giovedì, aprile 30

La velaia di T. (2)

C'era una volta il tempo...
che ci ha viste solcare il fiume di pietre incastrato fra le case di tufo di Orvieto. E crescere, riluttanti poeti che si nascondevano dentro felpe immense, e una indecisa autonomia di pensiero: per cui eravamo sempre affogate in noi stesse e un po' tagliate fuori; anche quando si pensava d'aver raggiunto un punto di contatto con gli indigeni del paesone. Non siamo mai state di quel posto, ma eravamo ben di noi stesse, ed eravamo una per l'altra. Nei litigi come nelle lunghe giornate passate ad inventare storie e curarci il futuro. Senza mai sapere.
A diciotto anni, non sai mai niente, ed hai solo il tempo di metterti su una giacca e correre a vedere cosa ti ha riservato la vita. Almeno a me pare che fosse così.

Le strade però ad un certo momento portano altrove, e dopo aver studiato le pietre dello stesso Corso insieme, tante volte, una volta sola è bastata, ed abbiamo percorso altre strade.
Come se io fossi andata a S. Giovenale, e tu a piazza Cahen. I due poli opposti.



C'è stato un tempo, in cui ci siamo rincorse nel sogno, ed abbiamo salito le due discese opposte, ansimato, girato l'angolo e pensato che il caso bastasse, per rivedersi; però non era il tempo. Quello.

Ieri, che conta già qualche pioggia e qualche notte, ed ha aspettato vari anni e quaranta giorni per essere ieri, alla fine è successo.
O all'inizio.

E se l'ultimo mio sogno diceva che ci saremmo incontrate in un porto, non sbagliava poi di troppo. La città è di mare: una lingua tesa fra due mari anzi, che non parla dell'uno dell'altro; ma solo dello scirocco.
Il porto è d'aria, come da copione, considerato che entrambe siamo di quell'elemento essenzialmente tratte. Ed attratte.

Il tempo è venuto, alla fine (o all'inizio) di riabbracciarsi.
Come nella scena madre che occorre aver visto almeno una volta, e vissuto possibilmente tante!, un abbraccio ha raccontato più di ogni possibile articolazione sonora tutto quello che non c'è bisogno di dire. E molto più in fretta.

Il tempo è venuto lentamente, e passato ovviamente, con la sua logica paradossale, rapidissimo; ma so esattamente tutto, di quelle ore trascorse a ricoprirci i tratti del viso, a rivedere i capelli lasciati liberi dagli inganni che fuorviano le ipotesi sull'età, a rimettere insieme i pezzi sparsi nel tempo in cui non ci siamo raccontate. A raccontarci a voce, tutto quello che si cela agli occhi estranei nel silenzio delle rughe.
E poi ho preso la tua storia nei disegni, dal tuo gorgheggio accennato, sui viali che conducono dalle mura di tramontana al porto. Sempre mare. A nord, a sud. E anche dentro.
Sempre tu, anche oggi. Anche diversa.

E m'incanto a vedere che niente è cambiato, benché sia tutto diverso... e tutto cambiato.
Siamo io e te, come se ci fossimo lasciate ieri, ed allo stesso tempo non ci conosciamo più. Chiediamo permesso, entriamo con delicatezza, per i primi momenti, appigliandoci a qualche ricordo comune, per vedere se sonno gli stessi; poi scaliamo le distanze con avidità, e con la sicurezza di una vecchia confidenza, della fiducia accordatami dalla gatta. E tra una lirica e un infuso di zenzero e limone, che odora di fresco, si apre un nuovo orizzonte.

Non dico che ci andremo per mano, perché non siamo mai state di quelle che si tengono la mano come i fidanzatini; loro fanno tenerezza, a noi forse sembrava di essere fragili (o solo un po' assurde); più pratiche, ci tenevamo con altri fili, una con l'altra.

