, perché le ombre lunghe ti mostrano che sei solo. Nessuno ti segue; almeno, non troppo vicino.
Tuttavia la solitudine s'è un po' scalfita, perché alla fine ho convinto il mio collega a venire con me.. e ora per cinque anni lo vedrò anche nei week-end. Il che mi insegna che non è mai troppo presto per stare zitti.
Per non sembrare più orsa di quello che sono, devo dire che un briciolo sono anche contenta, almeno mi risparmia il casuale compagno di banco terribile, che ti si appiccica come una di quelle plastiche trasparenti delle caramelle, che cerchi di buttare e ti ritrovi sempre addosso perché si elettrizzano.

Il lago oggi era diverso. Il freddo pungente, che si è mantenuto nonostante il sole, ha reso più vicine le sponde opposte; mi sono saltate negli occhi, mentre lasciavo che il pranzo mi scivolasse nella gola, con il rosso scuro della terra rivoltata. IL giallo rugginoso dei faggi d'autunno, il verde dei campi, striato di pecore in movimento.
I soliti cigni, mai paghi dell'acqua, hanno procrastinato il volo delle tredici, che sembravano compiere metodicamente la volta scorsa. Ma hanno interrotto la loro pigra scorribanda fra le papere, con un sostenuto innalzarsi e sbattere le ali chissà se a prepararsi, scaldarsi, o ribadire la loro naturale predominanza.

Anche io oggi ho un po' sbattuto le ali, a quel modo. Ma poi ha prevalso il senso placido della papera, e sono tornata a sorridere. Infondo non importa, chi sia più bravo, o simpatico, o sociale. Purché anche oggi, io possa apprendere qualcosa.

domenica, novembre 23

ritorno a Bracciano

Mai è andato altrove, colui che parte

Nessuna tappa può sembrar la meta

all’uomo che cercando va se stesso,

la vive, si, con l’animo poeta

cantando con stupore sempre intenso.
Eppur appena varca il bel confine,

fra quel che fu anelato e il compimento

dell’atto che sognava, vede alfine

ch’è stato un illusorio movimento.




venerdì, novembre 21

Una settimana di lavoro

Avete presente? dicevo una volta che, quando ti giri a guardare, certe storie sono rimaste uguali.
Il lavoro è così. Puoi rimanere fuori qualche giorno, o qualche mese, e quando ritorni è tutto esattamente come prima. Le stesse facce ansiose (dei colleghi, forse peggiori perchè sottoorganico da cinque mesi), gli stessi utenti che tornano, lo stesso terribile sospetto che anche se avessi la bacchetta magica funzionante, starebbero male lo stesso.
Perché? Perché stare bene, sentirsi bene, è la cosa più difficile del mondo.
Esempio: paziente con dolore fisso alla schiena. Seconda seduta di terapia (di gruppo, nel tal caso), inquadri il problema. Gli fai correggere il movimento sbagliato.
"dottoressa, che strano, non ho più il dolore".
Bene. Se continua a muoversi correttamente, come ha fatto ora, vedrà che starà meglio... Ti mordi la lingua, a questo punto. Ma è già troppo tardi. Appena alzi il telefono per rispondere all'ennesimo "mi scusi ho sbagliato" quella ripete il movimento.. come prima. Cioè sbagliato.
Passi, una volta, Ma se insiste...
Il terapista si raccomanda (parliamo ancora di gruppi) accuratamente, e in vari modi, che i pazienti lo informino se compare il dolore. Gli esercizi, di per se, sono ottimi ma a volte vanno un po' adattati. Cinque persone che stanno male per una lombalgia reagiscono in modo diverso e ce l'hanno per motivi diversi.
Il terapista passeggia tra le persone, distese a terra ad occhi chiusi e per l'occasione adotta il passo del gatto. Felpato e inconsistente. (Aver perso qualche chilo, aiuta).
Si sofferma a fianco di una signora, si, sempre la stessa, ed osserva il viso contorcersi in una palese smorfia di dolore. Nella sua mente riecheggiano gli avvisi precedenti... ma suggerisce di nuovo, dolcemente, con voce paziente: "non dovete sentire dolore, nell'esercizio, se accade, fermatevi"...
Inutile. La smorfia continua, il movimento anche. "Signora, va tutto bene?" Tuona a questo punto, vibrando di sconforto, il terapista. Le parole si versano nell'orecchio della signora, che apre gli occhi e naturalmente, con la smorfia ormai incastrata fra le rughe: "veramente mi fa male".

Terapia individuale.
"dottore' (ssa) me fa male 'a schiena, quanno sto troppo seduto".
Occhieggio il voluminoso portafoglio, infilato nella tasca posteriore del pantalone. Il paziente coglie lo sguardo. Forse, stando ai fatti successivi, teme che voglia fregargli qualcosa.
"sa" suggerisce invece la voce paziente, al paziente: " intanto potrebbe togliere il portafoglio, quando sta seduto a lungo". Ci sono un sacco di cose che fanno male. Stare seduti storti è una di quelle. Finisce di spiegare il terapista che c'è in me.
"ma sa," dice il tipo, provando, forse rassicurato,"effettivamente mi sento più comodo".
"allora provi".
Alla seduta successiva il paziente ha ancora il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. L'ho detto; una volta, passa. La conversazione si ripete. La decisione della persona a cambiare, anche.
Alla terza seduta, il portafoglio resiste al suo posto. Devo fargli notare che durante la terapia è meglio toglierlo da lì.
"si, in effetti me lo aveva detto...". Si in effetti si. E guardi che il portafoglio ce l'ho anche io. Nella giacca.

Altra paziente. Ha un'ernia cervicale, ma dopo le prime sedute, ogni volta che finisce la terapia sta meglio. è un dato oggettivo. Lo dice lei, non io (non mi azzardo più).
Torna la settimana successiva. "ma lo sa che, dopo l'ulyima volta, sono stata malissimo?"
Il buon terapista si mette in discussione. Strano, si era alzata dal lettino e andando via si era anche rallegrata per la scomparsa del dolore. Ma il terapista rivaluta, osserva, lavora, fa lavorare. E chiede, anche.
"ha fatto qualcosa di particolare? qualche sforzo magari... sa, lei deve un po' riguardarsi".
La signora garantisce di no.
Torna, alla seduta successiva. "mi sono ricordata, sa, che la settimana scorsa mi si era rotta la macchina"
"Mi dispiace" dico, contrita.
Lei continua "Si è fermata in mezzo alla strada, e mi hanno aiutata a spingerla via.."
"la hanno aiutata?"
"Beh, si. mica potevo lasciarlo fare a quei due tre ragazzi..."
"tre ragazzi? e lei li ha aiutati a spingere da dietro?"
"no, a dire il vero stavo un po' storta, sa per non dargli noia".
Pure!
Si ode di sottofondo il rumore delle braccia, che cadono nel latte.. che sale fino alle ginocchia.
"che macchina ha, signora?"
"Una freelander,ha presente? Una jeep".
Ce l'ho presente.
Ho anche presente che è completamente inutile farle la terapia.

