domenica, dicembre 28

Specchi

C'è un uomo doppio che mi abita dentro, ma talora si sente mezzo.
Mai la metà giusta, quando è così.
Ignaro almeno fino a sera di quale sia quella che lo specchio rimanda.
Quando ho disegnato era giovane, e aveva gli occhi blu.

S.Lorenzo

L'alito di freddo s'infila nelle maniche della giacca. Inutile stringerle con le dita, resta sempre un pertugio perfino tra la lana dei guanti, per lasciar passare la vita che si trasforma.
Dentro il ristorante, allora, per scaldare il corpo partendo dallo stomaco, lì appena sotto il cuore. Dove a volte si forma una voragine che raccoglie tutto quel vento freddo, e se lo tiene dentro in qualche modo. Lasciando che scavi cunicoli devastanti nella solitudine di qualche sera.
Sul tavolino di fianco, la tazza del caffè mostra un fondo di zucchero non consumato. L'uomo di fronte pasticcia svogliato con il dolce, sembra di quelli che crede che la vita sia tanto amara, che un cucchiaino di zucchero, cancellando graffio avaro di cedimenti stucchevoli del caffè, la renda diversa. Guarda la donna dinanzi a , nascondendo un sentimento fra le trecce del maglione scuro, e alita il suo scontento al sapore di zucchero; le parole hanno un velo di insistenza che perfino da qui lo rende sgraziato, e sgradevole.
Lei ha trent'anni di meno, e la zona del locale fa credere ad un professore, che inventata una scusa a casa, si sa all'università c'è sempre da fare, sia uscito con l'allieva. Non consenziente, a leggere l'amaro che non si cela neppure con la crema catalana, che lui finisce con fare mesto. Paga il conto, mentre due turisti subentrano ridendo, il naso arrossato e le mani rigide dal freddo, completamente assorbiti dalle fantasie su quello che hanno visto oggi, dal fascino del locale (all'apparenza) romanesco; che i romani frequentano perché si mangia una buona fiorentina. Idiosincrasie della città più bella del mondo. Sei qui, e vorresti essere altrove. Come tutta una vita passata ad inseguire un sogno e un desiderio che non si placa mai perché si realizza quando già stai desiderando altro.

C
appotti si affrettano a rivestire la spalliera delle sedie di legno, cappotti spogliano gli appendiabiti e riprendono il loro posto sulle spalle, a chiudere su quella caverna che sta appena sopra lo stomaco, e che non si è affatto vuotata di gelo. Nè si è riempita col cibo.
Lei, rinchiusa nelle braccia si arrotola la fretta nella sciarpa, come a impedirsi la fuga. Poi li perdo.
E sono fuori dai miei pensieri, che si ordinano come il menù, in sottoinsiemi ordinati.
Anche oggi, se ne è andato.

sabato, dicembre 27

Cambiare

C'è un che di spiazzante, nell'aprirsi e cambiare atteggiamento nei confronti delle cose.
Qualcuno sostiene che se cambi atteggiamento verso il mondo, quello cambia le sue risposte verso di te. é vero. Ma è anche vero che quando cambiamo un modo di fare, automaticamente ci mettiamo nello stato di recepire in modo diverso le cose.
Così, una mia amica scopre, dopo tre anni di una tormentata relazione, che al mondo non c'è solo quell'altro quello che le ha fatto "girare la testa" mentre finiva la storia con il perfido P. (lo chiamiamo così scimmiottando il frasario di Bridget Jones). Il mondo è pieno di gente carina (che poi siano a posto ho i miei dubbi: guardate che ha fatto Babbo Natale in California... e non fatelo sapere ai bambini!) ma lei se ne è accorta quando ha smesso di guardare fisso. Ha girato la testa, appunto.
Se smettiamo di guardare solo il particolare cogliamo nel mondo un movimento sorprendente, ma quel che è più affascinante, lo scopriamo dentro di noi.
Molto più vicino al vero.

giovedì, dicembre 25

Auguri 1

La luce, da qualche giorno si è fatta più forte... le giornate si allungano, il sole invicto rinasce e dà spinta al seme di luce nascosto dentro di noi, lo nutre d'un nuovo calore.
Quest'anno sono già nata una volta.
E della vita che ricordo vi è un altro compleanno, anzi, un'altro Natale, il 23 dicembre, quando sono tornata dall'estero. Un capodanno, il mio.
Guardando bene, insomma, Natale è quando ci si sveglia nuovi, qualunque sia il motivo; comunque, anche se nella nuova vita sei un po' più debole che nell'altra, o forse hai trovato il coraggio per mostrare la debolezza. Per accettare di essere a volte fragile e fallibile.

Il tempo che viviamo è spaventoso, è doloroso, crudele. I suoi regali si chiamano rughe, la carta del pacchetto in genere è riciclata, e col tempo, sul tempo concesso, diventa sempre un po' più corta. Un giorno, che forse non sapremo il pacchetto non si chiuderà più del tutto. Saremo al punto in cui le cose cominceranno a sfuggire dall'involucro.
Ma tutto ciò mi auguro che si viva senza alcuna tristezza. Il solstizio appena passato ci pone in una condizione in cui la luce cresce, e quando dico che qualcosa sfuggirà da quel pacchetto che è la vita, il quanto concesso, il mio augurio è che sia quella luce a sfuggire.
Da noi, dagli altri.
Perché il tempo è incredibilmente colmo di gioia e di sorprese, ma a volte fatichiamo a coglierle perché siamo compresi nel dolore e nella paura.

Il mio augurio, sulla soglia guardata dal dio bifronte (Giano), è che si possa cogliere la pienezza d'ogni istante.
La carezza decisa degli anni, quella incerta delle persone che non sanno come dire che ti vogliono bene.
La gioia di un abbraccio, il peso di un insulto.
Il seme, l'albero, il fiore e il frutto.

Il mio augurio per questo Natale, che condividiamo nella luce del nuovo sole, è che la luce che a volte nascondiamo dentro di noi abbia la forza di esplodere e squarciare i confini in cui ci ancoriamo, per trasportarci in uno spazio e in un tempo dove nessuno conta più di noi stessi, ma essendo perso il limite, nessuno conta più degli altri.

mercoledì, dicembre 24

Memorie

Giacciono insepolti molti errori

trascinati con me dall’ossessione

di riempirmi la testa a rivederli

e col ricordo deformarne il suono.

Questa è la mia vecchiezza!

Averne troppi e rammentarli tutti.

E’ un gravoso bagaglio che impedisce,

rallenta e blocca il volo mio spirale

scorgo qualcosa e cado giù di nuovo

così ritento di lasciarli andare.

Impallidisco d’orrore e di paura!

abbandonando quella scorta mesta.

Tolte le forme nulla il vuoto arresta,

perso il ricordo è aperta la visuale

e in questa solitudine sublime

non resta niente. Nessun Io da salvare.

lunedì, dicembre 22

Commedia, in tre atti


Primo atto.
Inspiro.
Un urlo.
L'essenza si contrae
nelle ultime vibrazioni,
scomposte.
Si contrae, si rarefà.
S'informa,
rotonda e inestinguibile.
Espiro.

Secondo atto.
Inspiro.
Mi verso
verso te,
e smarrisco la forma;
sulla pelle,
attraverso la pelle
dello spazio vicino
trovo una via.
Non più delineato
in un sottofondo di coscienza.
Espiro.

Terzo atto.
Perdo il tempo
il confine, le mani.
Sospeso, riprendo
e dall'acqua
si stacca il vapore.
Colore di me.
Odore di te.
Più nulla.

Espiro.

sabato, dicembre 20

Corsica

Dato che ne avevo parlato, e che in questo periodo il cuore e la mente hanno desiderio di viaggiare, allontanarsi dal caos natalizio della città e vivere una favola... ho aggiunto qualche foto su Flikr .
Un ricordo in fondo è un viaggio. Perché sempre diverso da ciò che era.