Gli stessi, ma intrecciati ai mille che stanno nella rete fra ieri e oggi, ora, più che ritendersi tendono a rendersi un po' più visibili, che nel tempo passato senza scorgerci.
In questo tempo accaduto per tempo, con i tempi giusti, e fuori dal tempo.

... Inizio.

giovedì, aprile 23

Buon compleanno


C'era un tempo in cui tutto era piccolo e semplice. C'era poco spazio per muoversi magari, ma nessun bisogno di andare, né di lottare nella tua armatura brillante di guerriero.
Tutto ciò che occorreva in quel luogo perfetto "che si conosce solo per il suono di un fiumicello", giungeva da qualcuno che ti ha amato sopra ogni cosa, e ti ha voluto da sé, in sé, con sé.
Due si sono fatti uno. Uno che è stato capace di diventare qualcosa di più delle due metà che fanno un intero.

Uno, che come ogni uomo ha esperito la solitudine dei primi passi, acclamati, che segnano il distacco fisico dall'origine.
La solitudine delle prime affermazioni personali, che segnano il distacco psicologico.
Il volere fermamente che spinge ad un altro distacco, per creare il proprio mondo, in cui poi sei talvolta il demiurgo che si stanca, per il bisogno che ti induce a non lasciarci troppo a la lungo la mano, e a tenere tutto sulle spalle.

Guida e insegnante, mi hai condotto non fuori, ma dentro le cose.
Sapendo, come sono fatte.
Se come ogni buona guida, a volte ti sei perso è perché questo è il senso delle cose; o non ci sarebbe nessuna ricerca.

Quello che io sono, è perché ci sei stato e ci sei anche tu. Sei tu, perché la vita eterna è anche questo lasciare le tracce, il bastone, e la responsabilità talvolta, a coloro che apriranno altre vie. Che condurranno forse altri, o semplicemente cammineranno soli.

Il senso d'amore con cui verso qui questo pensiero per te, vuol essere il tributo materno della figlia che è tua sorella. La mano che ti dona almeno la carezza parolaia di poeta sgualcito, che ama ed apprezza il sentiero che hai mostrato e l'affetto incondizionato per cui a volte vorresti togliermi il peso delle cose, anche se sai che non è possibile.

Negli screzi, leggi la mia auto affermazione. Nell'affetto, e nell'armonia, il nostro non essere due, ma uno solo, in uno strano e diverso perpetuarsi della vita. che mai si disgiunge da se stessa.
Grazie.
Grazie, per aver voluto.
Per aver saputo le cose, che hai osato dire e altre volte tacere.
Grazie, per il dono che mi hai fatto e mi fai ogni giorno.

A te, di ogni giorno ti auguro di cogliere il sorriso del mattino, quando ti lanci nel volo orgoglioso dell'aquila; la libertà perfetta del volo libero.
Ti auguro la gioia d'ogni successo, e l'insegnamento di ciascuna sconfitta.
TI auguro il dolore del dover negare, e la gioia di poter dare.
TI auguro d'esser il giusto e il forte; e per questo di avere la forza di prendere quello che ti viene dato. Anche quando non è esattamente come lo faresti tu, perché in fondo alle cose sappiamo, che tutto è giusto e perfetto.
Anche il mio amore, sebbene talvolta sia isterico e scomposto, perché nella ricerca di nuovi linguaggi a volte confondo le parole, e non so più come dire le cose.

ed è con questo amore "imperfetto", che se potesse farlo di nuovo, ti sceglierebbe ancora come padre, che ti auguro un buon compleanno, papà!

martedì, aprile 21

Roma ieri in questi giorni è un semplice interludio.

Passaggio tra una immagine e l'altra, con tanto di sottofondo musicale.

Camminando per via del Corso, di ritorno dalla mostra su Giotto (...e il trecento; più trecento che Giotto, a dire il vero), sorpasso una coppia: non più giovane, sotto qugli impermeabili trasparenti da turisti imprudenti, e mi sorprendo a sentire che cantano, sotto la pioggia grossolana e persistente. Tra goccia e goccia, come Frank Sinatra. Coordinati su un tono basso e caldo, che lascia per terra, nelle pozze, l'umidità, lasciando sula pelle attorno all'orecchio, teso all'indietro per non perderli, un calore che s'intrufola dal canale uditivo fino al cuore.