Anche se di recente ero dall'altra parte della barricata, o forse proprio per questo, confermo quello che ricordo; era un'altra vita, ma in qualche modo è sempre la stessa.

I pazienti siamo noi. Noi operatori, dico.

martedì, novembre 18

"... libertà va cercando, ch'è sì cara..."


Pubblico, tralasciando le parti più personali e su sua autorizzazione, la lettera che mi ha mandato un'amica. Lei è una mamma, quindi diciamo che ha una esperienza, rispetto al dare e prendere della vita, un po' diversa dalla mia, che non ho avuto questa possibilità. Limpida e breve, come Mobu e Al nei suoi commenti, ha soprattutto toccato un tema complesso e affascinante, che mi ha traghettato un po' avanti e indietro nel tempo, prima ad altri scritti, poi di nuovo qui, di fronte a domande su cosa significhi essere liberi, e su cosa siamo disposti a fare per esserlo.

"Ciao... ho letto con attenzione anche le tue riflessioni su Eluana.
personalmente trovo questo parlarne sui media qualcosa di osceno, credo che rasenti la pornografia.
ci dovrebbe essere molta più discrezione e apprezzo il silenzio del padre di Eluana e lo rispetto nel voler porre fine al proprio strazio.
non so se hai visto il film 'il mare dentro'.
si può voler scegliere di morire o di vivere, si può voler scegliere di far vivere o morire, l'unica cosa che ci deve interessare politicamente è garantire queste libere scelte. per questo ci vorrebbe una legge in grado di tutelare gli interessi di tutti.
ammettere il testamento biologico o al limite l'eutanasia lascerebbe intatta la libertà di chi non vuole ricorrervi.
ma è questa libertà che i credenti spesso non tollerano e vogliono che il loro proprio senso morale diventi legge per tutti.
quindi io vorrei una legge che tutelasse la libera scelta.
ma cosa farei io nel caso specifico data la legge?
sinceramente non lo so.
e non credo di poterlo sapere prima.
amo e rispetto la vita umana anche quando è ridotta ad uno stato vegetativo. credo che sia una grande lezione di vita vivere l'esperienza della differenza dalla norma. ma mi sembra tale solo se garantita come libera scelta. me lo imponessero sarebbe un'intollerabile fardello.
la vera violenza è trasformare un gesto d'amore qual'è il rapporto con un diverso, in un atto di obbedienza e coercizione alla legge che ti impone di amare il diverso ( quello che vorrebbero fare i cattolici con il padre di Eluana) o di sopprimerlo per forza ( quello che facevano i nazisti).
ti abbraccio
C."

"Libertà va cercando, ch'è sì cara,/
come sa chi per lei vita rifiuta".
Questo scriveva Dante Alighieri (Purg.I, 71-72. Dialogo tra Virgilio e Catone). E per tutta la Commedia viene e va questo tema irrisolvibile, della libertà; secoli dopo, così Voltaire:

«Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente.»

Celeberrima. E con ciò ha in pratica definito il principio della Democrazia.

Principio che talvolta, nel nostro laicissimo (?!) stato sembra essere dimenticato; viene soppresso in favore del buonismo mediatico; perché a volte la diplomazia impone che sia così.

La libertà, tuttavia, è qualcosa che si muove dentro di noi. Che deve esistere, nella essenza, dentro di noi. Voglio essere paradossale, senza entrare nel metafisico.

E' stato osservato sperimentalmente che le aree del cervello deputate ad un certo compito si attivano già solo immaginando che il movimento si compia. Possiamo quindi concludere, che anche in catene posso essere libero di andare ovunque.

(avevo avvisato!)

La realtà è molto più sorprendente della fantasia.





sabato, novembre 15

Omaggio a Totò (Antonio de Curtis)

'A LIVELLA
di Antonio de Curtis - Totò

Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fa' chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con i fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza

St'anno m'è capitata 'n'avventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio
(Madonna), si ce penzo, che paura!
ma po' facette un'anema 'e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d' 'a chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"QUI DORME IN PACE IL NOBILE MARCHESE
SIGNORE DI ROVIGO E DI BELLUNO
ARDIMENTOSO EROE DI MILLE IMPRESE
MORTO L'11 MAGGIO DEL '31."

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
... sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce steva n'ata tomba piccerella
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, solamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena si liggeva:
"ESPOSITO GENNARO NETTURBINO".
Guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'Ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pure all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i' rummanette 'chiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje; stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato ... dormo, o è fantasia?

Ate che' fantasia; era 'o Marchese:
c' 'o tubbo, 'a caramella e c' 'o pastrano;
chill'ato appriesso' a isso un brutto arnese:
tutto fetente e cu 'na scopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'o muorto puveriello... 'o scupatore.
'Int' a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se retireno a chest'ora?

Putevano stà 'a me quase 'nu palmo,
quando 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e, tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono un blasonato?!

La casta e casta e va, si, rispettata,
ma voi perdeste il senso e la misura;
la vostra salma andava, si, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la vostra vicinanza puzzolente.
Fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente".

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i' nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie b stata a ffa' sta fessaria,
i' che putevo fa' si ero muorto'?

Si fosse vivo ve farrie cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse,
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa."

"E cosa aspetti, oh turpe macreato,
che 1'ira mia raggiunga 1'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei gih dato piglio alla violenza!"

"Famne vedé... piglia sta violenza...
'A verità, Marché', mme so' scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so' mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuò capì, ca simmo eguale?...
... Morto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'n'ato è tale e qquale."

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?"

"Tu qua' Natale ... Pasca e Ppifania!!
f T' 'o vvuo' mettere 'ncapo... 'int' 'a cervella
che staje malato ancora 'e fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched'e".... e una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt' 'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme
tu nun t'he fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti... nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo â morte!"

A mio fratello





Eh, s'era preoccupato!(mio fratello)
Lo ammetto, a volte sono di humor nero.
Ma fare testamento è un modo per prepararsi, anche se non si vuole necessariamente (di)partire.
Ammetto che di solito, prima di lunghi viaggi in aereo ne lascio almeno uno a casa, perchè non si sa mai. Fa parte della vita, preoccuparsi del dopo-morte.
è un'affermazione di vita. è l'affemare che avremo ancora qualcosa da dire, quando dopo non ce ne importerà più niente. Ed è un pensiero gentile per chie resta, anche se a volte, come si diceva, gli eredi non sono proprio d'accordo con le ultime volontà del defunto (è capitato ad una mia amica, che purtroppo, dopo la morte della madre, è in lite con i frateli che contestano le ultime volontà ).
Ma è meglio, come si dice, lasciare tutto in ordine.
Mmm, no. Non credo che vi dirò il codice del bancomat... per quello vi dovrete arrangiare!