Fra l'altro avevo fatto, come mio solito, un po' di confusione tra password, ID, indirizzi, e non riuscivo più ad entrare sul mio album per modificarlo; perché ovviamente avevo dimenticato qualcosa (la mia imperizia su internet è ormai leggenda).
Per fortuna la parte del cervello che funziona razionalmente aveva registrato i dati, così oggi li ho trovati (solo dopo aver provato a creare un nuovo album). Va bene, l'importante è il risultato.

La Corsica è una delle isole più variegate, come paesaggi. Ne percorri pochi chilometri e passi dalle bianche spiagge,con mare cristallino, a deserti rocciosi, a rossi faraglioni. L'interno, tra Porto e Bastia, fa pensare ad un paesaggio marziano.
Un giorno o l'altro ci tornerò, a vedere quel che resta. Per ora ogni tanto sfoglio la memoria, e ritrovo qualche immagine. Qualche emozione.
Qualche foto.

venerdì, dicembre 19

Edera














Luce!

Colpisce i miei occhi

insinuandosi

tra le fronde,

quando odo

il rauco sussurro

del vento…

E il suo respiro.

Sibila e mi contorce

spingendomi verso

la sua ruvida pelle.

Soccombo e

l’accarezzo;

nel profumo

della sua vita,

sciolgo il mio abbraccio.

E mi confondo.

A lungo restiamo

avvinghiati,

fino a divenire

inscindibili idee

(di soggetto).

Per sempre legati

da un vincolo metamorfico.

E di amore.

giovedì, dicembre 18

Ma quanti possono entrare in Paradiso?


L'occasione era troppo ghiotta.
Corsica 2006: il campeggio più imbucato del mondo, sito al termine di una lunghissima strada bianca, una di quelle da "siamo arrivati? siamo arrivati?", e che ti fermi per l'ultima sosta, sfinito, impolverato, annaspante, prorpio prima dell'ultima curva.
La strada era piena di buche, e l'abbiamo scartata, come un regalo, si, siamo a tema Natalizio, con Vespina. Quella che ha dato spunto ai 'viaggi'.
La vecchia vespa blu del mio amico ingegnere di Firenze, con cui siamo fuggiti dal lavoro, allora, proprio nel momento in cui ricominciava. A settembre.
Le nuvole cominciavano a portare presagi d'autunno, ed il vento ha sferzato con vigore le coste varie e spettacolari dell'isola francese, mentre noi tornavamo nel tempo in cui si viaggiava in quattro in una vecchia cinquecento stracarica di bagagli, o su una vespina che lo era altrettanto.
Gli automobilisti strombazzavano e ci salutavano, come se fossimo attori di un vecchio film,, quando ci incrociavano; e in qualche modo lo eravamo. Protagonisti poveri, mentre una coppia fiorentina, su una vespa verde brillante, scorrazzava, incrociandoci a volte, in pieno stile vintage. Lei, con occhialoni scuri enormi, un vestito bianco, esile e naturalmente bionda. In realtà, francese.
Lui, alcolista, alto, grosso, scuro. Fiorentino.
Avevano una vecchia telecamera a manovella.
Il ricordo me li riconsegna con la vespa carica di bottiglie di vino, l'abito di lei che svolazza, semitrasparente scoprendo parte del ginoccchio magro colpito subito da un raggio di sole indiscreto. Lui con una tuta da aviatore, o forse da meccanico, blu. Quando li abbiamo (ri)incontrati sulla spiaggia de 'u Paradisu. Quella cui si accede attraversando Les Agriates. Il deserto.

Nell'immaginazione mi sentivo Castaneda, senza il suo don Juan. Ma allora, come oggi, avevo i tre centimetri cubi di opportunità del guerriero (non il guerriero della luce di Cohelo, eh!).
Quei tre centimetri ti cambiano la vita.
Però ti devi sorprendere ad essere velocissimo per poterli raccogliere.
Velocissimo e attento.

E così capita, quando lo fai la prima volta, che poi diventi più pratico, e col tempo finisce con l'essere più semplice.
Stai in agguato, e acchiappi quell'angolo, quella piega della realtà in cui puoi cambiare le cose.
"signora, no, non posso", impari a dire.
Impari a girare l'incrocio prima che si crei l'ingorgo. Impari a dare, prima che ti dicano di no.
A dire no, prima che dalla bocca scivoli fuori il si che ti sconquassa la vita.

Essere felici, credo, rientra in quei tre centimetri cubi di opportunità.
In quell'apprendere che devi cogliere l'esatto istante e non sciuparlo con niente. Tanto meno col pensiero che, forse, non durerà.
E la condizione di essere felici è come essere in Paradiso.

Oggi. Ora.

Entrano in pochi. Forse tre soli, alla volta. A volte meno.



martedì, dicembre 16

Ma dove è finito, tutto il tempo?
Il respiro si mozza,
le ombre scompaiono
prima di un giro di meridiana.
Non le ho più, ma non vedo.
E ad ogni cieco passo
scolpito
avverto che è tutto qui.
Adesso.

sabato, dicembre 13

Estratti di felicità (notiziario dal mondo)

Dedicato a chi lo può mangiare:

"Il cioccolato fondente è un antidoto alle abbuffate natalizie

...molto buono, il cioccolato fondente è una ricca fonte di antiossidanti, di acidi grassi sani e alcuni studi hanno rilevato effetti benefici contro la depressione. Ora un gruppo di ricercatori dell'Università di Copenaghen ha scoperto che proprio il cioccolato può aiutarci a contrastare le abbuffate natalizie.

L’esperimento - Secondo quanto riportato dal quotidiano britannico Daily Mail, i ricercatori hanno condotto una ricerca su 16 giovani maschi sani con un peso normale. I volontari sono stati a digiuno per 12 ore e dopo sono stati divisi in due gruppi. A un primo è stato dato cioccolato fondente da consumare in soli 15 minuti, all'altro invece è stato dato cioccolato al latte da consumare nella stessa finestra temporale. La quantità di calorie del cioccolato fondente era pari a quella del cioccolato al latte.

Chi mangia il fondente poi ha meno fame - Dopo questa abbuffata veloce di cioccolato, i volontari hanno dichiarato quale fosse il loro livello di sazietà. Dopo altre 5 ore di digiuno, i ricercatori hanno dato pizza a tutti i volontari. Ebbene, a quelli che avevano mangiato cioccolato fondente è bastata per sentirsi sazi una quantità di pizza che aveva il 15 per cento di calorie in meno rispetto a quella necessaria per saziare il gruppo di volontari che aveva mangiato il cioccolato al latte.

Più nero e più sano - Per questo i ricercatori sono convinti che mangiare il cioccolato fondente può aiutarci a frenare i nostri impulsi onnivori che si scatenano in questo periodo festivo.
Esperimenti o no, che il fondente sia più sano del cioccolato al latte lo sanno tutte le nonne e, ormai, pure i nipoti. Però fra tutti i tipi di cioccolati che ci verranno offerti durante le feste (nocciolato, mandorlato, bianco, con la granella, al caffè e chi più ne ha, più ne metta), scegliendo quello nero sapremo che non daremo soddisfazione al solo palato."

(Articolo apparso su: http://natale.tiscali.it/articoli/12/cioccola_contro_abbuffate_123.html)

Dato che io purtroppo non lo digerisco, aggiungo quindi un articolo trovato da mio padre...

"LA FELICITA' CONTAGIOSA, SI TRASMETTE A CHI E' VICINO (ANSA 2008-12-05 12:26)

ROMA - La felicità è contagiosa: si trasmette, infatti, da una persona all'altra, anche se l"untore'' felice non conosce direttamente gli individui destinatari della sua gioia. E l'effetto 'contagio' dura fino a un anno.

