martedì, luglio 2

un lunghissimo addio e qualche scusa (a Nino Hawk)

  E' passato moltissimo tempo, amico mio
dalla prima volta che ci siamo trovati faccia a faccia e ci siamo scoperti entrambi due metà di uno. L'intero, come sai, alla fine dovevo essere io, ma solo perché sono quella che è rimasta: senza bisogno di sfidare la morte, ma sfidando la vita ogni giorno, cercandola sulle dita, fra i corpi e le anime che mi si muovono intorno riempiendomi sempre più di loro e loro, riempiendosi sempre un po' di me.
  Non rimani mai, se non puoi cavartela. E per potertela cavare, che tu lo sappia o no, devi essere tutto intero. E perché io fossi intera, tu sei andato in pezzi;  perché io potessi rimanere qui, intera... a metà.
  Tu la mia gloria nei cieli, io il tuo cuore sulla terra. Ricordi?

  Ricordi, lo so. Lo so, perché ora che siamo tornati uno solo, tu quel pezzo di anima che mi doveva lasciare affinché mi fosse reso, so che quando ti parlo parlo con me.
  Ogni mio dolore, ogni solitudine sembra essere la tua assenza, ma è proprio questo: è la mia solitudine quella che affronto. Con cui mi confronto, faccia a faccia, e che se fossi diversa da quella che sono, intera a metà, mi spaccherebbe non in due, ma in mille, pezzi, pur cadendo da un punto meno alto di quello che ti è servito perché l'eco e i frammenti arrivassero fino qui.

 La mia solitudine è quella che affronto quando ricordo il primo viaggio che abbiamo fatto insieme, "il viaggio Nino", come lo chiamasti tu, e quello di mezzo, l'ultimo viaggio fisico per arrivare a lasciarti sul confine dell'ambasciata, prima dell'ultimo abbraccio, e molto, molto distante dalle ultime parole che ci siamo detti, dai sogni sussurrati o forse solo sognati.
  E' di questo che volevo scriverti, anzi, dell'unica cosa che non ci siamo detti.
  Perché non sai, che pensavo che se fossimo caduti dallo scooter saresti rimasto qui; e sono stata attenta attenta, 'ché temevo che ti saresti arrabbiato, se ci fossimo fatti male e tu avessi perso il volo. Ti saresti sicuramente arrabbiato, sottovoce, come parlavi tu, ma probabilmente ti saresti così arrabbiato che ci saremmo spezzati, e so per certo che non saresti ancora qui, e io sarei solo metà.
  Ma ti chiedo scusa, perché non ci ho nemmeno provato.
 
  E ti chiedo scusa perché credevo che la morte fosse romantica. La morte di Ayrton, ricordi? la morte ti lascia spesso perfetto, agli occhi di chi resta. E quando ti sei detto tutto, anche quest'ultima piccolezza, ti lascia vuoto e immerso in tutto quello che di bello riesci a ricordare, ma anche a trovare altrove, purché ti rammenti tutta a bellezza di quella perfezione che hai vissuto.
"non c'è niente di romantico, nella morte".
C'è, ma non lo sai, pensavo. E non lo sapevo nemmeno io. E ti chiedo scusa, perchè non ti ho spiegato... che non è solo romantica, è anche dolorosa. Per chi resta naturalmente, finché tiene tutte le cose fuori, anche quelle che devono per forza stare prima dentro e poi uscire, come il dolore e la solitudine.

 E' stato così, lo ammetto. Anche per me, con tutti i corsi che ho fatto, e con tutta la forza che ho messo nelle meditazioni per permetterti di andare. Quaranta giorni. Poi ancora ogni 15 del mese. Poi solo scrivendoti addio sulla tua foto, con quel piccolo mantra akal akal akal.
Preferivo Wahe Guru, ma questo lo sapevi. Così una notte sei tornato in sogno, per riportarmi in volo. Per farmi capire che potevo volare, tenendomi ben stretta, proprio perché tu sei il mio cuore nei cieli, e io la tua gloria sulla terra.
 Sei tornato, non in modo tormentoso come quel fantasma della storia indù, della moglie morta che minacciava il marito e lo ossessionava perchè non si trovasse un'altra donna. Alla fine il maestro gli disse di raccogliere dei sassi, e chiedere la fantasma di contarli; gli disse, il maestro, che se il fantasma avesse risposto significava che era vero, e che non avesse risposto significava che era la mente dell'uomo a crearlo. Il fantasma non seppe rispondere, e non apparve più.
  Sei tornato, come quel fantasma, parto della mia mente, ma per dirmi che andava tutto bene. Per dirmi che finalmente eri libero di volare, anche se ti avevano tenuto tra gli aerei tutto questo tempo; e io ho smesso di meditare, perché il mio cuore ha saputo che tutto è stato fatto.
  E' perfetto, e anche se la mente si ostina a dire no, è giusto. 
 
  Amico mio,
questa mattina ho chiuso la valigia dei ricordi e non è rimasto fuori proprio niente. Nessun dolore incastrato nelle serrature, nessun pezzo di racconto dimenticato nel cassetto, nessuna immagine che non sia quella dello specchio, dentro la mia anima.
 Una immagine che, in fondo agli occhidicielo, ha la sfumatura castana che ho imparato nei tuoi. E nel vestito che indosso come pelle, un po' delle cose che ho imparato da te. E fra i miei capelli, ha quel piccolo vento delle altezze che li rende sempre un po' scarmigliati.
  Ho chiuso la valigia, e l'ho lasciata a terra, perché tutto quello che mi serve, lo porto indosso.
Non metà di uno, ma intera a metà, stringimi bene le cinghie, che ora ricomincio il viaggio.


intera, anche a metà