Incidentalmente, mi colpisce comeun raggio di sole; che spira poco dopo, soffocato da una nuvola. Nell'ombra relativa, l'odore che precede il temporale annuncia che sarà un ritorno bagnato. Non importa, il cuore è al caldo, sotto la giacca e le note, incastrato tra gli ori delle pitture trecentesche, e le musiche di strada; tanto che fatica a farsi attento. Lo richiamo al lavoro, e sottomesso riprende il battito razionale, per portarmi a casa.

Non piove da un giorno intero, e tanto non era veramente pioggia, quella tiepida acquerugiola che imita i frastuoni estivi; non ha né la consistenza di quelli,, né quella lunga e pesante dell'inverno. Non piove, quindi, e l'aria si carica di nuovo di smog. Le nuvole sono gialle, lasciandoci sperare che si tratti di nuvole che portano sabbia, e che non siano riflesso della consistenza atmosferica che gli sta sotto. E in questa incertezza, mentre cerco di trattenere il fiato, passando accanto al Verano dove l'olezzo assomiglia in genere a quello di una sala di dissezione, per caso (o per mero istinto di sopravvivenza) vengo assalita da un'inspirazione; con sorpresa avverto sul fondo e poi sempre più prepotente, l'odore delle robinie e dei tigli, a lato della tangenziale. Forse, come nei più amati intervalli TV, quelli di una volta, con tanti paesaggi, s'avverte anche l'odore dei cipressi umidi.
Della resina e delle piccole pigne.

Piove. Per tutta a notte. Le immagini passate, scontornate dal trasparire fra le gocce.
Il sorriso però non trema, mentre punto la faccia al cielo e l'orecchio al mondo, per sentire un'altra nota di vita.


Buon giorno!

domenica, aprile 19

I lati dello Specchio

La via Eraclitea


Un guscio di tartaruga

taglia la via tra emozione e mente.

Sopra l’acqua, una parte dura;

una parte dura, sotto l’aria.

Ciascuno spazio invaso,

e mi ci perdo, senza poter entrare.


Come evaso prigioniero.


Prendo una pausa per trovarmi,

e m’accorgo che altri son perduti;

la luna di giorno e il sole di notte

non danno abbastanza luce,

così davanti al fuoco torna il mago

con una metà in ciascun degli occhi.


Si guarda intero tra gli occhi di cielo.


Come in un cielo l’azzurro

non ha colore,

se smetti di sovrapporre veli:

non c’è dentro niente.

Come un cielo, entro l’azzurro

senza veli, è tutto l’universo.


L’immagine è vera, ma anche immaginata.


Occhi come un cristallo impregnato

dell’esistenza della terra.

Cristallo che è diamante,

diamante che è carbonio.

Il carbonio è la grafite

che rende vere le mie storie.

Le particelle delle storie

si muovono e s’intrecciano

sempre a metà fra bugia e vero.

Lasciano una vibrazione che sussiste,

non particella e non vuoto,

fra di esse.


Alla fine è il vuoto, la parte predominante nella natura.


Il guscio di tartaruga

contiene in sé infinite strade

tra sopra e sotto.

mercoledì, aprile 15

Ritorno



Scosta il velo
che gli teneva dentro il cuore,
il marinaio, sulla rotta di casa.
L’Intravede e si prova a contare
quanti battiti, quanti colpi di remo,
restan da incidere
sul mare in tempesta.

Non bastan mille
Non bastan due vele.

Culla anelata,
la casa l’attende,
ed asconde alle mani il segreto di sé;
avvolge il sordo,
l’amante di letto,
ciascun che parte, per ivi tornare
perché non laceri ogni esperienza
la nostalgia del suolo natio.