Lo dimostra uno studio diretto da Nicholas Christakis della Harvard Medical School e della California a San Diego: la ricerca mostra, infatti, che quando un individuo è felice dell'Università contagia gli amici e gli amici degli amici, disperdendo la sua gioia su tre gradi di connessioni nella rete sociale.

Pubblicato sul British Medical Journal, lo studio è stato condotto sul campione della precedente indagine 'Framingham Heart Study' sulla salute degli americani: 5124 adulti di 21-70 anni reclutati e seguiti tra 1971 e 2003.

Gli autori dello studio hanno trovato 53.228 connessioni sociali tra i 5124 partecipanti, e si sono quindi concentrati su 4739 persone seguite dal 1983 al 2003. Ad essere fondamentale in questo meccanismo di trasmissione della felicità, hanno ossrvato i ricercatori, è la distanza tra i soggetti.

Se due amici vivono infatti a mezzo miglio di distanza (800 metri circa) e uno dei due vive un periodo felice, l'altro ha il 42% in più delle chance di essere felice a sua volta.

Le chance calano all'aumentare della distanza: due miglia (3,2 km circa) equivale a una probabilità di essere contagiato dalla felicità dell'amico del 22% in più. Fortunatamente, però, la tristezza non riesce a diffondersi così a macchia d'olio, sostengono gli autori del lavoro."


... sperando che siate così buoni con me, dopotutto è Natale, da mangiare tanta cioccolata, sentirvi più felici, e contagiare quante più persone possibile...


Occorre considerare che, quando mia madre era a dieta era diventata piuttosto triste, forse proprio perchè le avevano tolto la cioccolata...?

Come il denaro, il nero cibo degli dei non farà la felicità, però aiuta parecchio.

:))




venerdì, dicembre 12

Avanzi di realtà: la crisi è assente per malattia

(Premetto:
non ci capisco niente di politica. Né di economia.
Ho una ferma avversione per le rate. Se posso comprare una cosa la compro in contanti, o bancomat. Mutuo a parte, per ovvia contropartita: o getto i soldi al vento con l'affitto, o piano piano mi compro casa.)

C'è la crisi. Quindi apriamo un nuovo centro commerciale. Anzi, due. Il terzo a ridosso di Natale. Che tutti sono più buoni e si fanno tanti bei regalini...
Uno dei Centri (che strano passeggiare là dentro: se piove non ti bagni, se esce il sole non lo sai. Entri al mattino, esci che è buio. Ma dove è il gusto? Sono un male necessario?) è un Outlet; vieni a spendere meno: paghi un jeans 100 euro, però è un Valentino dell'anno scorso. L'anno scorso ne costava 200. Ergo, hai risparmiato. Anche con la crisi.
E poi si creano posti d lavoro. E il centro commerciale l'abbiamo iniziato prima della crisi. Tra un mese ci son i saldi, e i centoquindici centri commerciali di Roma e dintorni, ivi compreso Milano (il mondo è piccolo) ospitano centinaia di nuovi dipendenti e migliaia di italiani che sfuggono all'impietosa mano di qualche dio che lava il pavimento dell'Universo. E stanno tutti insieme a guardare le vetrine, chi da dentro chi da fuori, in attesa che la crisi passi o venga sepolta da un applauso.
(Non sarà che, nel far si che si allaghi la strada appena costruita vicino al nuovo centro commerciale dell'Eur, che quindi è rimasto chiuso, nel far piovere sì tanto da giungere all'allerta "non percorrere il GRA se non è strettamente necessario", e possibilmente "non uscite di casa", dicevo, non sarà che ci stanno mandando un messaggio?)
Ah ah ah. E chi ascolta? Intanto ascoltati la pubblicità del nuovo gestore telefonico: con soli 49.90 euro al mese (oh, dico: al mese!!!) ti regaliamo il telefonino più figo del mondo (che domani è già vecchio); tu ti sentirai veramente un re. Anche se c'è la crisi.
Anzi, consumatore. Siccome ti vogliamo bene facciamo così. Se spendi almeno seicento euro ti regaliamo anche una macchinetta fotografica. E poi ci paghi tra sei mesi. Già, ti rendi conto che fortuna?! Per sei mesi hai la televisione gratis! (poi se tra sei mesi c'è ancora la crisi tu consumatore ti darai la zappa sui denti, o sui piedi. Perché ti ho sentito dire "se comincio a pagare tra sei mesi, allora compro quello che costa 1200 euro" ... e tra sei mesi vale 900 euro, come quello che potevi comprare oggi. Ma forse tra sei mesi i trecento euro ti serviranno ad altro...)

Forse la crisi fa sciopero bianco: è presente al lavoro ma non fa niente?
Forse la crisi è assente per malattia. Ma nessuno controlla se è a casa.

Se il cielo è scuro... guarderò il verde del prato

La mano di dio infila collane di gocce interminabili; e le perle iridescenti schiacciano l'uomo in una delle sue gabbie.
Quanta gente oggi ho sentito dire, o visto esprimere nell'aria appassita degli angoli della bocca, che con tanta acqua non si può più essere felici!
Ma come? E poi perché?
Quali buffe teste ci ha creato, questo dio bislacco, per far sorgere l'ombra di tali convinzioni?
Non c'è che dire; io amo le fredde giornate di gennaio, col sole che splende basso, sfiorando i confini delle torri che l'uomo ha eretto verso il cielo. Amo il tepore che a malapena lambisce, in quei giorni, le pagine scritte sulle mie mani, che neppure i guanti riescono a scaldare. In quei giorni brucerei la mia storia pur di avere un po' di calore per le dita intorpidite. Getterei nel camino il libro che fatica a venire alla luce, le pagine di quello, più corposo, che la vita mi fa sfogliare ogni giorno. Ma se il sole aiuta, non è quello che ci rende felici.
Felici, piuttosto, ci fanno le piccole dolcezze che ci scambiamo nell'incontrarci. Nel condividere quello sguardo che, comunque, al cielo, ci va.
Oggi per controllare se non ci sia per sbaglio, uno sprazzo d'azzurro, da qualche parte.
Scenari apocalittici, letti o strillati nei tg, inclinano a credere che oggi dio abbia deciso un nuovo diluvio. Qualcuno lo ha detto. Che sia la fine del mondo?
Beh, dirò, allora se Dio stavolta s'è scordato di mandarci Noè, io navigherò sulla barca ondeggiante del mio sorriso. Sul tratto in salita dell'angolo della bocca, che mi fa irridere la paura, perché alla fine, tanto o poco, anche oggi ho vissuto una splendida fortuna.
Il sole si è levato senza mostrarsi mai, le vie erano allagate, in buona parte; le nuove buche nell'asfalto hanno fatto inciampare qualcuno, che ha perso in sicurezza come quando, dopo un momento felice ti trovi all'improvviso svuotato. E credi di essere triste.
Credi.
é tutto il giorno, che sembra notte.
Ma non saremo più felici, col sole, di quanto lo possiamo essere ora.

mercoledì, dicembre 10

Sulla via


Quando vado al lago, ultimamente il tempo sembra sempre ombroso. Ma dopotutto è autunno (fa il tempo che piace a me... uggiola la voce che vuol narrare un'altra storia), e l'immagine congelata dei rami spogli si impronta sulla mia pelle, che si increspa come la superficie del cratere nascosto.

