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domenica, settembre 28

IL VIAGGIO DELLE MERAVIGLIE -part 1 -102 cose da fare nella vita (36-37)


  Il viaggio delle meraviglie (Sicilia 2013), è iniziato così, dietro ai "sassi": quelli di Matera e quelli del cuore. Nascosta bene, sono partita per la Sicilia con una musica malinconica nel cuore, e una chiassosa colonna sonora fuori, per riempire lo spazio fino alla città che mi aveva quasi ossessionato tanto era il suo ricorrere nelle storie degli amici. E sia, mi sono detta, passerò di là. C'è sempre un motivo, per quel che ci accade, e gli eventi che ci accadono li attiriamo noi...ma talvolta solo dopo, o se siamo fortunati durante, ci accorgiamo di quello che possiamo imparare.


  Esco a (lume di) Candela, dal mondo delle autostrade, e mi infilo come un filo di sottotrama nelle strette anse delle deviazioni di campagna, fino a che mi riempio di un senso di esser perduta che non si contorna di ansia e di paure, ma di una allegrezza leggera: come se incedere sia un tornare indietro, cancellando le cose già scritte.





MATERA
  -36: lavorare la prima sera di vacanza per scolpire un nuovo percorso.


  Proprio là, dietro al ristorante che era stata la penultima scelta, s'è fatta l'ultima. Guardando il s'or Fedele in cucina, che spadellava-serviva-prendeva ordinazioni, perdendo i clienti che si stancavano di aspettare troppo a lungo, l'idea m'è sopraggiunta dall'anima mia, (il piccolo cortese suggeritore, sempre pronto a sollevare la valigia a qualcuno in difficoltà): 

"Le serve una mano?", ho sentito dire la voce della mia anima intera-a-metà. 
  Lui, il s'or Fedele, mi guarda come se fossi matta; eppoi, quando mi vede salire per andare a mangiare sulla scala dei "due Sassi" che aggetta sulla piazza dove cerca di soddisfare i pochi clienti seduti a tavolo, mi dice: 
"ma che fai?". 
"Vado a mangiare.. o le serve aiuto?" gli rispondo, io che sono una dei clienti che se ne è andata, e che dopo questo ("e si, dai, dammi una mano!") divento la lavorante di una sera.

  Ecco, il viaggio inizia così.


 












 37- "Vuoi mangiare?" mi chiede ogni tanto, "finiamo quel che abbiamo iniziato"rispondo.
  Il s'or Fedele mi ha "ripagato" con formaggio e vino e frutta, e ancora una cena il giorno dopo, oltre a quel che gli ho lasciato da spazzare da sotto il tavolo del ristorante: tutta la malinconica stanchezza che ancora sembrava starmi sulle spalle.

  Così alleggerita, riprendo il movimento per raggiungerti a Villa San Giovanni, inizialmente senza fretta: io e tutta la mia tecnologia rallentiamo sul brano "I take a letter Maria", quando comprendo che i limiti di velocità sono fatti anche per poter ammirare il paesaggio (e che le piazzole di sosta non sono mai nel posto giusto...per fare una foto).

 38- una sosta non prevista (per un bagno improvvisato)
.... Eppure un punto di sosta lo trovo, e mentre mi fermo per gettarmi nel mare per potermi portar dietro il sale piccante della Calabria, Vecchioni, o forse il cuore mio cantano a Dio, e a te, "guardami, io so amare soltanto come un uomo, guardami, a malapena ti sento e tu sai dove sono". 
  Però sono presente. Sono così presente che lo so benissimo anche io, dove sono.
Epperò... guardami, Dio, che devo essere a Villa entro le 13 e 30, o la rosa di plastica che tengo in macchina appassirà senza essere consegnata. Guardami Dio, ripeto mentre mi lancio sulla Salerno-Reggio Calabria a tutta la velocità consentita dalle curve e dal silenzio che, essendo ormai settembre inoltrato, la precorrono inseguiti dalla radio che canta le mie canzoni preferite, dalla mia voce e dal ricordo di quella volta che cantavamo solo io, mamma e Lo', sulla strada per Granada.

  -39: stavolta sono io che muoio (venire a prenderti, per ri-saperti qua).

  Mentre pigio l'acceleratore sull'ultima uscita, ho di nuovo la sensazione sotto al piede della serpe schiacciata (sopra i Sassi, quelli veri), che m'accresce la baldanza poiché la paura è giunta solo dopo la reazione, e mi risveglia l'attenzione, perché in quel momento ero così distratta da aver dimenticato che i piedi, anche se la testa cerca tra le nuvole l'orizzonte, devono restare sempre saldi a terra.


O, per l'appunto, sull'acceleratore, perché "tutta la storia non vale il tuo bacio di una sera" (R.Vecchioni), e io devo arrivare qui. Ora. 
  Ti trovo grazie ad un papà che, come faceva il mio anni fa, porta il figliolo a fare un giro in moto, nel sole ardente dello stretto di Messina, dove il mare è sempre dentro, e gli uomini chissà, forse per questo, sembrano più liberi.

  Uomini che a Trapani sono marinai di terra fra due mari, qui sono uomini di mare fra due terre. 
Uno strano puzzle, di apparente durezza e diffidenza che si scioglie in una gentilezza comprensiva: forse perché riconoscono nei miei, come li chiamavi tu, "occhi di cielo", quello che ci sta sopra. Infondo, noi lo sappiamo bene, sono la stessa cosa, e qui si toccano.
  Un po' come noi ("io il tuo cuore sulla terra, tu il mio nei cieli"):
  "...and now we standing face to face, isn't this world a crazy place....", ti sussurro, mentre il tempo scompare completamente, come se aver spento il quadrante dell'auto avesse sospeso il conteggio anagrafico, e riportato tutto a quella volta in cui ci siamo incontrati la prima volta. 
  E poi tutto ricorre avanti fino a qui, dove sono io che muoio, e forse è per questo che ricordo tutto così bene. 

  C'è uno spazio sospeso e non ben collocato, mentre volto le spalle alla terra-attaccata-alla-terra, salgo sul traghetto, e vengo rilasciata dal ventre della metallica balena della Tirrenia sull'isola che c'è. 
E qui teatrando Venere che solca la spuma lasciata dalla nave sul mare, raggiungo una nuova interezza dopo l'ennesimo apparente confondersi del dentro e fuori, di me e te, di buio e luce (WaHe GuRu), perché nessuno esiste senza l'altro, 
Rinasco ancora una volta, e inizio un altro viaggio.










lunedì, dicembre 9

A Lila piace...

A Lila  piacciono le cose rotonde, che hanno un tempo:un inizio e una fine. Come la passeggiata che ti riporta a casa (per quello ha sempre con se delle scarpette rosse), camminare appoggiati al vento, senza spostarsi, la pioggia che riporta l'acqua al fiume, il fondo del bicchiere (che fosse mezzo pieno o mezzo vuoto).accendere una candela, spegnerla, accenderla di nuovo.

E le

piacciono le cose rotonde senza fine e senza inizio, come gli anelli, gli occhi, il sole e la luna.

E quelle tonde senza inizio ne' fine, come il cielo pieno di stelle, e l'amore.

martedì, settembre 3

-35 riprendere il viaggio... (102 cose da fare nella vita)

Ho lasciato molte parole appuntate sul calendario tra novembre e qui.
Parole che raccontano fatti, fatte per restare lì, perchè sebbene abbia scritto qualcosa, quello che è scappato tra le date e si è versato su queste pagine, fuori dal cuore, era il racconto di cose fuori dal tempo:  non potevano restare dentro a niente; e le ho riversate e girate per ogni verso, perchè non gli deve restare dentro niente.
Così, dopo aver "saltato nel vuoto senza il vuoto dentro", inizio a riscrivermi da uno spazio senza confine, che inizia con un viaggio, e un viaggio che invece di finire come sempre battendo i tacchi delle scarpe rosse, inizia così: "non c'è nessun posto come casa mia".
La casa però, è dove sta il cuore, dicono.




