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domenica, settembre 28

IL VIAGGIO DELLE MERAVIGLIE -part 1 -102 cose da fare nella vita (36-37)


  Il viaggio delle meraviglie (Sicilia 2013), è iniziato così, dietro ai "sassi": quelli di Matera e quelli del cuore. Nascosta bene, sono partita per la Sicilia con una musica malinconica nel cuore, e una chiassosa colonna sonora fuori, per riempire lo spazio fino alla città che mi aveva quasi ossessionato tanto era il suo ricorrere nelle storie degli amici. E sia, mi sono detta, passerò di là. C'è sempre un motivo, per quel che ci accade, e gli eventi che ci accadono li attiriamo noi...ma talvolta solo dopo, o se siamo fortunati durante, ci accorgiamo di quello che possiamo imparare.


  Esco a (lume di) Candela, dal mondo delle autostrade, e mi infilo come un filo di sottotrama nelle strette anse delle deviazioni di campagna, fino a che mi riempio di un senso di esser perduta che non si contorna di ansia e di paure, ma di una allegrezza leggera: come se incedere sia un tornare indietro, cancellando le cose già scritte.





MATERA
  -36: lavorare la prima sera di vacanza per scolpire un nuovo percorso.


  Proprio là, dietro al ristorante che era stata la penultima scelta, s'è fatta l'ultima. Guardando il s'or Fedele in cucina, che spadellava-serviva-prendeva ordinazioni, perdendo i clienti che si stancavano di aspettare troppo a lungo, l'idea m'è sopraggiunta dall'anima mia, (il piccolo cortese suggeritore, sempre pronto a sollevare la valigia a qualcuno in difficoltà): 

"Le serve una mano?", ho sentito dire la voce della mia anima intera-a-metà. 
  Lui, il s'or Fedele, mi guarda come se fossi matta; eppoi, quando mi vede salire per andare a mangiare sulla scala dei "due Sassi" che aggetta sulla piazza dove cerca di soddisfare i pochi clienti seduti a tavolo, mi dice: 
"ma che fai?". 
"Vado a mangiare.. o le serve aiuto?" gli rispondo, io che sono una dei clienti che se ne è andata, e che dopo questo ("e si, dai, dammi una mano!") divento la lavorante di una sera.

  Ecco, il viaggio inizia così.


 












 37- "Vuoi mangiare?" mi chiede ogni tanto, "finiamo quel che abbiamo iniziato"rispondo.
  Il s'or Fedele mi ha "ripagato" con formaggio e vino e frutta, e ancora una cena il giorno dopo, oltre a quel che gli ho lasciato da spazzare da sotto il tavolo del ristorante: tutta la malinconica stanchezza che ancora sembrava starmi sulle spalle.

  Così alleggerita, riprendo il movimento per raggiungerti a Villa San Giovanni, inizialmente senza fretta: io e tutta la mia tecnologia rallentiamo sul brano "I take a letter Maria", quando comprendo che i limiti di velocità sono fatti anche per poter ammirare il paesaggio (e che le piazzole di sosta non sono mai nel posto giusto...per fare una foto).

 38- una sosta non prevista (per un bagno improvvisato)
.... Eppure un punto di sosta lo trovo, e mentre mi fermo per gettarmi nel mare per potermi portar dietro il sale piccante della Calabria, Vecchioni, o forse il cuore mio cantano a Dio, e a te, "guardami, io so amare soltanto come un uomo, guardami, a malapena ti sento e tu sai dove sono". 
  Però sono presente. Sono così presente che lo so benissimo anche io, dove sono.
Epperò... guardami, Dio, che devo essere a Villa entro le 13 e 30, o la rosa di plastica che tengo in macchina appassirà senza essere consegnata. Guardami Dio, ripeto mentre mi lancio sulla Salerno-Reggio Calabria a tutta la velocità consentita dalle curve e dal silenzio che, essendo ormai settembre inoltrato, la precorrono inseguiti dalla radio che canta le mie canzoni preferite, dalla mia voce e dal ricordo di quella volta che cantavamo solo io, mamma e Lo', sulla strada per Granada.