Osservo lo specchio d'acqua, la sua superficie trafitta dalle insistenti gocce del temporale. La sua pelle increspata e rumorosa, nasconde le creature del fondo,e scaccia quelle che gli scivolano sopra, si tuffano dentro alla ricerca di cibo, e volano sulla sua presenza, nelle mattine assolate.
I cigni oggi non si vedono. Lo specchio, rotta l'immagine del cielo, si ribella al suo ruolo di passaggio.
è passeggero del vento, che lo riversa addosso alle rive sabbiose, sulle creste dei massi che si affollano sotto il muretto della passeggiata.
Questo si vede.
Il resto è chiuso sotto le onde, che smuovono la sabbia nera dal fondo, e imbruniscono l'acqua.
Le creste bianche , come sorrisi che scappano ad un uomo chiuso in se stesso.
Frammenti, che non sanno propriamente di pace.
Schegge che scivolano oltre la pelle, e mentre guardi ti senti ferito, come da un foglio di carta. Il taglio è sottile, invisibile; non così il bruciare insistente.
La pelle e le onde di superficie, arrancano sul vetro che rimane sotto; frantumazione d'una esistenza. Essenza dolorosa della libertà di non mantenersi composti in un vaso.

Di essere anche la mano che modella una nuova forma...






lunedì, dicembre 8

Un passo indietro


Un passo indietro; riassorbo per un momento il calore dei giorni prima di questa estate.
Quando con gli occhi credevo ancora di guardare tutto, e coglievo solo metà delle cose.
Ma ho amato, quella mezza bellezza.
Che mi riempiva totalmente. Forse sono abbastanza piccola, dopo tutto. O forse il cuore, negli anni, ha perso qualche parte di sé, nei lunghi vagabondaggi che si impone, ed ora si riempie in fretta.
Quella mezza bellezza che vedevo, di te, mi è sempre bastata.
Ho amato le briciole della persona che eri. Quelle che restavano sul tavolo del Caffè, quando ci concedevamo il tempo di sederci, ed ammirare il paesaggio. Prima di lasciarci andare via.
Ho amato la pelle che nasconde, che sembra dividere, tanto quanto il lungo spazio che ci separa.
Ho amato il sospiro lungo dell'inverno, che si è sbattuto sulle ragnatele dell'angolo destro in alto della veranda, disfacendole filo a filo.
Ho amato il rumore che faceva la tua voce, scivolandomi in tasca; ma l'eco che rifluisce da lì, toglie il posto alle mani. Che, immobili, lasciano il gelo a scolpirgli un nuovo giorno addosso.

Ho visto la fine, di questo arcobaleno sotto cui non potevo mai passare.
Ho visto la fine scagliata su una curva, con la violenza che i riflessi acquistano, quando rimbalzano sulle superfici dei ricordi.
E riesco a vedere, ogni cosa, tra il vagheggiare di quei colori, che mutano la scena oltre di loro.

Adesso, che vedo, amo tutto di te; anche gli spari remoti, i pensieri più bui. Anche le cose che non sai ancora, e il tempo che non vivremo mai insieme.
Così posso rinunciarti. Perché perdo il bisogno di appartenerti.
E l'illusione che non ci apparteniamo.

sabato, dicembre 6

In bilico

Ho un sorriso funambolo.
Un trastullo di cristallo
è la mia mente indecisa.

Il cuore è pieno
di corde
su cui scorre
un vago senso di me.

In bilico.
Finchè si alza il vento.

mercoledì, dicembre 3


Naturalmente, la mattina si è fatta più fredda; la mano non trema, ma l'indice è irrigidito dall'attesa di poter scattare, senza che le auto si infilino rombando nella foto. Devo attendere a lungo; perdo un attimo buono, perché il dito fatica ad abbassarsi con la giusta pressione sul tasto dello scatto; ma se la foto, colorata di queste imprecisioni, non ha l'esatta inquadratura dell'altra volta, il posto è lo stesso.
E allo stesso modo, quando percorro questo viale mi manca il fiato. I pensieri arrancano cercando di uscire allo scoperto, poi si ritraggono sconfitti. Infatti devo attendere, perché si facciano vivi. Perché si possano arrangiare in parole le sensazioni inquadrate tra le foglie cadute, e il fiato grosso di freddo.
Non so, ma questo ingresso ha qualcosa di magico. Come una porta su qualche altro spazio.
é il confine tra quello che ero prima, e quello che sono quando ritorno.

Nuovo week end di corso alla scuola per giovani maghi, a Bracciano. E questa volta, non sai mai cosa si finisca con il conoscere quando inizi il viaggio, le chiacchiere parassite dell'apprendimento accademico hanno portato verso l'alimentazione, e verso la filosofia dell'autoconoscenza.
"Non c'è nessuna guarigione staccata dalla trasformazione di " (Rovati), avevo già appuntato... poi un'altra cosa, piccola: quando si studia il particolare si rischia di perdere di vista la Verità, che è globale. Che è Una.
Queste osservazioni, rispuntate all'alba del secondo giorno, quando si cominciava a prendere confidenza con il collega che insegnava stavolta, si sono manifestate martedì al lavoro; nel trattamento di una ragazza di quattordici anni, con grave scoliosi.
Le ho chiesto di dirmi come si sentiva appoggiata, se mi poteva descrivere l'impronta del corpo a terra. Ha detto che era tutto appoggiato (la zona dorso lombare non toccava minimamente) che non c'era nessuna differenza nella posizione delle gambe (una era quasi ruotata in dentro, l'altra era girata in fuori), e la sola piccola differenza era nell'appoggio delle scapole. Abbiamo cominciato da lì.
Dal particolare, si, quello che lei sentiva, e su cui concentra l'attenzione, per tornare al globale.
Dalla sensazione, locale, all'immagine reale. Piena.
Quanti di noi hanno conoscenza del proprio corpo? Se in questo momento siete seduti e vi chiedessi di alzarvi...(fatelo se vi va)...
e poi vi chiedessi di descrivere esttamente come eravate seduti?
Sentite ancora l'appoggio dei glutei sulla sedia?
Sapreste dire quale dei due poggiava maggiormente? Ricordate;.
Esperite ancora la pressione, l'immagine di quello che era?
Provate a sedervi di nuovo, ora, e se volete, fate più attenzione.
Alzatevi ancora.
Ma la schiena stava appoggiando? Riuscite da in piedi a sentire ancora quella sensazione?
Se alzate un braccio e poi lo abbassate, sapete riprodurre mentalmente la direzione, la pressione del movimento, la sensazione di tensione sotto ascellare quando il braccio è alla massima elevazione?
Il nostro cervello attiva le stesse aree motorie, sia quando si fa un movimento che quando lo si immagina. Entrambe le cose sono quindi vere, perché riproducibili. Quindi il fatto che ci si possa ingannare, che si possa 'sentire' la coltellata tra le scapole che vi hanno dato, l'abbraccio virtuale di un amico, l'attimo di sospensione del fiato quando si varca una soglia... per il cervello e per la mente sono reali.
Non sto parlando di Verità, anche se quello che dico è vero, ma di realtà. La percezione di reale rispetto a qualcosa che viene creato dalla mente, in base al suo vissuto. Per capirsi: "quando ci si scotta con l'acqua calda, si ha paura anche di quella fredda" direbbe il proverbio.
Così la mente, così il corpo. Così il cuore.
Ma del ricordo si sa come è, non come fu. Quindiha valore sostenere che possa essere reinterpretato. Compreso. Ricostruito fornendogli un'altra valenza.

Il mio cuore si sospende, quando varco quella soglia d'alberi. Al di là c'è una curva, dove scompare la scia di quello che era; ogni volta che scavalco quel limite, immagino che tutto quanto quello che era non sia più. Provo a togliere uno strato, come se mi sfilassi un maglione. Provo a lasciare un filo tirato, legato al punto in cui mi fermo per la foto, e vado avanti, lasciando che si tiri, che disfi pian piano quella maglia pesante dell'esperienza.
Questa che sto vivendo, è un'altra possibilità. UN'altra vita, dopo la prima.
Un orizzonte libero da ogni aspettativa. E correndo con lo sguardo scopro un fiore tra piastrelle di cemento; un sorriso in un ricordo buio (prima che si dipani e dispaia); un punto d'appoggio che non sapevo più.

venerdì, novembre 28

Viaggiare




Mithlond

Forse questo è morire?