Così qualche ricordo potrebbe riemergere tra qualche tempo, sul "viaggio della dimenticanza", compiuto con l'amica che piange suo marito, come amica che piangeva il suo amico, ma "compiuto" in Marocco: autenticamente finito là. Un viaggio di carta, nato dal biglietto rimborsato per la nuova Zelanda, e vissuto come se le foto si riproducessero ancora sulla carta fotografica, si è concluso parcheggiando in garage, al ritorno da Fiumicino.
Pertanto può aspettare altri momenti, se mai volesse essere raccontato, anzichè restare riposto nei sottoscala cromatici delle fotografie; quelle, che finiscono con l'essere il miglior ripostiglio per i fatti, restano a segnare le mete percorse, mappa della ricerca di nuove geometrie in cui, specchiandomici, ridisegnavo il paesaggio, e il "passaggio ponte". 
Economico e un po' scomodo, ma ligio al criterio dell' "avventura", sui traghetti" il passaggio ponte è per lo più richiesto per risparmiare, e infatti sul prossimo traghetto, sarà il punto da cui saluterò la mia ultima meta fisica (la Sicilia). Con la metà non fisica però, mi sono accorta ora che questo stretto calle, che connette dentro e fuori, s'era a dir poco interrotto: paradossalmente, invece che dentro me a sbatter la testa in un labirinto egoista, sono rimasta chiusa fuori: sull'estremo in bilico, aggrappata ad un confine che si sbriciolava, Lila percossa dal vento, impigliata al suo ottimismo, è stata la linea di demarcazione tra sée il resto, ma quasi in un altro mondo. A volte, pensava, in un'altra sé. Ma questa è una storia che sarà raccontata altrimenti.

Se invece fossi stata davvero su una nave, in questi mesi, mi sarei sentita nella stiva, o forse naufraga, tanto l'effetto era uguale: la soffocante ristrettezza di alternativa; aspetta e cerca di respirare, (ripeteva quell'ancora di me stessa),  o muori.
Ho respirato. Ho aspettato.
E sono viva. Di nuovo, fino a quel fondo che è "abisso e cielo", perchè l'abisso più grande in cui perdersi è quel cielo di stelle che si intravede tra i pini, e che quando sei in riva al mare a faccia in su, di notte, ti sostiene parimenti alla schiuma di mare di quell'acqua che dietro al solco che lasci "che ritorna eguale"(cfr. Paradiso, Canto I).


Di questo tempo senza me, o meglio, in cui c'era tanta me, tutta dipinta di emozioni confuse, piuttosto un quadro impressionista che una foto, sono le fotografie che mi insegnano, sgranando il reticolo di rughe sottili e fitte, la mappa di tutto il mio andare, per ritrovarmi qui.
Fotografie e parole, che adesso, asciugate dal sole, sono riportate dentro dalla risacca, e si gonfiano, si arrotolano, prendendosi un posto nuovo in questo riprendere la vita... e un viaggio.

C'è già nessuna valigia in cui riportare le cose, e, comke ho detto, prima di avviarmi ho battuto i tacchi delle mie scarpe da viaggio già una volta, perchè il ritorno possa essere più celere.
Spero si ricordino la strada, 'ché non erano servite a rientrare dalla magrebina terra, dato che, per certi versi, non ero mai andata via.

Il bagaglio di questa nuova partenza sono i mobili che hanno cambiato posto, un nuovo ordine per i libri, gli angoli puliti e la dispensa piena dell'aria che, dalle finestre aperte lascia entrare l'ultima estate. Lascia uscire quella che spero essere l'ultima attesa di me. 
E dato che non ci trova altrove, quindi da adesso in poi cercherò di tenermi tutta insieme, il cerchio e il centro, come ditrebbe un altro Pellegrino
E con questo mancato bisogno di andare, a piedi nudi incontro i passi che mi allontanano dalla soglia, e riprendo il conto:
35- riprendere il viaggio con la piena coscienza, e la borsa vuota




  


giovedì, marzo 22

Rileggo tra le righe, perché le cose cambiano, e accade che non ricordi più chi sei, come sei arrivato qui, chi cammina con te. Non ricordi per quale motivo siete partiti insieme, e come e quando le strade si sono separate. Non ricordi, se le strade sono davvero diverse, o solo qualche muretto burlone si è costruito nel mezzo di una stanza, che credevi finalmente di poter abitare, invece ne hai fatto un luogo doppio. Per chi c'è, e chi non c'è, e hai dimenticato la porta nel mezzo. Così non puoi essere certo, che ci siano altri dove vivi.
L'eco del silenzio, cercato creato incastrato nello spazio fra l'emozione e la testa è cupo e penetrante, talvolta. Talaltra ti dici che è solo un alzata di sipario, e presto inizierà la musica. Nel frattempo stai lì a contare i secondi, sul filo meditabondo che ti cuce la vita addosso.

Non un respiro di troppo, non un respiro troppo corto, per non rischiare che mi vada tutto troppo stretto. Alzo le braccia come per prepararmi ad un tuffo; sarà perché l'aria adesso inizia a sapere di mare, sotto i pini di marzo. Sarà che il vento si insinua nelle narici, memoria di salsedine.
Alzo le braccia, per prepararmi al tuffo. E nel silenzio che sovrasta la preparazione, che schianta il pensiero e si dirama dalle viscere confusa tra un senso di libertà e un senso di solitudine, lascio andare la volontà di lanciarmi, e attendo l'onda che mi porti.

Abbiamo sempre quello che chiediamo.

domenica, ottobre 30

Un taglio netto

Lila si guarda allo specchio. Nel momento in cui ha varcato la soglia, e l'uomo che s'è trovata dinanzi le ha sorriso incoraggiante, avrebbe voluto voltare le spalle, andarsene dopo avergli detto: "lasciamo tutto così com'è; a volte, in certe ore, in certi giorni interi come la luna piena, non mi piaccio, ma tutto sommato se mi attardo oltre la superficie, mi riconosco e mi tranquillizzo; e poi ci sono molte volte, in cui mi si mostrano i due lati insieme e i mei occhi sono dello stesso colore".

E' un momento.
Poi si siede, e l'uomo che le appoggia sulle spalle ancora una volta quel mantello nero come il dolore, che sembrava scivolato via tutto stamane nella doccia, pur attardandosi un poco nel formare una veloce spirale, prima di dileguarsi nella condotta dell'acqua.
Lei vorrebbe dire: "tagliami i ricordi. 
Spunta la mia aggressività, alleggerisci la paura che mi attanaglia e mi blocca l'anca impedendomi di andare, l'impazienza che mi fa perdere fiducia nella Vita, nonstante i segni.
Vorrei colorare appena di più la voce, perché scivoli con dolcezza oltre l'orlo della bocca, dettagliando e cambiando le cose, senza ferirmi l'anima. Vorrei arricciarmi la conoscenza, acconciando le parole per renderle comprensibili e lievi, anche quando sussurrano un addio pesante e gravido di novità, come la morte. Tuttavia," e questo lui non l'ha capito, "lascia stare le bianche e rare intuizioni di cui mi sono già appropriata, anche se si stanno intensificando; lascia allungare la parte superiore che ha da sempre una forma definita e morbida, e quella piccola sicurezza che si abboccola dietro all'orecchio, ricadendo avanti ogni volta che mi perdo. Quasi che fosse un gancio a cui restare aggrappati, che qualcuno ha messo lì, perchè non viaggiassi tropppo a lungo sulla via smarrita. Perchè il suono del suo muoversi, è un sussurro di vento che mi suggerisce verità incerdibili".