Gratta, il suo faro,
la notte e le rocce.

Entrato al porto
Il piede tentenna,
lasciar la patria ondeggiante sull’onde,
e toccar quella che più non conosci:
troppa, l’attesa, e non par di tornare!
Quasi t’invoca, alle spalle, il tuo mare.
Come sospeso, è l’istante
che dura mille altri viaggi,
ed Innumere vele.

Incontri il suolo
Conosci la terra.

E l’uno sceglie:
e volte le spalle
al verde suolo, s’imbarca di nuovo.
Spinto dal vento,
ramazza i suoi ponti,
rivela il viaggio e fa patria sul mare.
Con sole e luna a tenergli la rotta.

Altro è rimasto.
E riposa accanto al fuoco.

sabato, aprile 11

Don Camillo e Peppone (viva il TG)

Don Camillo: Hai di nuovo messo avanti il tuo sporco orologio?!
Peppone
: Non vorrete mica che si resti in ritardo sulla reazione?
Don Camillo
: La torre segna l'ora solare, il sole non fa politica: il tuo orologio va avanti.
Peppone
: È l'orologio del popolo, se è in ritardo sul popolo tanto peggio per il sole e tutto il suo sistema!
Don Camillo
: Poh, Signore difendetemi, la Terra non gli basta più, vogliono rifare l'Universo. [Ma finito il colloquio si precipita a portare avanti le lancette della torre campanaria]


Don Camillo e Peppone

Una volta c'erano delle certezze; si era certi che la casa fosse un buon investimento per esempio. I fatti smentiscono.
Eravamo certi che sposarsi significasse "per sempre", ma poi è arrivato il divorzio; e i fatti ci hanno smentito ancora.
Eravamo certi che anche i mobili e gli elettrodomestici fossero fatti per durare: la lavatrice di mia nonna per esempio ha vissuto 30 anni; ora invece costa più ripararli, che sostituirli. Anzi costa più chiamare il tecnico, che cambiare una lavastoviglie.
Eravamo certi, tanto per esplorare un luogo comune, che esistessero le mezze stagioni, e diciamocelo, anche quelle intere. Nel 2008, dopo tanto tempo, c'è stato l'autunno: la popolazione, scioccata da tale imprevisto evento, si lamentava che il periodo fosse tanto piovoso... come però ricordo che succedeva una volta. D'inverno, quando ha fatto freddo come di dovere infilando a malincuore la sciarpa sulle braghe di lino e sospettando che l'estate debba durare per sempre, la gente si è lamentata anche di questo. E così via.
Quando abbiamo visto comparire i primi segnali colorati di primavera, abbiamo guardato il calendario, ormai convinti che la fioritura iniziasse a gennaio.
Riposti i cappotti e tirate fuori quelle cosine da mezzo tempo, gli strati di cotone sostituiscono quelli di lana, i sandali appaiono in vetrina... Ma un senso di tremore si è impossessato di noi (e per oggi non parliamo di terremoto, o quasi):

una volta eravamo certi di poter reimpostare l'orologio con l'ora di inizio del telegiornale. O con quel magico orologino che compariva prima o dopo, perché il TG durava trenta minuti, o forse qualcosa di meno. Molte famiglie sedevano a tavola al calcio d'inizio, e al dolce il TG era finito spegnevi la TV, i ragazzi andavano a giocare, e i grandi cominciavano commenti e risate, condite con il caffè.
Ma qualcosa è cambiato... Da qualche tempo la concorrenza tra le reti ha scatenato un fenomeno analogo alla lotta degli orologi del film "il ritorno di Don Camillo", nel quale si arrivava piano piano a perdere la contemporaneità fra l'ora indicata sulla chiesa e sulla casa del popolo, per il buffo (così sembrava) dissidio fra i due meravigliosi personaggi di Guareschi.