  -39: stavolta sono io che muoio (venire a prenderti, per ri-saperti qua).

  Mentre pigio l'acceleratore sull'ultima uscita, ho di nuovo la sensazione sotto al piede della serpe schiacciata (sopra i Sassi, quelli veri), che m'accresce la baldanza poiché la paura è giunta solo dopo la reazione, e mi risveglia l'attenzione, perché in quel momento ero così distratta da aver dimenticato che i piedi, anche se la testa cerca tra le nuvole l'orizzonte, devono restare sempre saldi a terra.


O, per l'appunto, sull'acceleratore, perché "tutta la storia non vale il tuo bacio di una sera" (R.Vecchioni), e io devo arrivare qui. Ora. 
  Ti trovo grazie ad un papà che, come faceva il mio anni fa, porta il figliolo a fare un giro in moto, nel sole ardente dello stretto di Messina, dove il mare è sempre dentro, e gli uomini chissà, forse per questo, sembrano più liberi.

  Uomini che a Trapani sono marinai di terra fra due mari, qui sono uomini di mare fra due terre. 
Uno strano puzzle, di apparente durezza e diffidenza che si scioglie in una gentilezza comprensiva: forse perché riconoscono nei miei, come li chiamavi tu, "occhi di cielo", quello che ci sta sopra. Infondo, noi lo sappiamo bene, sono la stessa cosa, e qui si toccano.
  Un po' come noi ("io il tuo cuore sulla terra, tu il mio nei cieli"):
  "...and now we standing face to face, isn't this world a crazy place....", ti sussurro, mentre il tempo scompare completamente, come se aver spento il quadrante dell'auto avesse sospeso il conteggio anagrafico, e riportato tutto a quella volta in cui ci siamo incontrati la prima volta. 
  E poi tutto ricorre avanti fino a qui, dove sono io che muoio, e forse è per questo che ricordo tutto così bene. 

  C'è uno spazio sospeso e non ben collocato, mentre volto le spalle alla terra-attaccata-alla-terra, salgo sul traghetto, e vengo rilasciata dal ventre della metallica balena della Tirrenia sull'isola che c'è. 
E qui teatrando Venere che solca la spuma lasciata dalla nave sul mare, raggiungo una nuova interezza dopo l'ennesimo apparente confondersi del dentro e fuori, di me e te, di buio e luce (WaHe GuRu), perché nessuno esiste senza l'altro, 
Rinasco ancora una volta, e inizio un altro viaggio.










martedì, luglio 2

un lunghissimo addio e qualche scusa (a Nino Hawk)

  E' passato moltissimo tempo, amico mio
dalla prima volta che ci siamo trovati faccia a faccia e ci siamo scoperti entrambi due metà di uno. L'intero, come sai, alla fine dovevo essere io, ma solo perché sono quella che è rimasta: senza bisogno di sfidare la morte, ma sfidando la vita ogni giorno, cercandola sulle dita, fra i corpi e le anime che mi si muovono intorno riempiendomi sempre più di loro e loro, riempiendosi sempre un po' di me.
  Non rimani mai, se non puoi cavartela. E per potertela cavare, che tu lo sappia o no, devi essere tutto intero. E perché io fossi intera, tu sei andato in pezzi;  perché io potessi rimanere qui, intera... a metà.
  Tu la mia gloria nei cieli, io il tuo cuore sulla terra. Ricordi?

  Ricordi, lo so. Lo so, perché ora che siamo tornati uno solo, tu quel pezzo di anima che mi doveva lasciare affinché mi fosse reso, so che quando ti parlo parlo con me.
  Ogni mio dolore, ogni solitudine sembra essere la tua assenza, ma è proprio questo: è la mia solitudine quella che affronto. Con cui mi confronto, faccia a faccia, e che se fossi diversa da quella che sono, intera a metà, mi spaccherebbe non in due, ma in mille, pezzi, pur cadendo da un punto meno alto di quello che ti è servito perché l'eco e i frammenti arrivassero fino qui.