Lila si sofferma sulla percezione dell'umidità e dell'inevitabile forma della sua testa, mentre l'uomo cui vuole affidare le sue idee, valuta le simmetrie, soppesa le emozioni dei recessi più vecchi, inanella le situazioni per osservarle da vicino ancora una volta. Si guardano, attraverso lo specchio.
E lei vorrebbe dirgli: " Lasciami solo gli amici veri, quelli che ti si appoggiano sulla spalla quando hanno bisogno, e che non hai bisogno di chiedergli di starti vicino quando hai freddo, perchè ti coprono sempre di attenzioni".
Oppure:"Lasciami la passione e l'amore che a volte mi copre gli occhi, perchè si ama da dentro, e quel che vedi, spesso è solo un dettaglio insufficente se non ascolti con attenzione quel che ciascun senso suggerisce".

Lila si tende, raddrizzandosi, nell'attimo di silenzio che precede la decisione; quel "centimetro cubo di opportunità" si dilata con una parvenza infinita, che le rende la consapevolezza che i ricordi resteranno come immagini da sfogliare, e ricresceranno perché non hanno mai fine, non importa quanto corti provi a farli, alleggerendoli dell'emozione che avevano allora, alla luce un po' fredda ma piena in cui si sta guardando.

Guarda l'uomo con le forbici in mano, e mentre cade la prima ciocca, gli dice decisa,: "lasciami essere ogni giorno, esattamente così come sono".



"Come scusa?!"
"Dicevo, magari lasciamo la frangia lunga davanti, e diamo una spuntatina dietro, come le altre volte".

martedì, settembre 27

... a Lila piace: qui e ora.

A Lila piace... quando nascono i ricordi.
Ricordarsi di sognare le ali, per lasciarli.
Lasciare la valigia pronta, nel caso che volesse tornare.
E tornare a mani vuote, perchè qualcosa di nuovo possa accadere.

mercoledì, settembre 14

Che bella estate, amore mio..

 E' una estate strana.
Ho sfinito le matite per provare a rendermela tutta colorata. Sono uscite parole e chiaroscuri dell'anima e della vita, mentre cerco allo specchio quella vecchia ragazza, che sapeva ridere e non prendeva mai le cose troppo sul serio, perchè si sa, la vita è un affare così importante che se ne fai una cosa seria, rischia di diventare triste.

E' stata una strana estate, non tanto per il tempo metereologico che ci ha graziato ogni fine settimana permettendomi un'abbronzatura da reato, su lunghe distese sabbiose. Ancora adesso sento un profumo di salsedine tra le dita, dita che finiscono nello smalto colorato che mi propone un nuovo confine, un limite che non ostacola ma apre altre prospettive. Dita che finiscono nel temperamatite, perché se non c'è nessun'altro viaggio di esplorazione da raccontare, nessuna foto di posti fino ad ora sconosciuti, c'è ancora da tratteggiare le dimensioni di volti che si sono introdotti nei vecchi panorami, e parole sussurrate al vento che sono tornate intrecciandosi ai capelli e regalandomi allo specchio un sorriso più aperto., una prospettiva angolata con un fuoco fuori campo. Quello non ancora acceso, ma che già scalda, come se fosse una brace che si prepara prima che la fiamma sia esplosa e consumata.

Questa estate mi sono finite le parole. Le ho dette davvero tutte, ed ora le ricerco con attenzione, per provare a raccontare di un volto che conosco più giovane. Sempre più vicino a quella ragazza di una volta, che è tropppo giovane per i vecchi schemi, che ne ha memoria senza averne più voglia. Che li sa per averli percorsi, ma che fa del mutamento la sua nuova legge, che cancella ogni regola preordinata.

L'aria piena di promesse fatte dalla mente, s'è scontrata con quelle del cuore, che correvano a fianco della tigre mutata in gattino, senza raggiungerla mai. Senza mai far indietreggiare quella satira di sé, nemmeno quando, salito sul ramo più in alto alla ricerca d'una vecchia storia d'amore, ha scoperto che il ramo è finito, e c'era rimasto solo il vecchio, ma dell'amore nessuna traccia.
Non c'era altra scelta, perchè "voltarsi è già un po' tornare, già nostalgia", e il gattino s'è buttato.
Forte delle sue nove vite di felino, Lila se n'è giocata un'altra, sperando che questa possa essere la volta buona. E per una buona volta, pare che le vibrisse siano più lunghe e precettive e le orecchie più grandi e accoglienti per suoni inesplorati.
Le pare d'assomigliarsi di più, mentre s'avvia su un sentiero che sembra privo di tracce.




Lila ha trovato nuove amicizie. L'uomo di latta, lo spaventapasseri e perfino il leone che, nel modo in cui fanno gli amici, le specchiano le strisce e gli occhi, e fra questi a lei sembra scorgere un cervello inebriato di fresco, un cuore rosso begonia, e un coraggio con una criniera così grande, che non saprà mai se potrà usarlo tutto. Nel suo mondo di Oz c'è la strega buona del sud, solo che abita in Svizzera, ma nord o sud non contano quando sai che si tratta solo d'un punto di vista; e che il punto di vista è solo un elemento del disegno.

L'altro, è il pensiero.
E il pensiero è un'energia, e l'energia muove quella matita che traccia ora una ruga lunga e profonda che scende dagli occhi verso il naso, sembrando una lacrima intessuta nella pelle. Ora una piega che arriccia le guance, sollevando i lati della bocca. Finchè il sorriso tenue e nascosto, si fa riso.
E risale le stesse pieghe, dalla bocca agli occhi. E dagli occhi al cuore.

Ho sfinito la matita cercandolo.
E poi... era infondo allo specchio.




mercoledì, agosto 17

"... e alla vostra sinistra, si'ori e si'ore, le cucine!"

"La cucina è l'anima della casa", mi dice Luciano, aggrappato al suo bicchiere e spaziando con lo sgurado sull'armata mal assortita di mobili antichi e altri solo vecchi, rabberciati e un po' sgarbati fra loro che circondano il tavolo.
Dopo anni di chiusure ermetiche gli sportelli non serrano più, lasciando intravedere non proprio casualmente quello che c'è dentro. E' come se dei fili legassero le due parti, dentro e fuori, senza tenerle compatte; però la stanza, le pile di piatti, una sofisticata confusione di stili, nell'insieme dava l'impressione di un posto dove si mangiano cose buone. Cose che, per l'appunto, escono dal cuore.
La sua cucina era esattamente come me lo ricordo.
Sul tavolo, nel bicchiere scompagnato di una qualche festa della birra, l'acqua scendendo nel vino ci lasciava dentro un disegno, e solo alla fine si capiva perchè se avesse potuto avrebbe sposato me: sua moglie dipingeva questi intarsi, questi percorsi fra il passato e il ricordo di ciascun pezzo.
L'oggi ero io: ero il ricordo. Ed ero un intarsio incompreso di sua moglie, di quelli che lui le aveva raccontato che esistevano ed ora stava seduto nella sua cucina..  Il futuro, Luciano non l'aveva più. Ma questo, quel giorno non lo sapevamo.