Il testamento di A.D. (l'altra me)

-->
TESTAMENTO
Miei cari adesso io non son più là,
son eco del passato, è divertente!
pensar, che quando allora scrissi
dicevo poco, e significava niente.
Ma Vi prego adesso di restare
per un poco ad udire le mie prose,
non perché venga a disvelar segreti
ma de’o partir per sponde più gioiose.

Nel prepararmi a lasciarvi, tuttavia
un po’ ho paura, il cuore batte svelto
vi scrivo e logoro la viltà mia:
io starò bene, perché ho già sofferto.
Poi mi par più l’ansia d’andare sola,
non rivedervi e non riudir parola
da voi che sacramente alla mia vita
la vostra accordaste, con bontà infinita.
E credo, giacché parlo supponendo,
dicevo, credo, che morendo
finalmente m’è riuscito realizzare
quello che viva potei già sognare.
Insomma,che esperienza, e cosa dire?
Infine Sono! e m’è tocca’ morire!
E allora: de’ miei oggetti, e del denaro,
vile gioia, fate voi, non mi fu caro,
ma se restasse qualcosa ancor di buono,
del corpo mio, datelo a un altro uomo.
Vi prego (cari) date voi per tutto quanto
io non riuscivo, seppur volevo tanto.
Ma lasciate, quando sarà tempo,
andar lo spir’to mio che già da adesso
mi par d’ascoltare ogni momento
chiedermi, il burlone, quando? posso?
Ancora no, sovente gli rispondo,
ma quanto? non so dire sia
il tempo che m’è dato al mondo
dunque m’appresto a finir questa mia.
Di quest’umile vaso che trattenne
l’anima mia accanto a voi per tanto,
dopo aver il ben ‘servato dato via,
dissolvetelo! vegliarlo non é vanto.
Ardevo, io, e dunque sia bruciato
e la cenere d’attorno sparpagliata,
del mio elemento, così sarò la dama;
tornerò al mare, che mi fu fratello,
ed alla madre terra che reclama
quel che con vita aveva reso bello!
Ma il flusso eterno del riflusso al globo
vi prego non bloccate col cemento,
qualor sepolta mi voleste in qualche luogo
sia senza bara, e dove passa il vento.

Cos’altro resta, se non le mie parole,
ma quelle dette giacciono, e son vostre,
così vi chiedo ancora, per finire,
nel condannar di non volervi divertire;
le azioni fatte son passate in giudicato
di cui si legga “ciò che è stato è stato”
E’ vero che ero umana, è colpa mia!
che delle tante ho scelto questa via,
ma ad i miei sgarbi, nei riguardi vostri,
pregherei trovar la spiegazione
nel fatto che, giocando sulla terra,
solo una parte aveo della visione!

E delle vostre colpe verso me?
Siete poi certi voi, d’averne avute?
io non ne vedo e so soltanto che
andando via si mutan le vedute.
Così vorrei che perdonaste adesso
la parte sciocca di coscienza ria,
che sbagliò, credendo delle offese
che la colpa fosse vostra, e non la mia.

Scusate dunque gli errori e le mancanze,
domando troppo? ancor ripeterei
di scordare litigi e dissonanze
perché v’ho amato, o non vi scriverei
quest’ultimo nostalgico, amorevole saluto
adesso che in silenzio, serena, mi trasmuto.
A voi che ‘state auguro amore e ridere,
ed il coraggio per riuscir ad affrontare
tutto quel che fa contorno al vivere,
con la gioia, il brutto ed il dolore.
V’auguro forza, e ‘scienza per conoscere
la bellezza in tutto ciò ch’è fatto;
io incespicai, ma se sbagliai nel crescere,
persi energie e mi restò poc’altro,
so ch’or la forza qui mi sarà bastante
per ritornare nell’immensità,
dopo esser stata, fra tanti, un figurante.
Che dire ancora? Addio, vi attendo là.

Addio (?) Eluana


L'argomento è difficile, ma inevitabile, perché la vita è l'unico spettacolo che dovremmo guardare fino in fondo. E quando è finito, si spegne.
Anzi, come diceva qualcuno di inevitabile ci sono solo due cose: la morte, e le tasse.
Senza la tecnologia, Eluana sarebbe morta. è Inevitabile. Non si alimenta, non beve, sembra che non possa nemmeno pensare. Quando lo sapeva fare, o almeno quando si poteva esprimere, ha detto che non avrebbe mai voluto vivere questa non-vita. Era allora una creatura con diritto di scegliere. Magari era giovane, e pensava di avere davanti tutta la vita. E lo ha detto così, per sicurezza, come lo posso dire io (anzi, lo dico!).
MA: se ora ha un anima ed "è presente", come dicono le buone suore, non ha forse diritto ancora? E se allora aveva espresso questo sentire, ed ora non è più in grado di farlo, non dovremmo rispettare il suo attestato (testamento biologico)? Come per i morti?
Quando uno muore e muore davvero, a parte che qualcuno comunque ci prova se si sente defraudato ((o nel legittimo sospetto che la persona in questione non fosse più capace di intendere...altra storia)), in genere le sue "ultime volontà" vengono rispettate.
Mi chiedo: Cosa cambia ora? staccare le macchine non significa solo lasciare che lei viva la sua scelta di vita?
A volte teniamo vicine le persone per il nostro egoismo. Ma credo che nessuno di noi possa pensare che il padre di E., che per tanto tempo si è occupato di lei, sia felice di quello che sta facendo. Se crediamo alla legge karmica, e se lui crede in quella cristiana, possiamo anche pensare che sconterà questa decisione. In questa, o in un'altra vita. Come forse io sconterò questa idea. In un modo o nell'altro. Non so come sarebbe, ma pur con un sentimento di paura (che origina nell'amore per la vita) che sostengo che io non vorrei vivere a quel modo.
Le suore, che credono nella legge del loro Dio, quello che ha un figlio preferito (e tutti noi siamo figli adottivi, mi dissero una volta. Beh, da chi ci ha adottati non me lo hanno spiegato, però), credono che si possa continuare a tenerla così. Lasciatela a noi, dicono.
Ecco. Si potrebbe dire: ma si, perché no. Mi tolgo il pensiero, mi tolgo il problema. Al massimo nell'ipotetico Giudizio finale, farò i conti con l'Abbandono, e non con l'Omicidio (del Consenziente??).
"Mi tolgo il pensiero???". Non credo.