 La mia solitudine è quella che affronto quando ricordo il primo viaggio che abbiamo fatto insieme, "il viaggio Nino", come lo chiamasti tu, e quello di mezzo, l'ultimo viaggio fisico per arrivare a lasciarti sul confine dell'ambasciata, prima dell'ultimo abbraccio, e molto, molto distante dalle ultime parole che ci siamo detti, dai sogni sussurrati o forse solo sognati.
  E' di questo che volevo scriverti, anzi, dell'unica cosa che non ci siamo detti.
  Perché non sai, che pensavo che se fossimo caduti dallo scooter saresti rimasto qui; e sono stata attenta attenta, 'ché temevo che ti saresti arrabbiato, se ci fossimo fatti male e tu avessi perso il volo. Ti saresti sicuramente arrabbiato, sottovoce, come parlavi tu, ma probabilmente ti saresti così arrabbiato che ci saremmo spezzati, e so per certo che non saresti ancora qui, e io sarei solo metà.
  Ma ti chiedo scusa, perché non ci ho nemmeno provato.
 
  E ti chiedo scusa perché credevo che la morte fosse romantica. La morte di Ayrton, ricordi? la morte ti lascia spesso perfetto, agli occhi di chi resta. E quando ti sei detto tutto, anche quest'ultima piccolezza, ti lascia vuoto e immerso in tutto quello che di bello riesci a ricordare, ma anche a trovare altrove, purché ti rammenti tutta a bellezza di quella perfezione che hai vissuto.
"non c'è niente di romantico, nella morte".
C'è, ma non lo sai, pensavo. E non lo sapevo nemmeno io. E ti chiedo scusa, perchè non ti ho spiegato... che non è solo romantica, è anche dolorosa. Per chi resta naturalmente, finché tiene tutte le cose fuori, anche quelle che devono per forza stare prima dentro e poi uscire, come il dolore e la solitudine.

 E' stato così, lo ammetto. Anche per me, con tutti i corsi che ho fatto, e con tutta la forza che ho messo nelle meditazioni per permetterti di andare. Quaranta giorni. Poi ancora ogni 15 del mese. Poi solo scrivendoti addio sulla tua foto, con quel piccolo mantra akal akal akal.
Preferivo Wahe Guru, ma questo lo sapevi. Così una notte sei tornato in sogno, per riportarmi in volo. Per farmi capire che potevo volare, tenendomi ben stretta, proprio perché tu sei il mio cuore nei cieli, e io la tua gloria sulla terra.
 Sei tornato, non in modo tormentoso come quel fantasma della storia indù, della moglie morta che minacciava il marito e lo ossessionava perchè non si trovasse un'altra donna. Alla fine il maestro gli disse di raccogliere dei sassi, e chiedere la fantasma di contarli; gli disse, il maestro, che se il fantasma avesse risposto significava che era vero, e che non avesse risposto significava che era la mente dell'uomo a crearlo. Il fantasma non seppe rispondere, e non apparve più.
  Sei tornato, come quel fantasma, parto della mia mente, ma per dirmi che andava tutto bene. Per dirmi che finalmente eri libero di volare, anche se ti avevano tenuto tra gli aerei tutto questo tempo; e io ho smesso di meditare, perché il mio cuore ha saputo che tutto è stato fatto.
  E' perfetto, e anche se la mente si ostina a dire no, è giusto. 
 