Non so su quale canale sia iniziata la faccenda, ma so che un giorno ho acceso la TV, alle 20.00, e il TG era già iniziato. Pensando ad un errore ho subito rimesso a posto l'orologio del VCR e la sveglia in camera. Qualche giorno dopo la cosa si è verificata nuovamente, sintonizzandomi su un'altra rete nazionale. Sistemo di nuovo gli orologi, ivi compreso quello del cellulare, senza recepire ancora niente di anormale, finché non ho iniziato ad osservare che miracolosamente uscivo di casa alle sette e dieci, e arrivavo al lavoro alle sette...
(l'esagerazione è dovere di cronaca... a tema con i giornalisti...)

Iniziando a prestare un po' di attenzione si osservava nell'ordine:
prima un leggero sfasamento... un TG inizia qualche secondo prima delle otto (pm), l'altro trenta secondo prima.
Dopo un po' di tempo l'evento è palese: inizio ore 19.59.
Ma è una gara, per accaparrarsi l'audience suppongo, ed esiste evidentemente l'Handicap per qualche rete locale, che ancora distrattamente inizia alle 20.
L'ora di inizio è ormai affermata alle 19.58, e canalecinque si affretta anche nella pubblicità, quando, a sorpresa, interviene La7: ore 19.57.
Imbattibile? non proprio. Tentando di riprendersi il primato ci riprovano anche le altre reti. Rai1 e canale5 in serata tentano disperatamente di iniziare alla stessa ora, mentre le massaie italiane cercano invano di aggiustare l'inizio delle pratiche culinarie per coordinarsi: non si può arrivare a tavola a TG iniziato, si perdono un sacco di notizie nelle prime organizzazioni...!
Gli outsider, Rete4 e Rai2, risolvono il problema diversamente: il TG4 ormai inizia alle 18.50 (ma credo che stia anticipando), e solo Rai2 resta collocata come un faro alle 20.30; per accattivarsi qualche simpatia in più divide il TG in due parti, ma è un'altra storia.

La nostra, invece, non finisce qui. Complice l'emergenza terremoto, e la fretta di informare il popolo italiano scioccato e morboso come sempre, ieri sera ecco il colpo di scena: La7 dichiara l'inizio alle 19.56.
Credo che vincerà, a meno che non si facciano coincidere i TG con le anticipazioni (che ovviamente una volta erano trasmesse "dieci minuti alle 20", ora non si sa più. A volte le fanno direttamente ad ora di pranzo).

Tralasciamo il fatto che la durata del tg sorpassa anche il tempo del caffè, e quindi qualcuno comincia a mangiare durante il tg3 (che però dura un po' meno ed è alle 19.00, credo in concorrenza col tg4); i più bisognosi di abitudini e sicurezza seguono il tg2 (30 minuti, a meno che non ci sia la partita, allora si accorgono di non avere molto da dire).
E così ora, a seconda del Tg che si guarda, non si sa più di che orientamento politico siamo, ma nascono nuove categorie psicologiche, su cui si potrebbe creare una sorta di oroscopo.

I più saggi, comunque, spengono la TV, e mangiano raccontandosi di sé e riscoprendo la dimensione familiare; oppure masticano felici, in silenzio.


Emergenza Terremoto.

Emergenza Terremoto.

Il presidente della Regione Abruzzo Gianni Chiodi chiede che vengano sospese le donazioni di sangue. Invece servono coperte, vestiti, pannolini, latte in polvere, casse d'acqua e tutti i beni di prima necessità.Verranno raccolti da "Fare ambiente", Roma, in Via Nazionale, 243,tel. 06 48029924.Mentre sul sito http://www.modavi.it tutte le istruzioni per far parte delle squadre di soccorso in Abruzzo. AGGIORNATE IL VS STATO.