Viaggiare e nel viaggio

pian piano abbandonare

le parti (mai più necessarie)

pei luoghi trovati nei sogni

e percorsi nella Realtà.

Forse questo.

Forse un giorno spoglia

d’ogni lembo di questa veste,

prima d’un’altra soglia

ammonticchiata,

per un’ultima meta partirò.

Nuda.

Senza più tornare.

Vuota.

Senza più tazze da colmare.

Forse questo è morire?

Allor m’è dolce il cammino,

e del viaggio e dell’esperienza,

della gioia e del dolore

che poi dispaiono con l’uso,

ogni eco voglio sondare.

Ciascun passo compiere.

E intanto frantumarmi,

lasciarmi attorno.

Fino a non aver più nulla,

nell’esser tutto.

giovedì, novembre 27

Secondo tempo. Primo giorno

Questa volta la partenza è stata salutata da un alba spettacolare. Il sole alle spalle, come va bene all'inizio di un viaggio, perché le ombre lunghe ti mostrano che sei solo. Nessuno ti segue; almeno, non troppo vicino.
Tuttavia la solitudine s'è un po' scalfita, perché alla fine ho convinto il mio collega a venire con me.. e ora per cinque anni lo vedrò anche nei week-end. Il che mi insegna che non è mai troppo presto per stare zitti.
Per non sembrare più orsa di quello che sono, devo dire che un briciolo sono anche contenta, almeno mi risparmia il casuale compagno di banco terribile, che ti si appiccica come una di quelle plastiche trasparenti delle caramelle, che cerchi di buttare e ti ritrovi sempre addosso perché si elettrizzano.

Il lago oggi era diverso. Il freddo pungente, che si è mantenuto nonostante il sole, ha reso più vicine le sponde opposte; mi sono saltate negli occhi, mentre lasciavo che il pranzo mi scivolasse nella gola, con il rosso scuro della terra rivoltata. IL giallo rugginoso dei faggi d'autunno, il verde dei campi, striato di pecore in movimento.
I soliti cigni, mai paghi dell'acqua, hanno procrastinato il volo delle tredici, che sembravano compiere metodicamente la volta scorsa. Ma hanno interrotto la loro pigra scorribanda fra le papere, con un sostenuto innalzarsi e sbattere le ali chissà se a prepararsi, scaldarsi, o ribadire la loro naturale predominanza.

Anche io oggi ho un po' sbattuto le ali, a quel modo. Ma poi ha prevalso il senso placido della papera, e sono tornata a sorridere. Infondo non importa, chi sia più bravo, o simpatico, o sociale. Purché anche oggi, io possa apprendere qualcosa.

domenica, novembre 23

ritorno a Bracciano

Mai è andato altrove, colui che parte

Nessuna tappa può sembrar la meta

all’uomo che cercando va se stesso,

la vive, si, con l’animo poeta

cantando con stupore sempre intenso.
Eppur appena varca il bel confine,

fra quel che fu anelato e il compimento

dell’atto che sognava, vede alfine

ch’è stato un illusorio movimento.




venerdì, novembre 21

Una settimana di lavoro

Avete presente? dicevo una volta che, quando ti giri a guardare, certe storie sono rimaste uguali.
Il lavoro è così. Puoi rimanere fuori qualche giorno, o qualche mese, e quando ritorni è tutto esattamente come prima. Le stesse facce ansiose (dei colleghi, forse peggiori perchè sottoorganico da cinque mesi), gli stessi utenti che tornano, lo stesso terribile sospetto che anche se avessi la bacchetta magica funzionante, starebbero male lo stesso.
Perché? Perché stare bene, sentirsi bene, è la cosa più difficile del mondo.
Esempio: paziente con dolore fisso alla schiena. Seconda seduta di terapia (di gruppo, nel tal caso), inquadri il problema. Gli fai correggere il movimento sbagliato.
"dottoressa, che strano, non ho più il dolore".
Bene. Se continua a muoversi correttamente, come ha fatto ora, vedrà che starà meglio... Ti mordi la lingua, a questo punto. Ma è già troppo tardi. Appena alzi il telefono per rispondere all'ennesimo "mi scusi ho sbagliato" quella ripete il movimento.. come prima. Cioè sbagliato.
Passi, una volta, Ma se insiste...
Il terapista si raccomanda (parliamo ancora di gruppi) accuratamente, e in vari modi, che i pazienti lo informino se compare il dolore. Gli esercizi, di per se, sono ottimi ma a volte vanno un po' adattati. Cinque persone che stanno male per una lombalgia reagiscono in modo diverso e ce l'hanno per motivi diversi.
Il terapista passeggia tra le persone, distese a terra ad occhi chiusi e per l'occasione adotta il passo del gatto. Felpato e inconsistente. (Aver perso qualche chilo, aiuta).
Si sofferma a fianco di una signora, si, sempre la stessa, ed osserva il viso contorcersi in una palese smorfia di dolore. Nella sua mente riecheggiano gli avvisi precedenti... ma suggerisce di nuovo, dolcemente, con voce paziente: "non dovete sentire dolore, nell'esercizio, se accade, fermatevi"...
Inutile. La smorfia continua, il movimento anche. "Signora, va tutto bene?" Tuona a questo punto, vibrando di sconforto, il terapista. Le parole si versano nell'orecchio della signora, che apre gli occhi e naturalmente, con la smorfia ormai incastrata fra le rughe: "veramente mi fa male".

Terapia individuale.
"dottore' (ssa) me fa male 'a schiena, quanno sto troppo seduto".
Occhieggio il voluminoso portafoglio, infilato nella tasca posteriore del pantalone. Il paziente coglie lo sguardo. Forse, stando ai fatti successivi, teme che voglia fregargli qualcosa.
"sa" suggerisce invece la voce paziente, al paziente: " intanto potrebbe togliere il portafoglio, quando sta seduto a lungo". Ci sono un sacco di cose che fanno male. Stare seduti storti è una di quelle. Finisce di spiegare il terapista che c'è in me.
"ma sa," dice il tipo, provando, forse rassicurato,"effettivamente mi sento più comodo".
"allora provi".
Alla seduta successiva il paziente ha ancora il portafoglio nella tasca posteriore dei pantaloni. L'ho detto; una volta, passa. La conversazione si ripete. La decisione della persona a cambiare, anche.
Alla terza seduta, il portafoglio resiste al suo posto. Devo fargli notare che durante la terapia è meglio toglierlo da lì.
"si, in effetti me lo aveva detto...". Si in effetti si. E guardi che il portafoglio ce l'ho anche io. Nella giacca.

Altra paziente. Ha un'ernia cervicale, ma dopo le prime sedute, ogni volta che finisce la terapia sta meglio. è un dato oggettivo. Lo dice lei, non io (non mi azzardo più).
Torna la settimana successiva. "ma lo sa che, dopo l'ulyima volta, sono stata malissimo?"
Il buon terapista si mette in discussione. Strano, si era alzata dal lettino e andando via si era anche rallegrata per la scomparsa del dolore. Ma il terapista rivaluta, osserva, lavora, fa lavorare. E chiede, anche.
"ha fatto qualcosa di particolare? qualche sforzo magari... sa, lei deve un po' riguardarsi".
La signora garantisce di no.
Torna, alla seduta successiva. "mi sono ricordata, sa, che la settimana scorsa mi si era rotta la macchina"
"Mi dispiace" dico, contrita.
Lei continua "Si è fermata in mezzo alla strada, e mi hanno aiutata a spingerla via.."
"la hanno aiutata?"
"Beh, si. mica potevo lasciarlo fare a quei due tre ragazzi..."
"tre ragazzi? e lei li ha aiutati a spingere da dietro?"
"no, a dire il vero stavo un po' storta, sa per non dargli noia".
Pure!
Si ode di sottofondo il rumore delle braccia, che cadono nel latte.. che sale fino alle ginocchia.
"che macchina ha, signora?"
"Una freelander,ha presente? Una jeep".
Ce l'ho presente.
Ho anche presente che è completamente inutile farle la terapia.

