venerdì, novembre 21

Una settimana di lavoro

Avete presente? dicevo una volta che, quando ti giri a guardare, certe storie sono rimaste uguali.
Il lavoro è così. Puoi rimanere fuori qualche giorno, o qualche mese, e quando ritorni è tutto esattamente come prima. Le stesse facce ansiose (dei colleghi, forse peggiori perchè sottoorganico da cinque mesi), gli stessi utenti che tornano, lo stesso terribile sospetto che anche se avessi la bacchetta magica funzionante, starebbero male lo stesso.
Perché? Perché stare bene, sentirsi bene, è la cosa più difficile del mondo.
Esempio: paziente con dolore fisso alla schiena. Seconda seduta di terapia (di gruppo, nel tal caso), inquadri il problema. Gli fai correggere il movimento sbagliato.
"dottoressa, che strano, non ho più il dolore".
Bene. Se continua a muoversi correttamente, come ha fatto ora, vedrà che starà meglio... Ti mordi la lingua, a questo punto. Ma è già troppo tardi. Appena alzi il telefono per rispondere all'ennesimo "mi scusi ho sbagliato" quella ripete il movimento.. come prima. Cioè sbagliato.
Passi, una volta, Ma se insiste...
Il terapista si raccomanda (parliamo ancora di gruppi) accuratamente, e in vari modi, che i pazienti lo informino se compare il dolore. Gli esercizi, di per se, sono ottimi ma a volte vanno un po' adattati. Cinque persone che stanno male per una lombalgia reagiscono in modo diverso e ce l'hanno per motivi diversi.
Il terapista passeggia tra le persone, distese a terra ad occhi chiusi e per l'occasione adotta il passo del gatto. Felpato e inconsistente. (Aver perso qualche chilo, aiuta).
Si sofferma a fianco di una signora, si, sempre la stessa, ed osserva il viso contorcersi in una palese smorfia di dolore. Nella sua mente riecheggiano gli avvisi precedenti... ma suggerisce di nuovo, dolcemente, con voce paziente: "non dovete sentire dolore, nell'esercizio, se accade, fermatevi"...
Inutile. La smorfia continua, il movimento anche. "Signora, va tutto bene?" Tuona a questo punto, vibrando di sconforto, il terapista. Le parole si versano nell'orecchio della signora, che apre gli occhi e naturalmente, con la smorfia ormai incastrata fra le rughe: "veramente mi fa male".

Terapia individuale.
"dottore' (ssa) me fa male 'a schiena, quanno sto troppo seduto".
Occhieggio il voluminoso portafoglio, infilato nella tasca posteriore del pantalone. Il paziente coglie lo sguardo. Forse, stando ai fatti successivi, teme che voglia fregargli qualcosa.
"sa" suggerisce invece la voce paziente, al paziente: " intanto potrebbe togliere il portafoglio, quando sta seduto a lungo". Ci sono un sacco di cose che fanno male. Stare seduti storti è una di quelle. Finisce di spiegare il terapista che c'è in me.
"ma sa," dice il tipo, provando, forse rassicurato,"effettivamente mi sento più comodo".
"allora provi".
Alla seduta successiva il paziente ha ancora il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. L'ho detto; una volta, passa. La conversazione si ripete. La decisione della persona a cambiare, anche.
Alla terza seduta, il portafoglio resiste al suo posto. Devo fargli notare che durante la terapia è meglio toglierlo da lì.
"si, in effetti me lo aveva detto...". Si in effetti si. E guardi che il portafoglio ce l'ho anche io. Nella giacca.

Altra paziente. Ha un'ernia cervicale, ma dopo le prime sedute, ogni volta che finisce la terapia sta meglio. è un dato oggettivo. Lo dice lei, non io (non mi azzardo più).
Torna la settimana successiva. "ma lo sa che, dopo l'ulyima volta, sono stata malissimo?"
Il buon terapista si mette in discussione. Strano, si era alzata dal lettino e andando via si era anche rallegrata per la scomparsa del dolore. Ma il terapista rivaluta, osserva, lavora, fa lavorare. E chiede, anche.
"ha fatto qualcosa di particolare? qualche sforzo magari... sa, lei deve un po' riguardarsi".
La signora garantisce di no.
Torna, alla seduta successiva. "mi sono ricordata, sa, che la settimana scorsa mi si era rotta la macchina"
"Mi dispiace" dico, contrita.
Lei continua "Si è fermata in mezzo alla strada, e mi hanno aiutata a spingerla via.."
"la hanno aiutata?"
"Beh, si. mica potevo lasciarlo fare a quei due tre ragazzi..."
"tre ragazzi? e lei li ha aiutati a spingere da dietro?"
"no, a dire il vero stavo un po' storta, sa per non dargli noia".
Pure!
Si ode di sottofondo il rumore delle braccia, che cadono nel latte.. che sale fino alle ginocchia.
"che macchina ha, signora?"
"Una freelander,ha presente? Una jeep".
Ce l'ho presente.
Ho anche presente che è completamente inutile farle la terapia.

Anche se di recente ero dall'altra parte della barricata, o forse proprio per questo, confermo quello che ricordo; era un'altra vita, ma in qualche modo è sempre la stessa.

I pazienti siamo noi. Noi operatori, dico.

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