La cucina è il cuore della casa.
Quindi ogni visita si trasforma in un non detto, che racconta molto più della confidenza concessa prendendo un caffè.
C'è una cucina grande, "abitabile" si direbbe in gergo tecnico, il cui centro è completamente vuoto. Tutt'attorno ci senti il calore delle circostanze, dei passanti che si stringono in chiacchere mentre guardano dall'altra parte, come se aspettassero sempre qualcun'altro. E' una stanza dove senti che potresti sederti e guardar passare la vita, quella di qualcun'altro che non è mai arrivato.
Ci abita una donna che vive con suo fratello, e lo accudisce come se lui avesse ancora dieci anni, e lei trenta; non è sposata, e coltiva questi affetti ai margini, facendosene trapunte colorate.

C'è una cucina dove mancano alcuni sportelli, quelli in alto. E lì ci sono promesse di pentole vuote, e intrecci di posate, e cibi con l'aspetto di una idea scappata da uno scaffale di supermercato. Qualcosa di un negozietto etnico, o riportato da un viaggio, s'impone allo sguardo nella confusione, come se potesse in qualche modo far realizzare le intenzioni celate. Celate in basso da sportelli d'acciaio; l'armatura che riflette gelida il tavolo stretto e alto, adossato alla parete di fronte; il cui solo sgabello di legno e metallo si erge a far la guardia ad una tovaglietta dimenticata sotto appunti e giornali.
Ci abita una persona molto sola. Che ha dimenticato cha oltre allo spazio vuoto, quando si aspetta, è bene preparare un posto a sedere perchè qui, sembra non ci si possa fermare. Né ad aspettare che arrivi la vita, né ad inventarsene altre.

Ci sono cucine piccole, quadrate, organizzate, spoglie, ossessive, sfuggenti, robuste, accoglienti, creative.

C'è la cucina della casa dei miei genitori. Ci puoi trovare tutte le spezie di cui hai bisogno, a volte anche due volte; c'è il the nel suo posto nuovo, come se ci fosse da sempre, e il bricco col coperchio che ha visto formulare infusi di calore e affetto, di discorsi e discussioni, di lotte e libertà di pensiero.
C'è sempre un paio di biscotti nella scatola, e un bicchiere pulito, la frutta acciambellata nel cestino.  E' il posto dove il cuore si sente a casa, anche se non è più la casa che hai abitato, ma tanto tu, abiti coloro che ti amano.

E poi, c'è la cucina di casa mia. Quella che non ho comprato ma che ho scelto, e che ho riscelto uguale quando sembrava dovessi traslocare. Avrei cambiato forse uno sportello, quello che lascia vedere un po' troppo dentro, e forse ne avrei messo uno che si apre un po' più verso l'alto; ma sono rimasta qui, ed anche loro.
E' una cucina in cui pensi che tutto possa trovar posto, e in effetti c'è un posto per ciascuno.

E mentre la guardo da fuori, a volte mi pare sia come se s'espandesse; respirando oltre il tavolo, il rosso della poltrona, sul blu del sofà e attraverso la finestra gialla di tende del balcone, l'interno arriva a coincidere con l'esterno.


mercoledì, agosto 10

Il mio mondo di Oz

Ho letto di recente che non c'è bisogno di aspettare un viaggio, o un grande evento, per cambiare le cose. A volte in effetti, bastano delle piccole riconquistate libertà, o la volontà di riprendersi un'anima sgombra, o semplicemente accorgersi di volersi più bene, perchè qualcosa si muova.
In effetti, bisogna essere liberi, perchè il cambiamento avvenga.
Tuttavia non ci si può aspettare che accada con uno "snap", un semplice schiocco delle dita. La magia non è così semplice. Devi aver acquisito il potere di schioccare le dita, o accadono cose strane. Mi viene in tal senso in mente il film di Mary Poppins, quando i bambini mettono in ordine la stanza e il piccolo non riesce nemmeno a schioccare le dita; è in balia degli eventi, fino all'ultimo.

Oppure i libri di Terry Pratchett, quando parla delle sue streghe... che alla fin fine fanno cosa normalissime, ma le fanno in modo magico: standoci completamente dentro. Una delle frasi più belle è che "la cosa più difficile della magia, è non usarla"!
Ebbene, per farlo (non usarla) la devi padroneggiare. E per padroneggiare la magia, che è sostanzialmente l'energia delle cose, si deve conoscere

Dal momento che la conscenza inizia dalle cose semplici, dal minimo sindacale dell'esperibile, Lila ha ri-comincciato a conoscere il suo corpo. Sta indagando i difettucci visivi, cercandone i significati più eleganti e veri.  Così che forse, ad un certo punto, ci vedrà meglio. Più vicino. Più chiaro.

E poi, dato che Lila ha la tendenza ad andare altrove, dopo aver imparato a non fuggire, sta apprendendo a marcare un confine. A stabilire l'inizio e la fine del corpo, in modo che tutti quei movimenti che ci sono dentro, sappiano che le dita sono la fine del fisico.
L'inizio del viaggio, il posto da cui ritornare.
Avviene che, nel mio lavoro, si perda a volte il confine tra sé e la persona con cui si lavora per il recupero dell'armonia. Va bene, finchè non ci si confonde.
Allora ecco che, tracciando con lo smalto colorato le periferie del corpo, avviene che Lila si veda bene i piedi, adesso.

Si veda bene l'inizio e la fine delle mani. Riesca a contare fino a dieci, e poi tornare indietro, dopo che le cose sono andate.

Perchè le cose, tutte, vanno. Vanno i nostri pensieri. I nostri desideri. E "l'energia segue il pensiero", tanto che, direbbe l'amato Pratchett "la gente dovrebbe riflettere, prima di inventare mostri".
Insomma, quando l'altro giorno Lila s'è accorta che le è sfuggito un desiderio, l'ennesiama volta che stava andando via, l'ha visto con chiarezza. Ha vistoa anche che era bello. Buono.
S'è detta che forse, questo saper battere i tacchi è stato un nuovo inizio..per tanto tempo. Ed ora è iniziato.

E ci sarà una casa dove tornare. Un posto vicino dove fermarsi. Ci sarà, stando bene attenti a non rimanere prigionieri, una volta che non dovrà andare via. Anche se avrà sempre una finestra aperta.

domenica, maggio 29

Buon compleanno

Cara Lila
quest'anno ti regalo un viaggio oltre te stessa. Ti impacchetto la solitudine, e la spedisco prima.. in un'altra direzione, così che non vi incontriate. Chiudo i libri e apro la pagina di quello nuovo, quello che ancora è solo un'idea dell'autore, e che si intarsierà di sole e odori lontani, di ebrezze di polvere e lacrime già piante, che fanno crescere i fiori del tuo balcone.

Quest'anno, ti regalo una distesa di sabbia, che non finisce all'orizzonte con tutte quelle domande, che le tue mani chiedono sempre; non finisce nella partenza o nel ritorno. Non finisce perchè è tutto ciò che ti scrolli di dosso, e che ha il sapore del marmo inciso; non del deserto lasciato da coloro che se ne vanno, dalle rinunce per una scelta migliore...o solo per un ideale, dal rimpianto, perchè sai sempre che ciò che hai fatto, era già tutto il possibile.

Quest'anno, ti regalo un non ti scordar di me, a te che ti piaceva tanto quella storia dell'angelo, e avolte gridavi verso il cielo anche tu, forse sperando che ti cambiassero di nome... Poi l'hai fatto, sentendoti sempre più te stessa, perchè Lila non è che un gioco, mentre cerchi il sapore del giorno che prometti...

A volte, quando sei davvero felice, mi sembri quel piccolo fiore; e gli occhi non sono grigio prima della tempesta, non blu lavato di pioggia. Non uno azzuro e uno blu sgranati sulla sorprendente meraviglia... d'essere ancora qui. Nonstante tutto. E per tutto questo.
Sono gli occhi di chi si sveglia un mattino. E scopre d'essere... ancora nato!

lunedì, maggio 23

La gioia piccola d'arrivare secondi

Sono l'ottavo di sette fratelli...... se arrivo tardi che colpa ne ho...
Così cantava un bimbo, tanti anni fa.