Quello che a me sembra, è che a prezzo della propria anima il padre di questa donna (età biologica 37 anni. però non ha potuto lavorare, uscire, ridere, mangiare, toccare... negli ultimi sedici anni. Età, direi, 21 anni) sta cercando di compiere un atto di pietas.
Si conforma al volere degli dei.
L'uomo cerca di essere ad immagine e somiglianza di Dio. Ma Dio non ci fa vivere per forza; quando l'uomo si prende troppa capacità di sopravvivenza gli manda contro una bella pestilenza (TBC, Peste o Aids, l'effetto serra..) e lo ridimensiona.
L'uomo, insiste nel suo programma di perfetta Identità, continua a credere che essere come Dio significhi esistere in eterno E si pone in questo conflitto eterno.
Crede che essere come Dio significhi vivere per sempre... comunque sia.
"Comunque sia???"
Io dico che costoro, non fidano nella Provvidenza divina.

Non so cosa si prova a stare in un letto, all'apparenza senza pensieri, non poter mangiare la torta, non poter parlare, non poter guardare...
So cosa significa stare a letto senza potersi muovere. So cosa significa essere completamente dipendenti dagli altri. Ma finché una scintilla di vita si manifesta, tutto questo ha senso. Penso a Stephen Hawking. A tanti come lui.
Penso a mio cugino Handiccapato grave. Autistico. Confinato su una sedia a rotelle. Che forse non studia le leggi dell'universo, ma esprime in qualche modo fame, sete, emozioni.
Penso a uno dei miei primi pazienti. Coma apallico. 21 anni. Ma ancora, anche lui in qualche modo si relazionava col mondo. Nessuno avrebbe tolto il suo, di sondino.

So, invece, quello che un mio paziente mi raccontò: quando era in coma, lui vedeva e sentiva. Sapeva cosa accadeva fuori, e non poteva fare niente. Ma il suo elettroencefalogramma non era piatto. E quando hanno potuto staccarlo dall'alimentazione assistita (ecc.) ha ripreso le proprie funzioni. Era un ragazzo, giovane come lo ero io allora, ed è tornato alla vita che noi conosciamo.
Non so cosa prova Eluana. E per non saperne niente, so che non vorrei essere al suo posto. Vorrei esser già andata via. Se non ci fossi più.

La differenza la fa la pietas, che ci potrebbe consentire di staccare la macchina, e se lei non vive, se non reagisce, forse farle una o due fiale di morfina e non farla soffrire, mentre se ne va.
La medicina fa passi da gigante, ma questo problema non lo ha ancora risolto. NON riporta in vita i morti. Non ha ancora creato il mostro di Frankenstein. E non penso certo a Frankenstein Junior.

Menre io mi chiedo se sarei in grado di prendere una decisione del genere, per una persona che amo, la bioetica si chiede e ci chiede di dire no, all'accanimento terapeutico. Quando aveva l'emorragia, a Eluana, l'avrebbero lasciata morire. Ed è sopravvissuta.
Questo potrebbe portare a sostenere la tesi contraria a quella che ho espresso fin qui. La vita prende il sopravvento, anche così?

mercoledì, novembre 12

Il ritorno (non togliere la glassa 3)

"Solo gli stupidi non hanno mai paura".
Chi lo ha detto non lo ricordo, ma oggi, a quanto pare, sono meno stupida del solito.
Così tanto di meno. che ieri mi è venuto anche un febbrone da cavallo, all'idea.
Perché oggi, dopo circa cinque mesi torno al lavoro.
Si ha un bel dire, che ho preso freddo quando sono uscita con Bev, lunedì, in mezzo al traffico; non più abituata all'aria fresca di novembre, che sulla moto si sente molto di più, un po' di freddo l'ho pure sentito. Ma mi sentivo anche come Harry Potter sulla sua scopa, con una emozione inenarrabile che saliva dentro. In moto, quasi come quando nuoti: ti sembra di volare.
Mi sentivo come Platinì, nel traffico. Platinì, prima di tirare sapeva già dove erano tutti gli avversari, e faceva goal, perché aveva quell'attimo di coscienza che gli permetteva di inquadrare il passaggio giusto, lì, tra le gambe dei giocatori. Ho fatto goal anche io, lisciando due volte la stessa manovra che mi ha procurato l'incidente. Stavolta, pensando "questo qui davanti mi sa che gira", anche se il "questo" non ha messo la freccia, ho aspettato a sorpassarlo. E infanti ha girato. Come cinque mesi fa, quando è cominciata quest'altra vita. Solo che quella volta, ho sorpassato. Ritrovandomi a fare la macchia sull'asfalto. Io, come una macchia d'olio, impressa nel nero catrame.
Stavolta ero troppo giovane perché accadesse di nuovo. Così sono stata attenta... e molto zen.
Esistevo solo io, la moto, le auto, l'aria, il sole... si, sembra che stia dicendo che ero attenta a tutto, e infatti è così. L'unica cosa che mancava erano pensieri che distogliessero da ciò che stavo facendo. Insomma, pari ad un "quando mangio, mangio" e nient'altro, stavolta mi sono ricordata di non togliere la glassa.

Ciò nonostante, qualcosa è stato in agguato, sotto l'attimo perfetto. Qualcosa di profondo ha lavorato, scavato, colpito. E ieri mi sono dovuta fare l'ultimo giorno di riposo... a riposo. Volevo fare delle belle cose, volevo vedere un amico e andare a mangiare un gelato; magari andare a vedere una mostra, come se fosse domenica. Perché oggi è di nuovo lunedì. E per la prima volta, dopo cinque mesi, ha suonato la sveglia, alle cinque, e stavo ancora dormendo.
Oh si. l'insonnia mattutina ha provato, come tutti i giorni, a farmi svegliare alle tre e mezzo. Ma ho dormito di nuovo.
Ora sono pronta. Un po' febbricitante, ma non importa. Ho deciso di andare, perchè è anche vero che si dice che i coraggiosi, sono quelli che vedono il pericolo, e gli vanno incontro comunque.
E tanto, se stessi a casa anche oggi, anche domani, non avrei meno paura di ricominciare.

martedì, novembre 11

Tecniche Yoga

Frascati in biciclettaIntroduco
Qualche anno fa ho iniziato a fare Yoga Kundalini, appassionandomi quasi subito, vista la sua dinamicità e (inorridite, astiosi odiatori del canto!) l'utilizzo dei mantra. Caso ha voluto, o forse l'insegnante che aveva qualche difficoltà, che a volte mi sia capitato di insegnarlo.
Insegnare Yoga non è come fare una lezione su Alessandro Magno, o sulla seconda Guerra Mondiale. Non è come parlare di politica. Non devi prendere nessuna posizione. O meglio: devi prendere la "posizione facile" (tecnicamente: seduti a gambe incrociate).
è: mettersi in una posizione neutrale, ed essere solo un tramite. Non interferisci, ma passi la tradizione, come una brocca riempita d'acqua, che si svuota colmando i bicchieri. Così non è difficile. Ti metti nell'essenza dell'insegnante, e per un po' ti dimentichi. Sostieni, attraverso la voce, attraverso la Tradizione stessa che scorre, quelli che sono lì con te a praticare.
Yogi Bhajan diceva:Se vuoi conoscere davvero qualcosa, insegnala.
E forse è vero. Mentre insegni lo Yoga, lo conosci. Conosci. Perché se vuoi portare la classe fino alla fine, deve essere te. Ma te non sei tu, in quel momento. Sei un filo che non può essere spezzato. Perchè è tutta la Vita, la Tradizione...

