lunedì, novembre 19

Partire, per tornare a casa.

C'è stato tutto questo tempo, in cui non ho scritto (qui). Ho telefonato, navigato in internet, esposto una relazione in un convegno...
Come dico sovente, ho "fatto".  E "fatto" significa aver concluso un desiderio; che poi accada ancora o solo si disgreghi nella memoria, è compiuto. Lo lascio andare assieme ai capelli, e alle prime foglie d'autunno. Quelle, giallo oro che si arrotola sulle curve dell'aria; quelli, bianchi e castani sotto i castagni gialli, biondi a tratti per finzione e sempre più lunghi, incolti e incustoditi, si arricciolano felici attorno alle orecchie, e mi sussurrano di non aspettare ancora.
Ecco, finzione è questo dar colpa (o merito) ai miei capelli, perché ne dico sempre che sono le mie emozioni animate;  vivono da sole sulle colline dei miei pensieri; educati e sottili, quando credo di aver poco da fare, poco a che fare col mondo. Robusti e dispettosi altrove, o forse da quando qualcosa, qualcosa che ho detto credo, li ha impregnati e resi decisi a ripetermi senza tregua che non si può arrivare a quegli ultimi trenta secondi, senza aver reso perfetto l'esercizio.
Senza aver reso perfetta la vita! Il che significa non altro che "fare il meglio possibile". Il che significa anche, smettere vagheggiare un sogno, un rimorso, una meta, e invece muoversi. Arrivare là, che poi è sempre qui, fare il giro della boa e lasciarsela indietro.

Così, calo un remo nell'acqua, alzo il remo dall'acqua. "Fatto", penso. So che il pensare mi ha distratta dalla prossima pagaiata, e mi riprendo il silenzio. Rimetto il remo in basso, spingo. Avanti.
I capelli eccitati dall'acqua si espandono come antenne al cielo, e mentre resto sulla mia stessa scia, sospinta dallo sforzo appena avvenuto, lascio che sfondino il limite tra la mente che brama mete fisiche, e quel SE' più grande, che accarezza il cuore e gli ammorbidisce le emozioni, trasformando le istanze dell'io in una potenzialità di crescita.

E questo viaggio immaginato, presto sarà un "fatto". Lo credevo impossibile, ho sempre rimandato a dopo... Finché mi sono detta "dopo di che?".
E non sapendo rispondere più, a quelle razionalità fifone che mi avevano fatto attendere, riconosco che non vado a cercare nessuno, a dire il vero, ma ho trovato una scusa per raggiungermi....
qui, dove sono ora, ma percorrendo una strada che sembra lunga quanto tutta la terra.
Che gira attorno alla Terra.
In attesa si chiudere la valigia, e ruotare il mondo per trovarmi, dall'altra parte a testa in giù (?!), giro la terra dei vasi con le dita. E poi giro le dita, e lascio cadere un seme nella terra.
E poi mi giro, e gli do le spalle,  sapendo che ritornerò quando, morto il seme, nasce il fiore.