EMERGENZA TERREMOTO: NUMERI E LINK (DIFFONDETE IL PIU' POSSIBILE)


Per offrire disponibilità di alloggio: l’UDU sta cercando posti letto telefonare allo 06.43411763 o scrivere a organizzazione@udu.it

Per volontari da tutta Italia: telefonare alla protezione civile nazionale 06.68201

Per volontari da Pescara: telefonare al Centro operativo della Protezione Civile presso la Prefettura di Pescara 085.2057627

Per fare donazioni: Raccolta fondi Croce Rossa Italiana:
Conto corrente bancario C/C n. 218020 presso BNL - roma, intestato a CRI, codice Iban IT66 - C010 0503 3820 0000 0218020, causale: pro terremoto Abruzzo;
Conto corrente postale n. 300004 intestato a CRI causale: pro terremoto Abruzzo;
Versamenti on line sul sito: http://www.cri.it/donazioni.html

Per enti locali e associazioni di volontariato, comitati, gruppi organizzati: è possibile attivarsi da subito con i corpi locali di protezione civile, con la associazioni prendendo contatti con i coordinamenti regionali, c’è bisogno di medici, tende, coperte, cibo e supporto logistico. Per informarsi: Dipartimento della Protezione Civile 06.68201.

lunedì, aprile 6

Il respiro della terra (2)

Litigo col mio sorriso da scampato pericolo,
e lo ricaccio in gola.
Acuto,
spacca i ventricoli il grido di dolore di coloro che restano...

L'inspirazione della terra
è l'ultimo respiro delle vittime.

Il respiro della terra

respiro della terra
Eccoci, noi uomini piccoli piccoli, a preoccuparci di problemi relativi, a correre a ripararci dalla pioggia per non sciupare una messa in piega (va bene che costa come un'automobile...), a filare desideri come se fossero maglioni in un inverno gelido, che non finiscono mai, e non scaldano neppure abbastanza.
Quindi eccoci.
In salita verso qualcosa, in volo tra un momento e il successivo, discesi verso le falde delle storie, quando ne siamo stanchi.

Poi una notte di mattina presto, gli occhi tremano e si spalancano sussultando assieme alla terra; che si scuote, si da un'aggiustata scrollandosi la polvere di dosso come all'uscita d'un tunnel che nessuno percorre da tempo; per noi pieno di ragnatele e terra, e che qui immaginiamo per gioco denso di polvere di stella.

Il terremoto è avvincente e crudele; magico e terrificante; ed oggi aveva una trama lunga e rotonda, che sembrava dilatarsi e sformarsi come un tessuto elastico, in tutte le direzioni. Mi ha disfatto dalle gambe la coperta, mentre mi accertavo che la scossa finisse, quasi prima dentro che fuori, appoggiata allo stipite della soglia di casa.
Chissà perché poi, me ne sono rimasta là a sentire il tremore salire dalle fondamenta fin su nelle gambe, i capelli sparsi in aria come esiti di un fortunale; avrei fatto prima (in caso di successivo pericolo) e meglio se fossi scesa in strada, dato che sto al primo piano. Ma gli uomini fanno così a volte, e tutto sommato, come sempre, mi aspettavo che finisse bene.

Un minuto? non so.
Il movimento, ombreggiato di rancore sotterraneo, o forse solo di necessità profonda, ha lasciato nell'aria un'eco trascurabile a livello sonoro; un po' meno nelle viscere, che sono restate ad attendere una contro spinta che le rinsaldasse al loro posto.

Rosso Stromboli
Su Stromboli avevo avvisato nelle membra una cosa simile; 'ritta di fronte ad un mare caldo di tramonto, sull'orlo del vulcano, il rombo cupo raccontava, come un vecchio roco e saggio, la potenza della terra. Ne manifestava la potenza; attanagliava le sensazioni; le stringeva in un unico morso di ghiaccio e polvere, per restituirle come una compatta immondizia che aspetti solo si decomponga.

I fenomeni naturali, fate caso, producono un silenzio diverso...
dove un pensiero piccolo e malfermo si è affannato alla ricerca d'un punto di meditazione finale.