  Amico mio,
questa mattina ho chiuso la valigia dei ricordi e non è rimasto fuori proprio niente. Nessun dolore incastrato nelle serrature, nessun pezzo di racconto dimenticato nel cassetto, nessuna immagine che non sia quella dello specchio, dentro la mia anima.
 Una immagine che, in fondo agli occhidicielo, ha la sfumatura castana che ho imparato nei tuoi. E nel vestito che indosso come pelle, un po' delle cose che ho imparato da te. E fra i miei capelli, ha quel piccolo vento delle altezze che li rende sempre un po' scarmigliati.
  Ho chiuso la valigia, e l'ho lasciata a terra, perché tutto quello che mi serve, lo porto indosso.
Non metà di uno, ma intera a metà, stringimi bene le cinghie, che ora ricomincio il viaggio.


intera, anche a metà

giovedì, luglio 5

Alla ricerca di te


Nessun libro mi legge il contorno
del lato che tieni nascosto;
a prua di navi in transito, m'inganno
credendole talvolta l'arca, e a volte
l'ancora che mi riconduce
alla partenza, se smarrisco la rotta.

Una rotta che avevo accennato
e che ora si scrive da sé, inducendomi
a doppiare il capo, abbastanza lontano
da vedere ambo i lati in un volto,
mentre a volte mi schianta naufraga
sulla costa di un profilo solo.

E mi perdo, non sapendo ricordare.
Mi perdo la via del tuo cuore
tra le onde che spazzano il mio
irridendomi con pochi riflessi.



giovedì, giugno 14

Il dentro di dentro (racconti diversi)

Sono seduti più distanti possibile,tra parole che non sono che un confuso orizzonte,verso cui gli sguardi si spingono senza vedere altro che una leggera nebbia. 

Lo immagino ancora, anche se siamo fermi qui da sempre. Un bacio. Di appoggiare le mani in perfetta libertà, senza il timore di stare troppo fuori per educazione, o di perdermi troppo dentro, o di rimbalzare sulla gomma dura del suo bozzolo.
"Si, ma altro che farfalla. Questo è un elefante, dentro una formica che crede d'essere un gigante. E poi nemmeno, perché le formiche fuori hanno la corazza. Lascia stare il dentro. Dentro siamo tutti uguali, alla fine, anche se... Ma le formiche fuori hanno la scorza dura. Non mi importa se si schiacciano, dentro, te l'ho detto, siamo tutti uguali. Questo però, lo schiacci anche senza le dita."
Dentro è molle come un leprotto.
"non ha la velocità, del leprotto. Solo la paura."
Mi avvicinerò, come si fa col gatto. Terrò la mano tesa per toccargli il pelo lucido lucido, ma piano, per vedere come reagisce.
"hahaha, allora non tendere la mano"
Cosa posso fare?
"Lascia le dita rilassatate. Deve venire lui da te. Non hai ancora imparato come sono i gatti? E non importa, se dentro la formica c'è un leprotto. E' lo stesso con i leprotti."
Quello che sta fuori, sai, credo sia come il dentro.
"non mi dire che stai guardando."
Si, è lucido, anche dentro. E morbido. Oh, vorrei che fosse un gatto, ché almeno saprei come comportarmi. Terrei la mano morbida, e aspetterei che ci arrivi dentro. Come quando immagino.

"Sotto il pelo, è fragile come la porcellana, non è nemmeno una formica."
Stai parlando del dentro, di nuovo. Quello che vede lui però. Io parlavo del dentro di dentro, quello che non vede.
"Lo hai notato mentre ride? Quando come te è senza limiti, senza nessuna barriera?"
Si, dentro al dentro. Dentro la formica che sta nell'ippopotamo.

Si tengono le emozioni nelle pieghe del tovagliolo, mentre sorseggiano un finale alla rosa.