Non lo eguaglio, sono seconda di due, e fra l'altro arrivo sempre prima, perché mio fratello ha il ritmo lento del volo planato, io, quello frenetico del colibrì.
Sbatto impazzita, a volte, per uscire dalle gabbiette che mi impongo, ma prima o poi, lui il cane (si fa per dire) e io il gatto, passerò dal buco della serratura e scoprirò magari che non c'era nessun bisogno di affrettarsi ad uscire.

Che se voglio posso avere, eh già, in un secondo tempo, il tutù rosa da danzatrice che non ho mai avuto, anche se adesso potrebbe somigliare più ad un abito da salsa; come seconda, avevo a volte le sue tute usate, quelle di una volta, fatte per durare oltre alle cadute sui ginocchi: Avevo la felicità di imitare mio fratello in tutto: dall'aikido alla scuola superiore, fino a salire sugli alberi (ma chissà come mai, non sapevo seguirlo a scendere).
Ciascuno ha avuto, ed ha, le proprie eccellenze; la mia è quella che "mi sta in cagnesco" perché le sfuggo scherzosa o impaurita, non appena mi s'appressa, fingendo o sperando di tornare nel mondo delle persone normali, che non si preoccupano di quando e dove sia iniziato il mondo, perché credono che ci sia un qualche papà nel cielo, che si occupa di tutte le cose.

Avevo anche io, il mio papà in cielo. Faceva lo steward.
Ed era assai più facile credere che sarebbe tornato sempre a casa, con dei biscotti o le sue storie, piuttosto che aspettarsi una chissà quale mano divina, che avrebbe messo caramelle nelle calze. A bambino Gesù, che portava i regali, ci ho creduto, questo è vero. Tuttavia con l'enorme dubbio etico, del come si procacciasse i giocattoli. Credo sia stato un sollievo, quando mio fratello mi ha rivelato la verità!

Il complesso stato dell'essere seconda, però, è sopravvissuto a tutto questo. Ero la seconda più brava della classe, la seconda a prendere la patente, la seconda scelta quando qualcun'altro faceva le squadre di pallavolo. Così ora ho la passione per le auto di seconda mano, e per quelle prese a nolo. Ma provo ad esorcizzare; la mia auto (di seconda mano) è passata a mio fratello, e dopo che mi ha prestato lo scooter, direi che gli darei volentieri il mio, che non fa rumori sinistri, ed anche destri, anche se essendo più grosso è molto meno maneggevole nel traffico. Acquisto cose che non sono appartenute a nessuno, e possibilmente anche abbastanza originali; cerco l'idea che nessuno ha avuto quando interpreto una qualunque Divina Commedia. Cerco anche di salvare il mondo.
Ma nella speranza che ci sia qualcuno che arrivi prima di me, (tutto, sarebbe troppo) mi limito a provarci con quello attorno.
Come una canna nell'infuriare del vento, come un fuscello nella corrente, sfrutto la forza del suo precipitarsi addosso... e lo assecondo.




P.S. comunque...allla fine, come ogni buon sarto ha i suoi riparatori, mi par di vedere che ci sia Qualcuno che ci mette una pezza!

venerdì, aprile 8

FORSE NON VI PIACERA'...

L'avevo scritto, un post. Appuntato in agenda, almeno; un po' polemico, un poco spaventato, cominciava pressapoco così: " li guardo crescere, e non sono i miei figli. Non crescono in statura,  in età, quello si, ma capita a tutti; però crescono di numero e il canale del parto non è il collo di un utero, ma quello di Sicilia, dove qualcuno resta ad ammirarele stelle marine e i pesci dei fondali, quando le cose vanno male. Capita, anche in tempi moderni. Ma non sono i miei figli; non sono i figli di questa patria un po' assurda e benedetta dal sole e dai panni stesi nei vicoli, e nemmeno lavati in famiglia.
Non li vorrei come figli, almeno non quelli che sputano nei piatti tesi, e vabbene che le condizioni igeniche non sono da grand'hotel, ma mi sa che non stavi meglio a casa tua, o qui non ci venivi. Mia madre m'ha insegnato a non dire che schifo, e... sono vegetariana, ma se sono ospite di qualcuno che non lo sa, mangio anche la carne; perchè m'hanno insegnato che se ti viene offerto qualcosa chi non accetta non merita. E poi quello c'è, se hai fame mangi. La protesta sta meglio a quelli che ti stanno dando comunque quello che gli avanza negli armadi,o in dispensa, per fare spazio dentro casa mentre non ne hanno fuori per passeggiare perchè continui ad arrivare nella loro terra, anche buttato in spiaggia ( o lasciato a mare) da tutti quelli che non ti accettano. Maltesi, francesi, spagnoli ti ributtano a mare. E tu non sei mio figlio, e ti do da mangiare e tu mi bruci le parrocchie (e questo, scusa, mi fa incazzare anche se i preti non li sopporto) e sputi nel piatto.
Questo non mi piace. Questo mi fa uscire la parte brutta del razzismo, quella che ha paura di te, non quella che mi fermo a farlo passare, perchè è di colore (diverso dal mio)  e se non mi fermo io lo mettono sotto. Quello è razzismo (così come cercare di investire gli agenti dell'assicurazione ;-) ), ma almeno è un razzismo utile.
Rispetto e sostengo il desiderio di libertà, ma non pretendere che ti lasci senza lavoro e randagio, senza sapere chi sei. Perchè a me, italiana, se mi prendono senza soldi e documenti rischia pure che mi arrestano per vagabondaggio. A me, italiana e con i documenti, quando sono stata immigrata regolare all'estero, la prima frase in inglese stentato che mi rivolse un collega dopo sei mesi fu: ma tu in Iialia non lo trovavi un lavoro?
 Era un'altra situazione, lo so. Ma il razzismo, il rifiuto, l'ho sentito, e so che ti fa star male; anche se era l'immigrazione dei ricchi la mia,. senza guerra, senza povertà alle spalle. Senza galera, fammelo dire.

Lila non si barrica dietro un falso buonismo, e accetta senza remore chi viene a lavorare, chi resta a ricostruire casa propria dopo uno tsunali (ce lo vedi il giapponese che emigra senza documenti?), chi fugge con la speranza di tornare a casa. Mi fermerò pre te, non per l'avvocato in giacchetta e valigetta..."
Questo avevo scritto. E non finiva, perchè è una storia che non ha conclusione. Che rimane sospesa coi puntini sulle banchine di qualunque paese... o quasi.

...O FORSE SI?

Questo avevo scritto.
Poi stamattina è successo un miracolo. Una donna, non è prorpio una mia paziente, non ancora, abbiamo fatto solo una seduta e l'ho "ereditata" da cinque trattamenti fatti col mio collega con la voce a sussuro, che per trovare il fiato alle parole ha preso tre mesi di aspettativa,
  Ebbene, m'entra in stanza dicendo sa ho un piccolo problema, sono incinta.
Problema?


Lo sa da ieri, e ne parliamo tutto il tempo,perchè Lila ha sempre bisogno d'esperienza... e alla fine, io che non ho figli, e che voi non siete i miei figli e, al massimo,  ho sublimato con i miei allievi tempo fa una maternità che non mi è ancora concessa... alla fine la sento, quella gioia infinita d'essere più d'uno.
Di percepire la VITA che ti scoppia dentro, e che di qualunque razza o paese siamo ti trasporta in uno stato d'estasi. Mi sono commossa, e qualunque parola sarebbe troppo poco, per spiegare come si può sentire qualcosa che non si ha, come fosse proprio. Come sento la tua cicatrice, la tua guerra, la tua fame, il tuo dolore... così il tuo amore. E per una manciata di secondi, io non sono più io, ma io e te.
Di tutte le parole che ho detto, l'unica che mi resta è una parola che non ha lettere.
Che mi commuove e mi rattrista, mi allarga, vi comprende, si scaglia in alto in basso a destra a sinistra avanti dietro, perdendomi i confini in un suono muto e mi riempie fino all'inverosimile.
Poi scompare totalmente.