E dopo, orfana di un'ancora precedente o postuma che fosse, nell'aria gonfia e senza luce della notte del primissimo mattino, mi sono chiesta: cosa sarebbe valso la pena portarsi appresso?

domenica, aprile 5

Libero arbitrio

Il tema è di quelli spinosi, e la riflessione breve e personale.
Scandita sul dorso degli ultimi giorni della scuola di magia.

primo giorno
Nel bailamme della mia testa ronza con insistenza uno di quei sospiri di pensiero, che sei certo avere una forma e faticano a dettagliarsi... qualcuno sostiene che liberi non lo siamo mai...
Dal pensiero no di certo. O almeno, non ancora.
Osservo, e aspetto; arrivo in stato confusionale e silente, grattando, nelle pause, la parete della mente per trarre fuori un suono. La voce che cerca di farsi sentire è intonacata tra i soliti convenevoli, e la pittura mal riuscita della prima giornata; densa di nuvole, con stracci di sole che inchiodano le papere sul lago...
In classe, intanto, ascolto corpi e metto in discussione le mie principiantesche capacità magiche, sentendomi molto Ronald Weasley. Bacchetta spezzata, e memoria labile, nonostante l'odore dei tigli innalzi un brandello di cuore sopra la strada.
Trascorre.

secondo giorno
Il mio collega questi giorni viene per conto suo, così mi arrendo soddisfatta al silenzio della strada, nelle mattine ancora fresche di nebbia, scatto la solita foto, penetro nei recessi del lago, e lascio che la mia voce si incagli tra alghe invisibili.
Trapela, nell'esultanza soddisfatta dei successi, che rendono un velo di fiducia a mani che sembrano carta vetrata; gli insuccessi, in numero maggiore, mi trascinano legata per un piede fino sull'orlo di un baratro in cui mi lascio scivolare lucida come su nessun altra cosa. E la caduta mi è ammortizzata, con sorpresa, da un cuscino di diverse sensazioni, che paiono avere la doppia funzione di fondo e di ancora di salvezza. Come una corrente che prima o poi sei certo ti riporterà a riva, o nel qual caso, in alto, mi ci appoggio.
Le credevo lasciate nei cassetti dal mio coraggio sovversivo, che talora si ribella al palcoscenico, e si cela nelle pieghe dei sipari.
Invece, nel tempo in cui le rondini invitano frusciando a far pulizia, e lo scirocco ha soffiato portando sabbia che sapeva di mare e pini e onde fragorose, le prendo e ne trattengo i colori scuri sul quadro del cuore; un affresco rapido di competitività, sfiducia, inettitudine, desiderio. Desiderio che si concretizza nel 'voler far bene' ma, celando l'aspettativa, crea una tensione incancellabile, e confonde le memorie del corpo che ascolto, con le mie. Così mi offusco.

terzo giorno
E cede la voglia di sospingersi. Il piede rotola senza energia, se non nella fisicità del passo.
Osservo. Ascolto.
Attendo.
E mentre passa un dubbio innanzi all'altro, come un camminare incerto tra quello che mi ha portato qui, e ciò che è adesso, rammento con conforto desolante: è stato frutto della mia scelta.
Proseguo, calma. Lasciandomi la facoltà di errare.

quarto giorno
La bellezza intrinseca nell'essere uomini è la libertà di scegliere, ogni istante; a dispetto di tutto ciò che è sensato, come nel rispetto dell'etica e della morale.
La difficoltà in genere è che non ci ricordiamo di aver scelto, o non ricordiamo perché...
... però, mi dico, almeno ho scelto. E ho creduto allora che fosse giusto.
Con questa sfera di cristallo, unica fonte predittiva, mi specchio e faccio il punto.

Ascolto, osservo.
Questo, il ritmo che scandisce il passo. Ed il passaggio è breve.
Scelgo. Di mantenere la rotta.

A Lila piace...

libero arbitrio
... i rami spogliati dalla carezza passionale della tramontana;
i gusci dei nidi appollaiati sui rami deserti;
la prima rondine.
La primavera.