Anche se di recente ero dall'altra parte della barricata, o forse proprio per questo, confermo quello che ricordo; era un'altra vita, ma in qualche modo è sempre la stessa.

I pazienti siamo noi. Noi operatori, dico.

martedì, novembre 18

"... libertà va cercando, ch'è sì cara..."


Pubblico, tralasciando le parti più personali e su sua autorizzazione, la lettera che mi ha mandato un'amica. Lei è una mamma, quindi diciamo che ha una esperienza, rispetto al dare e prendere della vita, un po' diversa dalla mia, che non ho avuto questa possibilità. Limpida e breve, come Mobu e Al nei suoi commenti, ha soprattutto toccato un tema complesso e affascinante, che mi ha traghettato un po' avanti e indietro nel tempo, prima ad altri scritti, poi di nuovo qui, di fronte a domande su cosa significhi essere liberi, e su cosa siamo disposti a fare per esserlo.

"Ciao... ho letto con attenzione anche le tue riflessioni su Eluana.
personalmente trovo questo parlarne sui media qualcosa di osceno, credo che rasenti la pornografia.
ci dovrebbe essere molta più discrezione e apprezzo il silenzio del padre di Eluana e lo rispetto nel voler porre fine al proprio strazio.
non so se hai visto il film 'il mare dentro'.
si può voler scegliere di morire o di vivere, si può voler scegliere di far vivere o morire, l'unica cosa che ci deve interessare politicamente è garantire queste libere scelte. per questo ci vorrebbe una legge in grado di tutelare gli interessi di tutti.
ammettere il testamento biologico o al limite l'eutanasia lascerebbe intatta la libertà di chi non vuole ricorrervi.
ma è questa libertà che i credenti spesso non tollerano e vogliono che il loro proprio senso morale diventi legge per tutti.
quindi io vorrei una legge che tutelasse la libera scelta.
ma cosa farei io nel caso specifico data la legge?
sinceramente non lo so.
e non credo di poterlo sapere prima.
amo e rispetto la vita umana anche quando è ridotta ad uno stato vegetativo. credo che sia una grande lezione di vita vivere l'esperienza della differenza dalla norma. ma mi sembra tale solo se garantita come libera scelta. me lo imponessero sarebbe un'intollerabile fardello.
la vera violenza è trasformare un gesto d'amore qual'è il rapporto con un diverso, in un atto di obbedienza e coercizione alla legge che ti impone di amare il diverso ( quello che vorrebbero fare i cattolici con il padre di Eluana) o di sopprimerlo per forza ( quello che facevano i nazisti).
ti abbraccio
C."

"Libertà va cercando, ch'è sì cara,/
come sa chi per lei vita rifiuta".
Questo scriveva Dante Alighieri (Purg.I, 71-72. Dialogo tra Virgilio e Catone). E per tutta la Commedia viene e va questo tema irrisolvibile, della libertà; secoli dopo, così Voltaire:

«Io combatto la tua idea, che è diversa dalla mia, ma sono pronto a battermi fino al prezzo della mia vita perché tu, la tua idea, possa esprimerla liberamente.»

Celeberrima. E con ciò ha in pratica definito il principio della Democrazia.

Principio che talvolta, nel nostro laicissimo (?!) stato sembra essere dimenticato; viene soppresso in favore del buonismo mediatico; perché a volte la diplomazia impone che sia così.

La libertà, tuttavia, è qualcosa che si muove dentro di noi. Che deve esistere, nella essenza, dentro di noi. Voglio essere paradossale, senza entrare nel metafisico.

E' stato osservato sperimentalmente che le aree del cervello deputate ad un certo compito si attivano già solo immaginando che il movimento si compia. Possiamo quindi concludere, che anche in catene posso essere libero di andare ovunque.

(avevo avvisato!)

La realtà è molto più sorprendente della fantasia.





sabato, novembre 15

Omaggio a Totò (Antonio de Curtis)

'A LIVELLA
di Antonio de Curtis - Totò

Ogn'anno, il due novembre, c'è l'usanza
per i defunti andare al Cimitero.
Ognuno ll'adda fa' chesta crianza;
ognuno adda tené chistu penziero.

Ogn'anno puntualmente, in questo giorno,
di questa triste e mesta ricorrenza,
anch'io ci vado, e con i fiori adorno
il loculo marmoreo 'e zi' Vicenza

St'anno m'è capitata 'n'avventura...
dopo di aver compiuto il triste omaggio
(Madonna), si ce penzo, che paura!
ma po' facette un'anema 'e curaggio.

'O fatto è chisto, statemi a sentire:
s'avvicinava ll'ora d' 'a chiusura:
io, tomo tomo, stavo per uscire
buttando un occhio a qualche sepoltura.

"QUI DORME IN PACE IL NOBILE MARCHESE
SIGNORE DI ROVIGO E DI BELLUNO
ARDIMENTOSO EROE DI MILLE IMPRESE
MORTO L'11 MAGGIO DEL '31."

'O stemma cu 'a curona 'ncoppa a tutto...
... sotto 'na croce fatta 'e lampadine;
tre mazze 'e rose cu 'na lista 'e lutto:
cannele, cannelotte e sei lumine.

Proprio azzeccata 'a tomba 'e stu signore
nce steva n'ata tomba piccerella
abbandunata, senza manco un fiore;
pe' segno, solamente 'na crucella.

E ncoppa 'a croce appena si liggeva:
"ESPOSITO GENNARO NETTURBINO".
Guardannola, che ppena me faceva
stu muorto senza manco nu lumino!

Questa è la vita! 'Ncapo a me penzavo...
chi ha avuto tanto e chi nun ave niente!
Stu povero maronna s'aspettava
ca pure all'atu munno era pezzente?

Mentre fantasticavo stu penziero,
s'era ggià fatta quase mezanotte,
e i' rummanette 'chiuso priggiuniero,
muorto 'e paura... nnanze 'e cannelotte.

Tutto a 'nu tratto, che veco 'a luntano?
Ddoje ombre avvicenarse 'a parte mia...
Penzaje; stu fatto a me mme pare strano...
Stongo scetato ... dormo, o è fantasia?

Ate che' fantasia; era 'o Marchese:
c' 'o tubbo, 'a caramella e c' 'o pastrano;
chill'ato appriesso' a isso un brutto arnese:
tutto fetente e cu 'na scopa mmano.

E chillo certamente è don Gennaro...
'o muorto puveriello... 'o scupatore.
'Int' a stu fatto i' nun ce veco chiaro:
so' muorte e se retireno a chest'ora?

Putevano stà 'a me quase 'nu palmo,
quando 'o Marchese se fermaje 'e botto,
s'avota e, tomo tomo... calmo calmo,
dicette a don Gennaro: "Giovanotto!

Da voi vorrei saper, vile carogna,
con quale ardire e come avete osato
di farvi seppellir, per mia vergogna,
accanto a me che sono un blasonato?!

La casta e casta e va, si, rispettata,
ma voi perdeste il senso e la misura;
la vostra salma andava, si, inumata;
ma seppellita nella spazzatura!