L'esercizio
Ok, di più e meglio non ne so scrivere, per ora. Ma è il criterio d'esercizio, a cui volevo arrivare, che consiste nella disciplina, prima, ma ha qualche trucco che mi ha portato l'anno scorso in cima a Salina, nonostante non fossi affatto allenata ad andare in montagna.
L'insegnante dà un obbiettivo (in genere è l'esercizio in sé; e non si conosce il tempo, come nella vita...ma questa, naturalmente, è un'altra storia). Quando sente la prima stanchezza (l'insegnante, o la tua coscienza) ti dice che manca ancora poco. A metà, ti dice: guarda, hai già fatto la metà. Così tiri avanti ancora un po'; e quando "manca solo un minuto".. beh, non ce la fai proprio a mollare!
Quindi a Salina, metro dopo metro, ho colmato il dislivello di circa mille metri dal livello del mare, e sono riuscita anche a divertirmi parecchio. In coda al gruppo, per sostenere quelli non allenati, come me, mi sono lanciata in pindarici voli sulle proporzioni del cammino. Assolutamente ipotetici, perché non avevo idea di quanto fosse lungo... (la capogruppo, i camminatori e la piantina del luogo erano invariabilmente 'molto più su'.. ma questa la racconto un'altra volta).
"Abbiamo già fatto un terzo", "sono sicura, non mancano più di tre quinti", "credo che ormai siamo ai cinque settimi"... e così via. Così dicevo, e piano piano arrivavamo anche noi altri. Quelli che, andando piano, si gustavano la montagna facendo troppe foto, grattando i muscoli spompati, annusando la polvere mescolata agli aromi della macchia mediterranea.
40° all'ombra, e vento di scirocco. Quando tirava vento.
E noi, su per la montagna. Da cardiopalma. Avevo con me tre litri e mezzo d'acqua e succhi, e li ho bevuti tutti. E quando siamo scesi, in dieci minuti ho comprato e finito un altro litro e mezzo di acqua...

L'altra regola
... ma domenica, qui a Roma non era così caldo.
Così, "ho tirato fuori la mia vecchia bicicletta" e mi sono avviata lungo la ciclabile fino a Tor Vergata. Il progetto di raggiungere Frascati era nato da un paio di settimane, e la prima uscita con Bev era servita anche a valutare la strada.
C'è un'altra 'regola', che ci si da facendo Yoga: non essere schiavi delle regole. Né dell'esercizio. Devi essere consapevole che quello che fai ti 'torna', potenziato, quindi se fai le cose fatte bene e fino in fondo, il beneficio è enorme, ma è pur vero che se passi il limite rompi la corda.
E quello che 'torna' il giorno dopo sono solo dolori indicibili, in genere in zone dove nemmeno credevi ci fossero, i muscoli, e di conseguenza a muscoli che non conoscevi l'esistenza, tipo i muscoli del mazzetto rosso.
Quindi mi sono promessa che sarei arrivata solo all'inizio della salita (gli ultimi cinque chilometri).
Mi sembrava un buon risultato, un buon esercizio, ma quando me la sono vista davanti... non ho resistito. Mi sono detta che avrei smesso, appena stanca, e in effetti mi sono anche fermata ad un certo punto. Se non chè una vocina, dentro, ha srotolate, una dietro l'altra le paroline magiche: "manca ancora poco".
Come un futuro ex-fumatore, di fronte alla ex-possibile-ultima-cicca, ho ripreso a pedalare.
"Hai fatto più di metà!", trillava la vocina, mentre qualche pezzetto dei miei polmoni in fiamme rimaneva sull'asfalto, dietro di me. "il più è fatto!", gioiva e trillava la vocina (chissà dove lo prende tutto questo fiato, la coscienza!)
Il cuore, in tutto ciò, sembrava volersi appropriare del posto dello stomaco, pervadere tutto l'addome e schiantarsi contro il bacino, per frenare la corsa al proprio frenetico riempimento.
Ma a quel punto, proprio a quel punto, non mancava neppure un minuto.
Ero arrivata!

lunedì, novembre 10

L'idraulico

Conosco un uomo, che è sordastro. Anzi, dai, diciamo che è sordo (#) abbastanza da non sentire il campanello e il citofono; e da credere che, quando si sentono dei suoni simili al driin del telefono di casa, possano essere causati dal mio cellulare. Naturalmente è il suo telefono di casa. E lui è un ingegnere delle telecomunicazioni.
Però adesso è un po' sordo. è questo che conta per la storia; non il fatto che sia una persona colta e divertente, ma un po' timido; o che, quando l'ho conosciuto, pensavo che non mi parlasse per spocchia, e invece ho scoperto che (a parte il fatto che gli viene l'affanno) è quasi un compagnone. Ha dei concetti equilibrati sulla politica, il che è particolarmente difficile per molti di noi. Lui, é uno che quando c'era la sinistra al potere ne diceva il bene e il male, e ora che c'è la destra ne dice il bene e il male. Raro.
è emotivo quanto un fiore, di quelli che si chiudono se li guardi, e nonostante anni di training respiratorio e di allenamento allo sforzo, quando deve andare in un posto gli viene il fiatone. Non perché non ce la faccia a camminare, ma perché gli viene l'ansia. Emotivo, ed obbiettivo. Unico.
Comunque, sordo, lo è.
Qualche giorno fa ero a casa sua, quando è suonato il citofono. "è il suo cellulare?" mi chiede.
No, è il citofono.
Secondo trillo.
Si sente la voce della donna di servizio, che evidentemente si è avvicinata all'apparecchio, perché la sento chiedere "chi è?".
Subentra un'altra voce: la moglie dell'ingegnere: "apra, è l'idraulico".
E io che pensavo che in casa non ci fosse nessuno! Ma evidentemente la donna di servizio, dopo tanti anni, è diventata un po' sorda anche lei. Io stessa ho dovuto suonare due volte. Magari questo è il postino.
Terzo trillo.
La donna di servizio: "chi è?"
La voce della moglie (che ci sente ma evidentemente non ha le mani (libere)), con un tono di voce ormai piuttosto teso e appena un po' stridulo... : "apra, è l'idraulico!"
Avete mai provato ad incastrare un idraulico? Ti dice che viene tra una settimana, mentre tu ormai navighi nella disperazione, se non nell'acqua. Chiudi il rubinetto centrale, hai solo acqua fredda, la caldaia non funziona.. E quando finalmente arriva (50 euro solo per arrivare con la sua manina al campanello), magari ti dice che non ha il pezzo che serve. E torna dopo una settimana. E magari quel giorno ha da fare o si dimentica di voi...
Si, sono sicura che vi è capitato.
Quarto trillo: "chi è" insiste la donna di servizio, che essendo filippina forse non sa come funziona qui con gli idraulici. Forse da loro è diverso. Forse non conosce la parola... ma dannazione! Alle grida (ormai vibranti di panico) della voce della moglie ("Apra!!! è l'idraulico!" ) almeno potrebbe fidarsi e aprire. Per gentilezza verso la signora, almeno! Che diavolo.
Effettivamente, fra l'altro era l'idraulico. E alla fine credo che abbia aperto la voce della moglie, con l'ultimo strillo. Ma forse le prime due volte era il postino, perché non ho mai visto un idraulico insistere tanto.
L'ingegnere, nel frattempo continua gli esercizi; passa l'idraulico e dopo circa 40 secondi esce dal bagno. Ha già finito. SI sente un nuovo suono, e l'ingegnere: "ma è il suo, o il mio cellulare?"
Naturalmente era quello dell'idraulico.