"non era un ippopotamo".
Bene, fai conto che lo fosse. O che lo sia, ora.
"ora non lo vedo"
Ti distrai. Io invece no. Lo immagino, e quando lo immagino lo vedo dentro al dentro, ma fuori è un ippopotamo, con dentro una formica...
"somiglia alla storia dei nuclei. Quello che vedo quando apro gli occhi due volte."
Si. Quella che vedi quando siamo insieme, quando osservi invece di preparare solo gli ingredienti, la preparazione, la torta finita, e la bocca che la mangia. Tu lo sai già, come andrà a finire. Io riesco solo a far la lista della spesa.
"Come i nuclei, quindi".
Si. lo hai già detto. Tu diresti che c'è l'acqua, dentro. Ma adesso guarda: dentro l'ippopotamo c'è una formica, con dentro un elefante.
"quindi il gigante c'è davvero".
Se vuoi. Tutti sono dei, e tutti sono giganti. Lui è un gigante..
"Te lo concedo. Allora, tiene in mano un fiore rosso".
E' quello, che voglio.
"Non è tempo.  Lo tiene, si, ma da dentro. Non sa nemmeno come si donano le cose. Sei sicura di voler aspettare?"
Ho visto dietro gli occhi; dentro, anche se potrebbe tenerlo in mano, c'è il fiore rosso.
"Un gigante con un fiore rosso."
Quello, si.
"Ma davanti lo sai, ci sono ancora l'elefante, la formica e l'ippopotamo. Era più semplice, con i nuclei".
I nuclei non sanno niente dei fiori.

Lui allunga la mano, le sfiora le punte delle dita, e dove si toccano il rosso sale alle guance, e trasuda dal cuore; e celandoselo in un'ombra del palmo, il gigante senza saperlo, lo lascia battere per un momento fuori da tutti i suoi petti. 
Lei allunga la mano e si infila la notte al posto dell'orizzonte. 
Con il fiore che ha visto, a trattenerle i capelli nell'attesa.



domenica, dicembre 18

Premessa...

Appartenermi vuoi davvero, amico mio?
Tu di nessuno sei, se non di te,
e aneli me conoscer seppur ora,
neppur hai il cuore tuo veduto ancora.
Conoscilo e per prima cosa afferra
la tua prima materia da mutare,
i tuoi metalli tutti, la tua terra
dall’emozioni erosa, che son mare.
E l’aria, che l’animo compone
col fuoco riscaldare devi, piano,
poi mesci tutto ciò nel calderone,
è questo che noi maghi trasmutiamo!
Ponendo il detto sopra a cucinare,
raccolto il materiale da te stesso
vedrai come d’incanto t’apparire
che tutto ti compone pure adesso
che tu cercando vai nell’altrui cuore
il paio, l’altro, che ti dia l’ “Amore”!
Ancora appartenermi non vorrai,
ne’ me vorrai tenere tanto stretta
poiché formando il filtro scoprirai
che dentro ha(i) l’infinito che ti spetta
se immobile al tuo posto non ristai
e muovi, pur muovendoti giammai!



Benvenuti, nuovi lettori, e cari amici "vecchi", 
che passano, aspettano cercano; ciascuno di noi ha dei momenti in cui scrive altrove, in camera esterna se posso dire, e sospende il racconto di sé; ma non dimentichiamoci mai. 
L'attenzione ora, è verso un fuori, che mi sta dentro come un'appartenenza, che però (così avevo auspicato in questo scritto anni fa) non è un possesso egoico.. (e così sia), ma un'espansione di coscienza. 
 

mercoledì, dicembre 15

Lettera a Fidel (perchè Platone è morto)

Carissimo Fidel,
ti direi se fossimo ambedue del popolo, e lo siamo...
insegnami come si fa la rivoluzione!

Sappi che come Leader Maximo non ti posso approvare completamente, perché sono sempre stata sostenitrice della democrazia: del governo del popolo. Che forse hai un po' travisato, e pertanto molte cose fatte sono discutibili.
Eppure... eppure il tuo governo distribuisce gratis le medicine per il cancro, e passi per il tuo popolo con gli infermieri pagati dieci dollari l'ora, esentasse, s'intende (e ci mancherebbe!), ma vengono date gratuitamente anche agli stranieri muniti di cartella clinica del malato, che vengono fino alla tua bellissima terra, dove i poveri sono così poveri che non sanno nemmeno che esiste l'Italia. 