E poi ho pianto.


martedì, marzo 1

Tutto il tempo è adesso

(la rosa del cuore)

Dove sono la spada e l'armatura?
dove il seme, che caduto a terra giace,
dove il vento, che moveva lo stendardo?
La tempesta ha le sue vittime, poi, tace.

Che destino ha preso il bimbo dalla culla?
Era infante, che correva sul sentiero,
già canuto si domanda tristemente
che sia stato, dell'ultimo pensiero.

Or si guarda, nello specchio che temeva,
sciolta effige gli rimanda, invece, quello;
ed il vecchio trasale e si rallegra
nel vedersi al tempo stesso ancor fanciullo.

Stanno qui la vita, e tutte le venture,
l'esser solo, il maschile e il femminile,
nell'incontro dell'immagine bifronte
si comprende che null'altro è da cercare.

Perso il senso del rincorrere qualcosa,
resta intatto, il secreto della rosa.


Lila

sabato, febbraio 5

Almeno una volta nella vita... (messaggio in una bottiglia)

(continua dai post precedenti)
13- stendere su un filo un sogno chiuso in un cassetto
13- lasciar volare via qualcosa a cui si tiene
14- sedersi a mettere in ordine quello che resta
15- restare sorpresi della felicità d'aver ancora spazio per (fare) qualcosa.


Da adolescente pensavo di voler fare grandi cose.
Pensavo che avrei scritto poesie, poi magari un libro; un giorno avrei comprato LA macchina (quella che scegli, e ti sembra vada bene per sempre), avrei arredato la mia casa, guidato una moto nera... Volevo essere una giornalista della televisione,  scrivere articoli, insegnare, viaggiare.
Non credo d'aver mai voluto seriamente essere ricca, o credo che avrei fatto anche quello. I soldi non sono interessanti, se non nella misura del "quanto basta", e spero che mi bastino sempre.
In tutto questo volere e fare, con calma, al tempo, le cose si compiono, ma ho forse tralasciato un piccolo particolare; è avvenuto lo stesso, in modo parossistico, con le caratteristiche esplosive del vulcano, che prima o poi ti romba sotto ai piedi e tracima fiumi di rosso calore. Quanto più sta zitto a lungo, tanto più selvaggio esplode .Ho dimenticato, e sembra sfuggirmi ancora, l'amore.
L'amore, alla fine, resta.
In ordine, sul filo, nei cassetti, nel vento..., è l'unica cosa che riempie tutto. Anche l'assenza.

Amare è l'unica cosa che resta mi sempre da fare.
La nota che non si cancella dall'agenda.
L'amore è l'unica cosa, che resta sempre da dare.
Anche quando sei a mani vuote.

domenica, dicembre 12

il Terzo polo- giochi di parole

L'Italia, lo sappiamo, è un paese di arbitri e di politici. Quelli che sanno sempre, col senno di poi, quale sarebbe stata la mossa vincente. E' il paese delle due corsie... più quella in mezzo; per intenderci ci sono sempre due corsie, e la terza è quella striscia bianca, in mezzo tra le due, che perchè diavolo l'hanno disegnata se non per indicare chiaramente dove mettersi con la macchina?!

L'Italia è il paese della terza opinione: quella del primo medico che ti visita, quella del secondo medico, e quella del fruttivendolo, che di solito viene accettata come vera... perchè se non lo sa lui che vende la frutta così buona e bella, quando è un osso ad essere bacato, chi lo può sapere? Mica l'ortopedico che insiste che ho una lombosciatalgia, e non una frattura senza essere mai caduto, nemmeno dal letto quando ero piccolo...

L'Italia è il paese del terzo polo. In America ci sono due partiti/schieramenti, in Inghilterra anche, credo che anche i precisi svizzeri ne abbiano due, uno per l'anticipo e uno per il ritardo. In modo che la media li faccia arrivare sempre in orario.
Ma a parte questo, perchè potrei anche sbagliarmi, quello che conta è che abbiamo passato svariati anni ad anelare e forse a costruire due Poli...politici, per accorgerci adesso che non siamo ancora pronti: ci serve la corsia d'emergenza. Ci serve  non quell'aurea mediocritas di cui si faceva un certo parlare di recente, ma l'arbitro a casa: quello che vede il fallo che non c'è, o il colpo di mano che è sfuggito anche al terzo uomo... che sul campo ci sta davvero.
Non è, badate bene, la striscia bianca della mezzeria, o il terzo pilastro dell'Albero...

Io, per me, lo cerco per necessità, perchè di partenza, sono nata doppia. Sono nata per me e per gli altri, a cavallo tra due giorni, di un segno doppio, con l'ascendente a zero gradi Acquario, tanto per avere influenze anche dal Capricorno, quindi per Dharma (destino), se non voglio perdermi mi tocca stare in mezzo.
Su quella striscia bianca... e magari fossi un ago della bilancia, invece ho delle opinioni e delle preferenze, e una volta sono bianche e una volta sono nere, ma mi serve che il pavimento sia a scacchiera, altrimenti le cose, mi pare, si complicano un po' troppo.
E con l'andar del tempo scopro che quando hai fatto una scelta non è che puoi passare repentinamente all'altra, quella che avevi scartato. Hai una scelta nuova, e non è mai la stessa che non hai fatto.

Il pavimento, infatti, è in bianco e nero, e le mattonelle della scacchiera si avvicendano, unite da quel filo su cui sta in bilico il Testimone.
Quello che se ne sta ad osservare non dal terzo polo...politico, ma da quel terzo pilastro che caratterizza l'Albero della Vita, e che convoglia l'energia di destra e sinistra innalzandola sopra se stessa, e non costituendosi come parte a sé.
Ma costituendo un Centro, in sé.
Dove far arrivare la freccia scagliata.

giovedì, dicembre 2

Vivere una favola

Non c'è niente da fare. Gli italiani sono un popolo romantico, o forse romantico è lo spirito della razza umana. Romantico fino alla stupidità, a volte, e quelle volte ci sono dentro anche io. 
Per questo sono state inventate le favole, ed il complesso della crocerossina. Di ciò si soffre, perchè è complesso, non per altro, ed assolutamente sopra le nostre energie: è assurdo (il che non concorda con le Favole che sono realizzabili) credere di poter cambiare qualcuno che non ha intenzione di farlo. 
E' come dargli lo sfratto, solo che non se ne ha nemmeno l'autorità. E quello, per protesta, sale su un terrazzo con tanto di striscione, silenziosamente si siede nella sua posizione, e il "complesso della crocerossina" finge di credere che il silenzio sia una risposta di ascolto che prelude al cambiamento; invece è solo una gandhiana risposta ad una imposizione. Col tempo, si vedrà.