Ancora oltre sopportar non posso
la vostra vicinanza puzzolente.
Fa d'uopo, quindi, che cerchiate un fosso
tra i vostri pari, tra la vostra gente".

"Signor Marchese, nun è colpa mia,
i' nun v'avesse fatto chistu tuorto;
mia moglie b stata a ffa' sta fessaria,
i' che putevo fa' si ero muorto'?

Si fosse vivo ve farrie cuntento,
pigliasse 'a casciulella cu 'e qquatt'osse,
e proprio mo, obbj'... 'nd'a stu mumento
mme ne trasesse dinto a n'ata fossa."

"E cosa aspetti, oh turpe macreato,
che 1'ira mia raggiunga 1'eccedenza?
Se io non fossi stato un titolato
avrei gih dato piglio alla violenza!"

"Famne vedé... piglia sta violenza...
'A verità, Marché', mme so' scucciato
'e te senti; e si perdo 'a pacienza,
mme scordo ca so' muorto e so' mazzate!...

Ma chi te cride d'essere... nu ddio?
Ccà dinto, 'o vvuò capì, ca simmo eguale?...
... Morto si' tu e muorto so' pur'io;
ognuno comme a 'n'ato è tale e qquale."

"Lurido porco!... Come ti permetti
paragonarti a me ch'ebbi natali
illustri, nobilissimi e perfetti,
da fare invidia a Principi Reali?"

"Tu qua' Natale ... Pasca e Ppifania!!
f T' 'o vvuo' mettere 'ncapo... 'int' 'a cervella
che staje malato ancora 'e fantasia?...
'A morte 'o ssaje ched'e".... e una livella.

'Nu rre, 'nu maggistrato, 'nu grand'ommo,
trasenno stu canciello ha fatt' 'o punto
c'ha perzo tutto, 'a vita e pure 'o nomme
tu nun t'he fatto ancora chistu cunto?

Perciò, stamme a ssenti... nun fa' 'o restivo,
suppuorteme vicino - che te 'mporta?
Sti ppagliacciate 'e ffanno sulo 'e vive:
nuje simmo serie... appartenimmo â morte!"

A mio fratello





Eh, s'era preoccupato!(mio fratello)
Lo ammetto, a volte sono di humor nero.
Ma fare testamento è un modo per prepararsi, anche se non si vuole necessariamente (di)partire.
Ammetto che di solito, prima di lunghi viaggi in aereo ne lascio almeno uno a casa, perchè non si sa mai. Fa parte della vita, preoccuparsi del dopo-morte.
è un'affermazione di vita. è l'affemare che avremo ancora qualcosa da dire, quando dopo non ce ne importerà più niente. Ed è un pensiero gentile per chie resta, anche se a volte, come si diceva, gli eredi non sono proprio d'accordo con le ultime volontà del defunto (è capitato ad una mia amica, che purtroppo, dopo la morte della madre, è in lite con i frateli che contestano le ultime volontà ).
Ma è meglio, come si dice, lasciare tutto in ordine.
Mmm, no. Non credo che vi dirò il codice del bancomat... per quello vi dovrete arrangiare!

Il testamento di A.D. (l'altra me)

-->
TESTAMENTO
Miei cari adesso io non son più là,
son eco del passato, è divertente!
pensar, che quando allora scrissi
dicevo poco, e significava niente.
Ma Vi prego adesso di restare
per un poco ad udire le mie prose,
non perché venga a disvelar segreti
ma de’o partir per sponde più gioiose.

Nel prepararmi a lasciarvi, tuttavia
un po’ ho paura, il cuore batte svelto
vi scrivo e logoro la viltà mia:
io starò bene, perché ho già sofferto.
Poi mi par più l’ansia d’andare sola,
non rivedervi e non riudir parola
da voi che sacramente alla mia vita
la vostra accordaste, con bontà infinita.
E credo, giacché parlo supponendo,
dicevo, credo, che morendo
finalmente m’è riuscito realizzare
quello che viva potei già sognare.
Insomma,che esperienza, e cosa dire?
Infine Sono! e m’è tocca’ morire!
E allora: de’ miei oggetti, e del denaro,
vile gioia, fate voi, non mi fu caro,
ma se restasse qualcosa ancor di buono,
del corpo mio, datelo a un altro uomo.
Vi prego (cari) date voi per tutto quanto
io non riuscivo, seppur volevo tanto.
Ma lasciate, quando sarà tempo,
andar lo spir’to mio che già da adesso
mi par d’ascoltare ogni momento
chiedermi, il burlone, quando? posso?
Ancora no, sovente gli rispondo,
ma quanto? non so dire sia
il tempo che m’è dato al mondo
dunque m’appresto a finir questa mia.
Di quest’umile vaso che trattenne
l’anima mia accanto a voi per tanto,
dopo aver il ben ‘servato dato via,
dissolvetelo! vegliarlo non é vanto.
Ardevo, io, e dunque sia bruciato
e la cenere d’attorno sparpagliata,
del mio elemento, così sarò la dama;
tornerò al mare, che mi fu fratello,
ed alla madre terra che reclama
quel che con vita aveva reso bello!
Ma il flusso eterno del riflusso al globo
vi prego non bloccate col cemento,
qualor sepolta mi voleste in qualche luogo
sia senza bara, e dove passa il vento.

Cos’altro resta, se non le mie parole,
ma quelle dette giacciono, e son vostre,
così vi chiedo ancora, per finire,
nel condannar di non volervi divertire;
le azioni fatte son passate in giudicato
di cui si legga “ciò che è stato è stato”
E’ vero che ero umana, è colpa mia!
che delle tante ho scelto questa via,
ma ad i miei sgarbi, nei riguardi vostri,
pregherei trovar la spiegazione
nel fatto che, giocando sulla terra,
solo una parte aveo della visione!

E delle vostre colpe verso me?
Siete poi certi voi, d’averne avute?
io non ne vedo e so soltanto che
andando via si mutan le vedute.
Così vorrei che perdonaste adesso
la parte sciocca di coscienza ria,
che sbagliò, credendo delle offese
che la colpa fosse vostra, e non la mia.

Scusate dunque gli errori e le mancanze,
domando troppo? ancor ripeterei
di scordare litigi e dissonanze
perché v’ho amato, o non vi scriverei
quest’ultimo nostalgico, amorevole saluto
adesso che in silenzio, serena, mi trasmuto.
A voi che ‘state auguro amore e ridere,
ed il coraggio per riuscir ad affrontare
tutto quel che fa contorno al vivere,
con la gioia, il brutto ed il dolore.
V’auguro forza, e ‘scienza per conoscere
la bellezza in tutto ciò ch’è fatto;
io incespicai, ma se sbagliai nel crescere,
persi energie e mi restò poc’altro,
so ch’or la forza qui mi sarà bastante
per ritornare nell’immensità,
dopo esser stata, fra tanti, un figurante.
Che dire ancora? Addio, vi attendo là.