(#) non voglio essere tacciata di discriminazione scrivendo: sfavorito nelle possibilità uditive. Se uno non ci sente, per me è sordo. Nessuna offesa. Se sono stupida, non sono "diversamente intelligente". Sono stupida... Se sono brutta... beh, intanto non è colpa mia.
Ma questa è un'altra storia

venerdì, novembre 7

non togliere la glassa (2)


Da adesso, e soprattutto prima di tornare al lavoro, vorrei mangiare sempre tutta la torta, senza togliere la glassa.

non togliere la glassa

Questa mattina mangiando della torta: tra un boccone e l'altro, cercando di assaporarli più a lungo possibile, essendo l'ultima fetta,, come al solito ho tolto la glassatura. Si trattava di pasta di mandorla, essendo la torta una buonissima Cassata, quindi è la parte che preferisco. E di solito la mangio per ultima, per trattenerne il sapore finchè posso. Tuttavia, complici gli operai che battono al piano di sopra (per riparare i tubi dell'acqua) mi è sovvenuto che se per qualche assurda (quindi possibilissima) ragione avessi dovuto smettere di mangiare, mi sarei persa proprio il più bello!
E dire che in tutti questi anni (prima) ho sempre mangiato prima l'orlo della pizza e poi il centro, prima la pasta e poi il condimento, prima il pan di spagna e poi la glassa.
Che diavolo di rischio ho corso!

giovedì, novembre 6

Autostima


Anni fa un tizio che credevo essere l'altra metà della mela, osservò che assomigliavo a Meg Ryan, versione bruna. Meg Ryan, fra l'altro, originariamente aveva i capelli scuri; aveva anche delle belle labbra, che qualche estate fa ha sostituito con un canotto, come tante altre donne che appaiono in tv. Io a questo non sono arrivata, ma dopo aver visto Harry ti presento Sally, ho tentato in qualche modo di avvicinarmi a quella che ormai credevo essere il mio modello perfetto. Un bel progresso, visto che fino all'anno prima il mio mito era Totò Schillaci. Diciamo che forse fu una sorta di balzo evolutivo.
Per anni, ovviamente, mi sono sentita inadeguata, Non che volessi essere ricca, né fare l'attrice, ma anche dimagrendo e tingendomi i capelli, mi sembrava sempre di essere solo la brutta copia.
"Quella che somiglia a..."Infatti con le meches si sono raddoppiati i "sai, mi ricordi qualcuno... ma si, quella che fingeva l'orgasmo in Harry ti presento Sally, come si chiama?"
Ahimè, cominciavo anche a crederci, e quasi quasi mi pareva che col tempo la somiglianza aumentasse. Se non che sono accaduti due fatti importanti.
1: avevo promesso a me stessa che avrei smesso di colorarmi i capelli, quando avessi avuto il primo capello bianco. E quando l'ho trovato ho in effetti smesso.
2: la (per me, fino allora) perfetta Meg si è rifatta le labbra. Un canotto, appunto. E dire che recenti studi dichiarano che ha il viso (tra le attrici) più somigliante a quello delle donne rinascimentali..
Somiglia di qua, somiglia di là, forse questa è una ragione sufficiente per cambiarsi i connotati, come per me lo è stata per non sentirmi più orgogliosa di tale somiglianza. Anzi. Un poco, fra l'altro, cominciava già a scocciarmi, di "essere carina come.." e non di "essere carina" e basta! Ora sono fiera dei miei capelli scuri e piuttosto somigliante a me stessa, mi ritengo adeguatamente soddisfatta. Certo, qualche mattina, guardandomi allo specchio, mi sento brutta, cattiva, grassa, noiosa, magra, con la bocca piccola, col naso lungo.. ma sono soddisfatta di essere solo me. Pregi e difetti, anche se questi mi rallegrano poco, mi rendono ineguagliabile. Combinazione unica.
Quindi, che cosa spinge l'essere umano a credere che rifarsi le labbra, le tette, le spalle, il naso lo faccia essere migliore? é solo apparenza, e fra l'altro in genere è evidentissima. E se non se ne accorge lo spettatore normale, prima o poi ti becca "Striscia" o simili, e fai una figura di latta: vuota. E il lifting? Ti viene la faccia di plastica, e se fai un sorriso rischia che crolli tutto come le torri gemelle; non puoi nemmeno riderti addosso. Sennò cascano le tette.
Sarà che gli attori ad un certo punto si confondono, e finiscono col non sapere più quale sia la maschera e quale il volto (e l'essere) vero?

"Se tu fossi bello è ben fatto", amava esordire uno di miei insegnanti (corso di Posturale)... e poi giù critiche a non finire, per spiegare a noi altri cosa dovevamo fare per aiutare a migliorare la situazione delpaziente. Tutto, rigorosamente fatto con l'uso delle mani. Nessun ausilio, nessun trucco, nessuna chirurgia. Solo noi e l'aiuto del 'paziente' che deve voler cambiare, dentro, prima che fuori. Che deve voler togliere, starto dopo strato le torsioni e le tensioni con cui difende sè stesso dal mondo.
Deve voler smettere di difendere, e imparare a proteggersi. è una sfumatura, ma è importante.