L'altro sogno, credendo d'esser desti, dell'animo romantico è la favola del principe e del povero. Ma lo scambiar di posto avviene tra noi ed una illusione, che è per lo più l'immagine pubblicitaria. Così  ci mettiamo al volante d'una bella macchina, con i capelli lavati da "Lorealperchèiovalgo", e  mischiamo l'odore della nostra pelle, quello che ci rende inconfondibili al partner, alla mamma, ai cani da punta, all'odore che qualcuno ha inventato (che so... "One"), anzi di qualcosaltro ... che non ci appartiene; con due gocce di Chanelnumerocinque (ce l'ho, eh!) che mi fa sentire tanto Marilyn Monroe, immagino d'aver valicato il confine tra il povero e negletto me stesso e quello gonfiato come un muffin di coloro che, avvinti per pari opportunità dallo stesso problema d'identità, hanno però conquistato le prime pagine dei giornali. Da lì sorridono, o diffondono il nuovo argomento di conversazione, spandendo pseudoinformazioni che sembrano piuttosto pettegolezzi, ma che comunque una eco la hanno e rischiano di irritare la libertà. O chi, a livello giuridico, la libertà concede.
La fiaba più antica del mondo, però, è quella di Cenerentola. Con annessite e malattie limitrofe.
Colti da sacro furore ogni volta che un William sposa una Kate, o una Diana un Carlo, o una Sirenetta il prorpio Eric (ma questa è una Favola vera, e quindi... è già un'altra storia), sembra che ci si illuda che si possa trovare un incontro tra due mondi e viverefeliciecontenti, ignorando beatamente che nel mondo irreale su cui gioco oggi, esistono anche le suocere, i datori di lavoro (precario, interinale, a progetto o magari anche a tempoindeterminato), le distanze tra Torbellamonaca e piazza di Spagna, che in termini di traffico possono essere paragonabili anche ad una Roma-NewYork... a nuoto.
Ma soprattutto le suocere.

Il fatto riguarda ovviamente una mia paziente (cfr. il mio complesso dell'infermiera); devo dirlo, il nome della sua malattia è di quelli che mettono paura, niente da invidiare a personaggi famosi che magari ci si tolgono anche la vita a novantacinque anni (ma che senso ha?). 
La povera ragazza, e qui povera ha la prima valenza del vocabolario e non qualche fine compassionevole, ha dimenticato di sposare la suocera. 
E la sorte, da cui nessuno può scappare, l'ha messa a vivere proprio vicino alla impicciona e sovrastante madre del suo futuro marito. Così lei, da tre anni, si porta a spasso un dolore incoercibile perfino alla morfina, tanto per dire.
Quando l'autore della storia (che sia Dio o l'inconscio poco importa) decide che qualcosa non va, direi che forse è il caso di capire se siamo l'eroe che parte, o la principessa che siede ed aspetta; e magari credesse d'essere almeno Rapunzel!

 La favola finisce comunque che "vissero felici e contenti", perchè alla fine ci comportiamo sempre in modo da fare la nostra "felicità"... per quanto assurdo e autolesionista possa sembrare agli altri (cfr. complesso dell'infermiera).
Ma il seme è nelle protesta sul terrazzo, con tanto di striscione o occhialini rotondi per guardarsi bene dentro... Su quello striscione, stamattina leggevo... 

                  « ...Sii il cambiamento che vuoi vedere avvenire nel mondo »

Mahatma Gandhi


domenica, agosto 15

Agosto

Non amo le ferie di agosto, da quando posso scegliere quando farle almeno, perchè prima le amavo in quanto ferie; quando fossero non aveva molta importanza.
Quest'anno comunque stavo lì, a dire "parto", a immaginare la valigia, mettere dentro soprattutto una certa voglia di cambiare le dinamiche della vita... e poi arrivare al mare solito, quello 'così bello che nemmeno ai Caraibi', e disfarla, quella valigia: non parto.





 Mi contento di due ore di Cassia, seguendo pensieri che non si arrestano e che riescono a costruire intorno sconfinate praterie americane, sulla Tuscanese, che pare di vederci anche i bisonti e gli indiani... e laddove c'è il campo con in fondo l'allevameno di struzzi, si potrebbe tranquillamente sostenere di essere già in Australia.

Poi c'è  Londra, nelle foto, nei ricordi, nell'attesa di tornare perchè una metà della parte che non ho saputo lasciare, voleva restare, ed è tornata a casa di malavoglia. Ed è la parte che ci andrà di nuovo, per liberare l'altra, che vuole raggiungere"lontano".

Mi contento, perciò, nell'attesa delle spiagge all'Hawaii, quasi tutti i weekend, che ti senti nel Pacifico, ma sembra di essere in Svizzera perchè metà della popolazione quest'anno ha la pelle chiaara di chi non vede tano sole, e un accento straniero nel caso sappia parlare la lingua indigena. E tra questi, quest'anno ho ri-incontrato mia sorella; quella che avevo perso in un'altra vita, non so più quale, ma so il suo vecchio nome e fatico ad imparare il nuovo. Così abbiamo passato tutto il tempo concesso a raccontarci cosa avevamo fatto nel mezzo tra allora, ed oggi...
  Un viaggio davvero lontano; un po' perchè si parlava in tedesco, e questo fa già molto "estero", poi qualcuno interloquiva in italiano e credevo di essere teletrasportata da distanze sconfinate di nuovo qui, sulla spiaggia bianca dell'Ilio del mio cuore; bruciato tempo fa come Troia.

Attraverso questo incontro, che si faceva necessario come le prime volte che vedi il tuo innamorato, con le mani logore ma un sole luminoso che sorge alle spalle mentre guardo il mare, sto ricostruendo; smonto le corazze della mente e cerco di tirare fuori dalle ceneri quel batuffolo pigolante, che è il mio nuovo cuore pulcino.
Con estremo coraggio, o forse per paura di soffocarvi dentro, ha rotto quasi tutto l'uovo e vuole uscire, ma avendo sognato a lungo, tra una vita e l'altra, stavolta fuori di sé ha già trovato, oltre ai paesaggi incredibili di sole che sorge tra le montagne illuminando cornacchie su un prato, dei baluginii di luce plumbea sulle piramidi di vetro prima della pioggia, del riflesso in alto sullo specchio d'acqua del corpo che nuota essendo solo... movimento... dicevo... ha trovato già non una ma due sorelle, tanto simili che parlo con una confondendola con l'altra, stupendomi che abbia gli occhi scuri.. ieri erano grigioverdi... come quelli della velaia con cui continuiamo a tessere un filo che move il cielo da qui a Trapani, e diventa sempre più forte. E a volte sembra che formi anch'esso un uovo...

Nella vita siamo abbastanza fortunati se abbiamo un Amico. Siamo 'bravi' se sappiamo tenerlo, nel senso di tenerci dentro tutto quello che ci si può scambiare e riconoscere gli uni negli altri..
Ma io non credo di essere più brava o fortunata degli altri, perchè come amiche tutte loro sono una sola, anche se mi piace dire che sono le mie tre sorelle. Come se fossimo le streghe di Oz, ma tutte buone!

Siamo molto fortunati se abbiamo un Amore. E io ho amato davvero solo due volte, quegli amori egoistici e appaganti, che poi finisce che non compri più nemmeno il pane perchè vivi di quelli stessi. E quando muore tii sembra di non poter più muovere nemmeno un muscolo; che niente abbia senso. Ma i sensi vivi, per una volta non da bistrattare, un giorno ti svelano che mille sono i volti di amore, anche se qunado accendi la lanterna, l'unico in cui si coagulano le ombre, ti brucia.

Mi fermo qui.
Sulla scogliera che domina l'oceano mare che sondo ogni volta che lo ramnento. A guardare le rovine che bruciano sul promontorio, e da cui sono fuggita attraverso un passaggio nella terra.
Se forse lì non crescerà più niente, potrebbe essere un buon momento per smettere di fare mura attorno a me, e restare aperta, in ascolto; come se fossi solo l'intelaiatura di una casa...
e più che altro fsossi l'aria che sta ugualmente dentro e fuori.