E' questa la via? dopo l'Embargo che a ragione avvinghiava il tuo paese, ma non è così che si cambia un governo, stai invadendo il mondo con il veleno di uno scorpione blu, che però, omeopaticamente?, sembra far bene. 
Il mio senso di SmilLila  per il complotto potrebbe anche pensare ad un preventivato sterminio, ma qualcosa mi dice che il comunismo ha il suo ben fare, come tutti i governi. Persino il nostro, che prima o poi, di destra o di sinistra o di Terzo polo che si tratti, provvederà di sicuro a smerciarci il farmaco; pagando, s'intende, ma solo per non aumentarci le tasse.
Mah! in fondo non è ancora certo che funzioni... però la tua rivoluzione si!
Ho conosciuto persone che ci vogliono tornare, a Cuba. Non so perché, forse è il richiamo della terra madre. Forse è che, alla fine, cinque libbre di riso al mese sono sufficienti come merce di scambio per essere curati gratis, anche se hai le braghe con le toppe. Seppure hai le braghe.

Carissimo Fidel...
Tu le classi sociali le hai abolite, almeno nel senso economico del termine (così mi dicono). Tutti guadagnano ugualmente, e possono studiare gratis, per la carriera che si scelgono. Poco importa se costringevi le hostess d'aereoporto a portare dieci centimetri di tacco, rovinandogli la schiena. Tu mica hai fatto il medico: hai fatto la rivoluzione.
Platone è morto ormai da tempo, ma anche lui poneva un ideale di città dove vi fosse ciascuno col suo ruolo, e la giusta paga.
Gli operai alla fine, devono essere soddisfatti, che siano sacerdoti o re, medici o giullari, sempre operai sono.
Lo vedi che qui da noi serviresti tu? I nostri operai scioperano così spesso, ed anche gli operatori sanitari, di volo, di mercato... che vien da pensare che qualche problema ci sia, nel nostro sistema liberista.

Carissimo Fidel...
d'accordo che Platone non amava i tiranni, eppure mi pare che in comune, almeno sulla linea di partenza, aveste entrambi a cuore l'interesse del popolo; se il tuo piano originale ha un po' deviato, il Filosofo d'altronde non ha mai portato a termine il suo!
Qui, invece, ci troviamo con un problema assai più spinoso di uno scorpione, benché forse, omeopaticamente, ce lo meritiamo (e arrivo quasi al punto): io eleggo un rappresentante, pensando che possa fare i miei interessi, in linea con un ideale... e quello mi suicida l'ideale (ma forse è eutanasia), volta le braghe, all'occorrenza double face e magari di gran marca, e se ne va con qualche altra corrente; come se quella antartica di questi giorni non bastasse.

Mi si ghiaccia il cuore.
E meno male che non si va alle elezioni, perché anche le dita ne risentono.

Carissimo Fidel. 
In attesa che tu venga ad insegnarci la rivoluzione, io continuerò ad occuparmi di quella interiore, sperando che basti e fidando in Plotino (allievo di Platone, ma ahimè già trapassato), il quale sosteneva che "agli dei bisogna farsi simili, non agli uomini dabbene. Non essere senza peccato, ma essere un Dio, è il fine".
La via è assai lunga, e non esistendo né Eurostar, né tanto meno voli low-cost, occorrerà del tempo. Nel frattempo terrò presente che nessuno, nemmeno tu che per la libertà hai lottato, pur dimenticando nel tempo la via per arrivarci, può cambiare le cose in alto se non le cambia in basso, perché sopra e sotto si equivalgono. Lo dice anche il Padre Nostro, che qualcosa di rivoluzioni ne sa: "come in cielo, così in terra".

Carissimo Fidel
senza andare a scomodare Quello, un certo saggio diceva "dalla comprensione di come si produce il disordine deriva naturalmente l'ordine".
 E, ancora: "la totale libertà interiore...esiste solamente quando non siete impegnati, quando non appartenete a qualcosa, quando siete in grado di rimanere completamente soli, senza amarezza, senza cinismo, senza speranza né delusione...".
Si chiamava J. Krishnamurti, ed è morto anche lui.
Ma io e te, allora, che futuro abbiamo?