La mamma di una mia amica soffre di depressione, (in realtà non è la prima a cui succede; forse ho delle amiche strane.. o forse prima le loro mamme stavano bene) e l'altro giorno mi diceva che è un periodo che non sta bene, e ha paura che sia colpa della depressione.. Ma dove sta 'sta depressione? Non potremmo perdonarci qualche errore, accettare le conseguenze delle nostre azioni, e cominciare a spianare qualche montagna di dubbi su noi stessi, di speranze mal riposte, Aggiungi immaginedi aspettative nei confronti degli altri (in genere disilluse) e spianando la via ad una solida autostima?
E smettere di credere che qualcuno, fuori di noi, sia migliore di come siamo o come possiamo essere ? (vi concedo magari Angelina Jolie e Brad Pitt, che so' anche buoni))
Forse si, e forse non basta:
l'anno scorso (durante un seminario di aggiornamento) si avvicina un collega e mi fa: "ma tu, non sei mica la sorella di Margherita Buy?"

(Sgrunt! di secondo nome mi chiamo Margherita..Sarà destino? ma forse è già un progresso..)

martedì, novembre 4

A mio fratello

Tanti, tantissimi auguri a mio fratello, che oggi compie un altro anno della sua vita.
Ti auguro che ogni momento di questo nuovo anno, e di tutta la tua vita, sia colmo di sapori e di odori di gioia, e del pianto che fa gustare la gioia.
Ti auguro di portare con te le persone, e di scoprire, a distanza di anni, quando non le avrai più vicine, ancora qualche frammento di loro dentro di te. Ti auguro di avere "sorrisi sul tuo viso, come ad agosto grilli e stelle" e una valigia colma di esperienza, che non svuoti troppo la borsa della fortuna (parafrasando le regole dell'aviatore).
Ti auguro di essere sempre circondato di tutto l'affetto che meriti, e se un giorno scoprirai che non è abbastanza, ti auguro di riuscire ad amare di più, per colmare lo spazio che ti potrebbe sembrare vuoto.
A te, che sembri dimenticare tutto, auguro di saper ricordare che se non appaio sempre al cento per cento, con te, ti voglio bene, sempre. Anche quando non te lo dico.

Il mio palazzo

Oggi piove. Anzi, come capita ultimamente diluvia, quindi mi siedo di nuovo alla tastiera, in attesa di uscire, e sperando che passi il fortunale. Roma diventa drammatica, quando piove così. Diventiamo mentalmente incapaci; tutti.
Così per distrarmi dall'incubo che mi attende nell'habitat, oggi vi parlo degli abitanti.
Notizie dall'interno, quindi.
Dopo il grande evento di un mese fa (un tizio è precipitato dal terzo piano) il palazzo si annoiava, così, apertesi le cateratte del cielo, i tubi del terzo piano hanno deciso di fare lo stesso.
Rogne maggiori di una pioggia violenta, sicuramente, ma almeno si ha qualcuno a cui dare la colpa. O qualcosa di fisico (i tubi dell'acqua) un po' più tangibile delle nuvole o dell'effetto serra.
In pratica: oggi all'abitante del piano di sopra si è allagata casa, visto che a quello del piano sopra di lui, si sono rotti i tubi. Per fortuna il mio soffitto sembra indenne, altrimenti avremmo potuto inaugurare una cascata; il lato positivo è che ho conosciuto (e collocato abitativamente) altre due persone del mio palazzo, visto che gentilmente sono venuti a vedere se tutto andava bene, sul mio soffitto. Per ora si. Ma devo dire che dopo non sono più riuscita a riposare; ogni tanto accendevo la luce fissando gli angoli, con silenzioso terrore.
Nel mio palazzo, quindi, siamo già in tre: io, il ragazzo del piano di sopra, e quello che abita sopra a lui (e che ora ha i tubi rotti e, presto, un sacco di grane).
Poi so che c'è un signore anziano trasferitosi da qualche giorno; tipo difficile. L'altro giorno mi ha chiesto cosa fossero i contatori che stavano di sotto ("di sotto dove?") visto che aveva localizzato quelli della luce, anche se non riusciva a trovare il suo (appunto, gli ho dovuto accendere la luce del gabbiotto).
Abbiamo anche un gatto, che vive con una donna di mezza età, ed hanno lo stesso carattere diffidente, e lo stesso colore grigio. Poi c'è una coppia con una bambina piccola, e i due immancabili vecchietti, che ogni volta che li incontri bisogna parlare di acciacchi e passeggiate. Diciamo che sto cercando di non fargli capire che lavoro faccio, perchè ho l'impressione che poi non potrei più vivere tranquilla.
La famiglia del piano terra, "buongiorno e buonasera", ha il posto macchina vicino al mio e sono quelli che incontro più spesso, assieme ad una donna che accompagna un vecchietto che sta sulla sedia a rotelle, ha il viso grinzoso e non parla affatto. Neanche la donna a dire il vero.
Un uomo e suo figlio, abitano insieme. L'uomo ha dei lunghi baffi, grigiastri e un poco sfumati di giallo, sembra più vecchio della sua età,parla sottovoce e odora di vino più volte si che no, ma possiede quella gentile pacatezza dei vecchi ubriachi, quelli che non sono mai più davvero sbronzi, ma sono piuttosto.. ottenebrati. A differnza di molti altri sorride, quando ci salutiamo. Il figlio lavora ai giardini, guarda le partite la domenica ed usa condividere con tutto il palazzo l'entusiasmo per i goal della sua squadra del cuore; in altre parole manifesta la gioia con possenti grida belluine. Ma prima che lunghi mesi a casa mi permettessero di conoscere un altro pezzo della collezione (il portiere)mi prendeva i pacchi quando arrivavano.
Il fortunale è passato così posso di nuovo contare le gocce e dargli un nome, come agli abitanti del mio palazzo, ma qui naturalmente, taccio.
La pioggia ha su di me il fascino del fuoco.

Fai un regalo all'ambiente


Premessa 1: non sono un'ambientalista, o almeno, non una di quelli che lottano per i diritti delle foreste e dei pesci, ma lotterei volentieri per il nostro diritto a vivere in un ambiente più sano.
Riprenderò il tema, magari, ma non mi dilungo.
Premessa 2: adoro l'Ikea, e magari in qualche modo anche stavolta hanno ragione. Meglio di niente.