Aspettando qualcuno che la abiti.

mercoledì, luglio 28

incontro all'infinito

Lo sapevo, che saresti andato.
io ho le ossa cave degli uccelli
e larghe ali che frusciano
muovendosi sulla tua pelle.

Tua hai la pelle che fruscia
Come la sabbia nelle mani;
hai le ossa dure della terra
ed i pensieri ‘fitti al suolo.

La tua speranza d’altezza
Sta nel quanto riescono a crescere.

La mia speranza dell’altezza
È un volo permanente verso la tempesta.

Lo sapevo che saresti andato,
ma le perpendicolari s’intersecano
a volte apparenti parallele
in un luogo che sta tra me e te.

Quel punto mantiene la distanza
Infinita risorsa per avere una spinta al moto.

sabato, febbraio 27

Libertà 'sì cara

Ho lottato da sempre, credo, per la mia indipendenza.
Come il mio gemello di vent'anni più giovane, che a sei disse a sua madre che gli progettava il futuro: "io da grande vado a vivere da solo".
Ho lottato credendo che significassa trovare la libertà, quella con la iniziale maiuscola; forse per qualche errore di calcolo ho trovato invece la libertà di ogni giorno.. Che dopo un po' forse m'è sembrata sciocca (sciapa). Quindi l'ho condita delle responsabilità (andare al lavoro), della cortesia (rispondera ad una lettera quanto prima),  del rispetto.  Qualche volta qualcuno, un certo tipo di qualcuno, mi ha detto che non ero affatto libera, così, e siccome mi pare a volte d'essere un po' "lenta", ad un certo punto mi sono messa alla prova.
Ieri ho deciso di vivere un giorno in libertà (vigilata), ed  osservare cosa ne avrei fatto. Mi sono detta che avrei fatto "tutto ciò che mi pare"! magari, credevo aprendo la porta la mattina, non risponderò ai messaggi, o salterò il lavoro...

E mi trovo alla sera che tutto è stato compiuto, beh, come sempre. Ma diversamente da sempre. Perchè le cose che ho fatte sono state una scelta consapevole; il cuore mi diceva come e quando fare, andare; sceglieva per me le vie note, senza che di mezzo ci fosse l'abitudine. Non è stato niente male, questo giorno di libertà!

Arrivata alla fine del giorno ho ripensato a quel qualcuno, passato della mia vita, uno dei vecchi "spcchi delle mie brame"; uno, che forse credeva che essere liberi significasse il significato più squallido del "fare quello che voglio", perchè nel suo volere non c'era il cuore che ti fa scegliere nel tuo benessere il benessere degli altri. Mi sono detta che questa era la sua scelta, probabilmente, che non sta a me giudicarne la validità, che non lo so se era davvero così.
So che la mia scelta è diversa, perchè nelle cose di ogni giorno emerge che non sono "uno che", ma una parte di Uno. Le mie scelte si fanno diverse, a volte al basso prezzo di quelle ali che non sfuggono, ma mi portano a planare sulle cose;a tornare per vedere se qualcuno ha bisogno; a cercare di divellere il fango in cui cado a volte e poi riprendere il volo.

Non so quale sia quella Libertà che sto cercando, forse quella "'sì cara come sa chi per lei vita rifiuta"(Purg 1). L'altra però, mi sembra in confronto poca cosa; ce l'ho da tanto tempo, ormai, che sta nell'angolo delle cose che "potrebbe sempre servire".
Non sono sicura di volerla ancora, e se qualcuno la vuole può prendersela indietro... oppure la porterò dalle suorine dalle 10 alle 12, dalle 16 alle 18, insieme ai vestiti usati.

lunedì, gennaio 18

l'amore, in qualche cosa




Alcune cose, a volte, ci colpiscono con la violenza di un caprone in corsa, (il link è per chi ha un po' di pazienza...) che carica a testa bassa.

Degli eventi, o dei mancati eventi. Delle persone che credevamo vicine se ne vanno, altre non si fanno proprio vedere. Avevo creduto, per un poco, che il ritorno di fiamma di un mio ex potesse essere una cosa 'reale'. E me la sono tenuta dentro, per paura che a raccontarla a qualcuno, chiunque, la cosa perdesse energia e si sgonfiasse.
Invece la bolla non s'è sgonfiata, s'è rotta!
Si, perchè alla prima piccola richiesta d'appoggio quello se la è data a gambe, senza nemmeno la briga di una scusa plausibile. E comunque non ha importanza. Perchè non c'era, e non è giustificato. Qui non importa spiegare i fatti, importa che io mi renda conto che, in ogni modo, è il mio comportamento che ha fatto accadere le cose così; che ha portato le cose a ripetersi negli anni, come un deja-vu, di cui però t'accorgi solo quando è passato.
Una piccola cosa diversa, mossa dal cambiamento sentito dentro il triangolo volto in basso che è il mio utero, la mia acqua di vita che germina per ora solo idee,  c'è stata.
Come dicevo, le cose cambiano.

E questa volta nessuna preziosa gentilezza.
Ricordo che anni fa non mollavo un tipo con cui soffrivo da morire perchè era 'fuori per lavoro', era Natale, era il suo compleanno... Stavolta l'unica cosa che m'è sembrata importante è che anche io ho bisogno di essere felice; e una situazione che non puoi cambiare, per cui s'è fatto tutto il possibile, che non si modifica minimamente e che ci fa stare male è semplicemente stupido portarla avanti.
E io sono molte cose, ma non sono stupida. Mi ci comporto, a volte. Per paura, per bisogno di affetto, per il desiderio che le cose siano come le dipingo,  posso fingere. Ma fino ad un certo punto;  ogni racconto ha una fine. A volte i personaggi durano tutto il libro, a  volte un capitolo solo. Questo doveva essere più d'uno, ma il punto, ad ogni buon conto, è arrivato.

E' arrivato guardando la ragazza negli occhi del guerriero.
La ragazza è quella libera, con il cuore bambino. Non l'altra, quella che ha sofferto, che ha scitto cose come questa:



La promessa di restarti accanto,
quando inciampato sei, più volte,
e senz’affanno, rialzato hai il capo,
e raccolta la tua gloria,
é una parola di facile emissione,
un sospirar, un raspo di polmone.
E poi un bisogno ti sorprende;
o forse troppi son gli sputi,
o, solo stanco, cadi e resti in terra
arido, stordito ed anelante
la mano tesa che t’avevan porto.
Ma già i solleciti altrove,
riponendoti nel fondo alla memoria,
han diretto le parole e t’han lasciato
giullare, a far suonar quelle catene
rugginose, che sbricioli in un fiato.
Si giuravano fratelli e tuoi compagni,
ma la sera che è giunta può vedere
solo l’ombra tua, stolida, che cerca
nello specchio l’amico che ha lasciato.


Oggi l'ombra è solida, a differenza di allora.  E se ritrova l'amico nello specchio, ha anche gli occhi  per sentire attorno tutto l'amore che c'è.
Oggi è questo, e va bene così.

E' amore, mio padre che s'arrabbia, pensando ad un certo Presidente che lasciò morire sua moglie di parto per salvare la figlia.
E' amore, mia madre che si preoccupa comunque di cucinare le cose che amiamo.
E' amore,, mio fratello che mi portava i cornetti per la mattina, dopo esser uscito con gli amici.
E' amore, mia nonna che ride sulla terrazza Mascagni, come se avermi lì fosse la cosa più bella del mondo.

E' amore, il mio amico E.C. che mi dice che sono bella e che ci proverebbe se non fosse fidanzato (lo so che non lo farebbe mai!).
E' amore, il tirocinante (cui ho già fatto il giudizio) che mi chiama sabato per sapere come sto.
......



                                   E' amore  tante piccole cose, a volte prima di quelle grandi.