Addio (?) Eluana


L'argomento è difficile, ma inevitabile, perché la vita è l'unico spettacolo che dovremmo guardare fino in fondo. E quando è finito, si spegne.
Anzi, come diceva qualcuno di inevitabile ci sono solo due cose: la morte, e le tasse.
Senza la tecnologia, Eluana sarebbe morta. è Inevitabile. Non si alimenta, non beve, sembra che non possa nemmeno pensare. Quando lo sapeva fare, o almeno quando si poteva esprimere, ha detto che non avrebbe mai voluto vivere questa non-vita. Era allora una creatura con diritto di scegliere. Magari era giovane, e pensava di avere davanti tutta la vita. E lo ha detto così, per sicurezza, come lo posso dire io (anzi, lo dico!).
MA: se ora ha un anima ed "è presente", come dicono le buone suore, non ha forse diritto ancora? E se allora aveva espresso questo sentire, ed ora non è più in grado di farlo, non dovremmo rispettare il suo attestato (testamento biologico)? Come per i morti?
Quando uno muore e muore davvero, a parte che qualcuno comunque ci prova se si sente defraudato ((o nel legittimo sospetto che la persona in questione non fosse più capace di intendere...altra storia)), in genere le sue "ultime volontà" vengono rispettate.
Mi chiedo: Cosa cambia ora? staccare le macchine non significa solo lasciare che lei viva la sua scelta di vita?
A volte teniamo vicine le persone per il nostro egoismo. Ma credo che nessuno di noi possa pensare che il padre di E., che per tanto tempo si è occupato di lei, sia felice di quello che sta facendo. Se crediamo alla legge karmica, e se lui crede in quella cristiana, possiamo anche pensare che sconterà questa decisione. In questa, o in un'altra vita. Come forse io sconterò questa idea. In un modo o nell'altro. Non so come sarebbe, ma pur con un sentimento di paura (che origina nell'amore per la vita) che sostengo che io non vorrei vivere a quel modo.
Le suore, che credono nella legge del loro Dio, quello che ha un figlio preferito (e tutti noi siamo figli adottivi, mi dissero una volta. Beh, da chi ci ha adottati non me lo hanno spiegato, però), credono che si possa continuare a tenerla così. Lasciatela a noi, dicono.
Ecco. Si potrebbe dire: ma si, perché no. Mi tolgo il pensiero, mi tolgo il problema. Al massimo nell'ipotetico Giudizio finale, farò i conti con l'Abbandono, e non con l'Omicidio (del Consenziente??).
"Mi tolgo il pensiero???". Non credo.

Quello che a me sembra, è che a prezzo della propria anima il padre di questa donna (età biologica 37 anni. però non ha potuto lavorare, uscire, ridere, mangiare, toccare... negli ultimi sedici anni. Età, direi, 21 anni) sta cercando di compiere un atto di pietas.
Si conforma al volere degli dei.
L'uomo cerca di essere ad immagine e somiglianza di Dio. Ma Dio non ci fa vivere per forza; quando l'uomo si prende troppa capacità di sopravvivenza gli manda contro una bella pestilenza (TBC, Peste o Aids, l'effetto serra..) e lo ridimensiona.
L'uomo, insiste nel suo programma di perfetta Identità, continua a credere che essere come Dio significhi esistere in eterno E si pone in questo conflitto eterno.
Crede che essere come Dio significhi vivere per sempre... comunque sia.
"Comunque sia???"
Io dico che costoro, non fidano nella Provvidenza divina.

Non so cosa si prova a stare in un letto, all'apparenza senza pensieri, non poter mangiare la torta, non poter parlare, non poter guardare...
So cosa significa stare a letto senza potersi muovere. So cosa significa essere completamente dipendenti dagli altri. Ma finché una scintilla di vita si manifesta, tutto questo ha senso. Penso a Stephen Hawking. A tanti come lui.
Penso a mio cugino Handiccapato grave. Autistico. Confinato su una sedia a rotelle. Che forse non studia le leggi dell'universo, ma esprime in qualche modo fame, sete, emozioni.
Penso a uno dei miei primi pazienti. Coma apallico. 21 anni. Ma ancora, anche lui in qualche modo si relazionava col mondo. Nessuno avrebbe tolto il suo, di sondino.

So, invece, quello che un mio paziente mi raccontò: quando era in coma, lui vedeva e sentiva. Sapeva cosa accadeva fuori, e non poteva fare niente. Ma il suo elettroencefalogramma non era piatto. E quando hanno potuto staccarlo dall'alimentazione assistita (ecc.) ha ripreso le proprie funzioni. Era un ragazzo, giovane come lo ero io allora, ed è tornato alla vita che noi conosciamo.
Non so cosa prova Eluana. E per non saperne niente, so che non vorrei essere al suo posto. Vorrei esser già andata via. Se non ci fossi più.

La differenza la fa la pietas, che ci potrebbe consentire di staccare la macchina, e se lei non vive, se non reagisce, forse farle una o due fiale di morfina e non farla soffrire, mentre se ne va.
La medicina fa passi da gigante, ma questo problema non lo ha ancora risolto. NON riporta in vita i morti. Non ha ancora creato il mostro di Frankenstein. E non penso certo a Frankenstein Junior.

Menre io mi chiedo se sarei in grado di prendere una decisione del genere, per una persona che amo, la bioetica si chiede e ci chiede di dire no, all'accanimento terapeutico. Quando aveva l'emorragia, a Eluana, l'avrebbero lasciata morire. Ed è sopravvissuta.
Questo potrebbe portare a sostenere la tesi contraria a quella che ho espresso fin qui. La vita prende il sopravvento, anche così?

mercoledì, novembre 12

Il ritorno (non togliere la glassa 3)

"Solo gli stupidi non hanno mai paura".
Chi lo ha detto non lo ricordo, ma oggi, a quanto pare, sono meno stupida del solito.
Così tanto di meno. che ieri mi è venuto anche un febbrone da cavallo, all'idea.
Perché oggi, dopo circa cinque mesi torno al lavoro.
Si ha un bel dire, che ho preso freddo quando sono uscita con Bev, lunedì, in mezzo al traffico; non più abituata all'aria fresca di novembre, che sulla moto si sente molto di più, un po' di freddo l'ho pure sentito. Ma mi sentivo anche come Harry Potter sulla sua scopa, con una emozione inenarrabile che saliva dentro. In moto, quasi come quando nuoti: ti sembra di volare.
Mi sentivo come Platinì, nel traffico. Platinì, prima di tirare sapeva già dove erano tutti gli avversari, e faceva goal, perché aveva quell'attimo di coscienza che gli permetteva di inquadrare il passaggio giusto, lì, tra le gambe dei giocatori. Ho fatto goal anche io, lisciando due volte la stessa manovra che mi ha procurato l'incidente. Stavolta, pensando "questo qui davanti mi sa che gira", anche se il "questo" non ha messo la freccia, ho aspettato a sorpassarlo. E infanti ha girato. Come cinque mesi fa, quando è cominciata quest'altra vita. Solo che quella volta, ho sorpassato. Ritrovandomi a fare la macchia sull'asfalto. Io, come una macchia d'olio, impressa nel nero catrame.
Stavolta ero troppo giovane perché accadesse di nuovo. Così sono stata attenta... e molto zen.
Esistevo solo io, la moto, le auto, l'aria, il sole... si, sembra che stia dicendo che ero attenta a tutto, e infatti è così. L'unica cosa che mancava erano pensieri che distogliessero da ciò che stavo facendo. Insomma, pari ad un "quando mangio, mangio" e nient'altro, stavolta mi sono ricordata di non togliere la glassa.

Ciò nonostante, qualcosa è stato in agguato, sotto l'attimo perfetto. Qualcosa di profondo ha lavorato, scavato, colpito. E ieri mi sono dovuta fare l'ultimo giorno di riposo... a riposo. Volevo fare delle belle cose, volevo vedere un amico e andare a mangiare un gelato; magari andare a vedere una mostra, come se fosse domenica. Perché oggi è di nuovo lunedì. E per la prima volta, dopo cinque mesi, ha suonato la sveglia, alle cinque, e stavo ancora dormendo.
Oh si. l'insonnia mattutina ha provato, come tutti i giorni, a farmi svegliare alle tre e mezzo. Ma ho dormito di nuovo.
Ora sono pronta. Un po' febbricitante, ma non importa. Ho deciso di andare, perchè è anche vero che si dice che i coraggiosi, sono quelli che vedono il pericolo, e gli vanno incontro comunque.
E tanto, se stessi a casa anche oggi, anche domani, non avrei meno paura di ricominciare.