Leggo su una pubblicità la nuova grande Ikea (idea, volevo dire, idea) del colosso svedese: se comperi un albero (di natale) da loro, di circa 150 cm,- 9,99 (quindi dieci) euro -vaso escluso, e lo riconsegni dal 5 al 12 gennaio ti regalano un buono di pari valore (9,99 euro vaso escluso) da spendere nel negozio. Bene.
Ti compri l'albero, lo porti a casa, lo addobbi, (magari visto che ci sei gli addobbi li compri all'Ikea), e poi quando lo riporti ti ridanno i soldi, in modo però che tu comunque li spenda. è giusto, mica ci fanno la beneficenza. E poi non c'è nemmeno il problema dello smaltimento, che qui nessuno ha il camino, né quello di metterlo da qualche parte fino all'anno prossimo, come il vecchio albero di plastica con i rami che si chiudono.
La plastica inquina, quindi comperiamo un bell'albero vero, che è stato tagliato dalle foreste fitte del nord, e ha anche un nome: Picea Omorica (link su Wikipedia).
Lo compriamo, e Ikea, per ogni albero riportato dona 3 euro ad un parco italiano per finanziare il rimboschimento. 3 euro.
Gli altri sette li intascano, perché tu il buono lo devi spendere. L'anno scorso dice la pubblicità, ne sono stati riconsegnati 60.000. Che se non li avessero tagliati sarebbe stato meglio. Li hanno truciolati, e trasformati in fertilizzante naturale, intanto abbiamo almeno 60.000 Picea Omorica di meno.
Qualcuno può osservare che magari li tagliavano comunque, senza nemmeno il contributo per il rimboschimento dei parchi italiani (che nessuno ci dice dove stia avvenendo e se stia avvenendo).
La plastica inquina? L'albero di natale, a casa mia, è durato più di 30 anni. Vi giuro che quando ne abbiamo comprato uno per i prossimi trent'anni si stava decomponendo.
Lo mettevamo nella scatola l'hanno prima e aveva trenta rami e fate conto, trecentomila aghi. L'anno dopo mancavano due rami e relativi aghi (decomposti). Alla fine era quasi un tronchetto della felicità, nel senso che, a noi, ci ha fatti felici. comunque Non era vero, non era bello, ma era il nostro Albero. Quello nuovo deve ancora faticare per conquistarsi tale titolo affezionato.
Ora che vivo da sola nemmeno lo faccio, l'albero, perché nessuno è pari a quello, storico. E nessun alberello stappato alla terra, che tanto per dirne una sarebbe meglio, 'sti 60.000 alberi, se proprio gli danno fastidio, che li trapiantassero direttamente. Si sa che i fondi finanziati hanno tendenza a disperdersi più dei semi nel vento, infatti.
Senza contare tutti quegli alberi che non vengono riportati. Ma che ci fa la gente?
Preferisco ancora vederli nel bosco, essendo una di quelle sfortunate che ha il "pollice nero" (non riesco a far crescere niente) ed essendo altresì una delle fortunate che ha il giardino condominiale ,ben curato, e mi basta affacciarmi per vedere un bell'alberello vivo, addobbato e felice (soprattuto quando gli levano gli addobbi).
Evviva la tradizione (link su Wikipedia), certo non voglio dire... ma se l'albero esprime il rinnovarsi dell vita, tagliarlo indica 'morire per rinascere'?

Mi dispiace di terminare con tale cupezza, ma alle volte mi chiedo se non ci sia un modo diverso di fare le cose... Disegnarlo per esempio, e attaccarci su le pallette, come il gioco della coda dell'asino.

lunedì, novembre 3

Io e Bev

Non lo sapevo.
Oggi, svegliandomi non sapevo ancora che ce l'avrei fatta. Dopo l'attesa, che porta per se stessa gioia, stavo quasi per lasciar perdere. Così la mattina si è stirata i propri angoli, mentre il volto mi si spiegava lentamente e in modo incompleto (ma forse le rughe c'erano anche ieri) dopo una cattiva nottata, che nemmeno il caffè ha cancellare; le memorie della sera vi galleggiavano dentro. Ero così, sospesa e un po' dispersa in questi fumi, con l'alito del rauco vento di Velletri che mi sibilava ancora nelle orecchie, quando altro vento s'è intrufolato nelle asperità d'una giornata che faticava ad iniziare.
Mi sono vestita "come per", all'improvviso, quasi fingendo che accadesse a qualcun altro, per smorzare la paura di non farcela. Ho mascherato la bramosia in un altro caffè, ho spillato la paura all'etichetta dei fiori di Bach, trangugiandoli come per affogare in quelle poche gocce tutta la storia degli ultimi cinque mesi.
Poi sono scivolata fuori casa, incollata al muro, come se potesse sostenermi davvero, giù fino al parcheggio sotterraneo. Ed era lì.
Come l'avevo lasciato ieri, e ieri l'altro. Il casco coperto di plastica per non impolverarsi, in cantina. Nel bauletto ancora l'ombrello piccolo, d'emergenza. Mi soffermo a pensarci, per acquistare tempo: se piovesse non riparerei neppure il naso, sotto quel cosino piccolo piccolo... Non funziona, a lungo. Accendo il motore, che stenta un po', dopo tanto riposo, e mi siedo in sella, a riascoltare la vibrazione leggera, le fusa della bestiola non viva, che mi fa sentire viva.
Lo ricordavo meno pesante, mentre lo scavalletto. Ma la schiena non protesta, quindi inizio qualche lento giro nel garage, sperando che mi basti. Come è è possibilie? Appena scorgo la luce, fuori della rampa, quelle artificiali dell'interno si spengono sul tremore leggero delle mani. Il cuore balza su, fuori della rampa e dentro nella gola, prima che abbia dato gas, ma quando lo raggiungo, nel sole d'una domenica incredibile, dopo tutta la pioggia, la strada diventa l'amica di sempre; quella dove posso, di nuovo bambina ed invincibile, giocare a correre imbozzolarmi nell'aria che si schianta addosso alla giacca, penetra dalle maniche e s'infiltra nei recessi più scuri, liberando le ansie che naufragano sugli scogli dei ricordi.
Come se fosse la prima volta, ma una di quelle in cui con sorpresa scopri che sai già come devi procedere, mi avvio per una strada che sale, su cui, perciò mi sembra adeguata, guidai la prima volta il Beverly 400 di un mio amico. Come allora, nessun sorpasso, concentrata come sono sul mantenermi incollata e verticale sulla striscia d'asfalto. Come allora il brivido che mi anima mi porta più su, di quella striscia d'asfalto.
Come allora il mezzo termine del viaggio è Frascati, privo delle stelle lasciate a terra, che di notte illuminano la vallata di Roma; le luci della città sono spente, riposano in attesa della notte. ed io riposo, in attesa del ritorno.
Invecchio qui, riposando, di questi 15 chilometri che tagliano via l'infanzia di questa nuova vita, iniziata 'finendo' per terra.
Poi torno a casa, per la prima volta.

domenica, novembre 2

La vita di una foglia

La vita è anche questa. Distendersi nel sole, spandersi nella vita, e talvolta offrire riparo: a quelli deboli, a quelli che galleggiano appena, a quelli che si arrampicano su chi galleggia.