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domenica, novembre 15

Continuando ad amare.

Continuerò a cercarti,
nei sassi e nei fili d'erba, nell'oceano e nella goccia,
nel vento e nel respiro, nel fuoco e nella scintilla.
Continuerò a cercarti,
dovessero volerci altri mille baci, mille altri inganni dei sensi,
tenuti accesi, e totalmente persi di te, nei nomi con cui ti chiamavo.
Continuerò a cercarti,
nel pieno e nel vuoto, nel dietro e nel fuori,
nel davanti e nel dentro, nel sopra e nel sotto,
a nord, a sud, ad ovest, ad est.
Nello zenit e nel nadir del mio cuore,
già tre volte creduto uno di due, che si era fatti uno.
Nel mio cuore creduto tuo, del nome con cui ti ho chiamato,
Continuerò a cercarti,
perché non sei mai stato via a lungo, e sei qui, perfino ora
che ti sto errantemente anelando.


Per questo, continuo a cercarTi.
perché ti perdo nella stoltezza del mio desiderio umano
di leggerti in una forma, per poterti toccare.
Ti perdo nella schiavitù del mio desiderio umano,
di percepirti solo con i sensi che riconoscono le cose.
Ti perdo nella povertà del mio desiderio umano
di possederti come un tesoro, per contare di averti.
Ti perdo nella guerra del mio desiderio umano
che credendoti da me separato, lotta per conquistarti.
Ti perdo nel deserto del mio desiderio umano
che se non ti vede intero, crede che tu non sia.
Ti perdo nella bruttezza del mio desiderio umano,
che parla con parole che non hanno spazi e silenzi.
Ti perdo nella morte che è il mio desiderio umano
che si perde nello sconforto, ingannato dal tempo.

Continuo a cercarti.
E nella sapienza di una luce che brilla dietro la pagina,
nel governo dei sovrasensi che spremono l'impercettibile,
nella ricchezza del riconoscere l'oro puro dell'anima
che forma le cose, senza perdersi nella forma che vedo,
nella pace del sentirti dentro ciascun respiro, seppur non mio,
nella fertilità del pensiero che sale fino a rompersi per recepirti,
nella bellezza che è in ogni immagine, prima che se ne faccia cenere,
nella vita che scorre senza fine nella sua fine dal suo principio,
ti troverò.










domenica, settembre 28

IL VIAGGIO DELLE MERAVIGLIE -part 1 -102 cose da fare nella vita (36-37)


  Il viaggio delle meraviglie (Sicilia 2013), è iniziato così, dietro ai "sassi": quelli di Matera e quelli del cuore. Nascosta bene, sono partita per la Sicilia con una musica malinconica nel cuore, e una chiassosa colonna sonora fuori, per riempire lo spazio fino alla città che mi aveva quasi ossessionato tanto era il suo ricorrere nelle storie degli amici. E sia, mi sono detta, passerò di là. C'è sempre un motivo, per quel che ci accade, e gli eventi che ci accadono li attiriamo noi...ma talvolta solo dopo, o se siamo fortunati durante, ci accorgiamo di quello che possiamo imparare.


  Esco a (lume di) Candela, dal mondo delle autostrade, e mi infilo come un filo di sottotrama nelle strette anse delle deviazioni di campagna, fino a che mi riempio di un senso di esser perduta che non si contorna di ansia e di paure, ma di una allegrezza leggera: come se incedere sia un tornare indietro, cancellando le cose già scritte.





MATERA
  -36: lavorare la prima sera di vacanza per scolpire un nuovo percorso.


  Proprio là, dietro al ristorante che era stata la penultima scelta, s'è fatta l'ultima. Guardando il s'or Fedele in cucina, che spadellava-serviva-prendeva ordinazioni, perdendo i clienti che si stancavano di aspettare troppo a lungo, l'idea m'è sopraggiunta dall'anima mia, (il piccolo cortese suggeritore, sempre pronto a sollevare la valigia a qualcuno in difficoltà): 

"Le serve una mano?", ho sentito dire la voce della mia anima intera-a-metà. 
  Lui, il s'or Fedele, mi guarda come se fossi matta; eppoi, quando mi vede salire per andare a mangiare sulla scala dei "due Sassi" che aggetta sulla piazza dove cerca di soddisfare i pochi clienti seduti a tavolo, mi dice: 
"ma che fai?". 
"Vado a mangiare.. o le serve aiuto?" gli rispondo, io che sono una dei clienti che se ne è andata, e che dopo questo ("e si, dai, dammi una mano!") divento la lavorante di una sera.

  Ecco, il viaggio inizia così.


 












 37- "Vuoi mangiare?" mi chiede ogni tanto, "finiamo quel che abbiamo iniziato"rispondo.
  Il s'or Fedele mi ha "ripagato" con formaggio e vino e frutta, e ancora una cena il giorno dopo, oltre a quel che gli ho lasciato da spazzare da sotto il tavolo del ristorante: tutta la malinconica stanchezza che ancora sembrava starmi sulle spalle.

  Così alleggerita, riprendo il movimento per raggiungerti a Villa San Giovanni, inizialmente senza fretta: io e tutta la mia tecnologia rallentiamo sul brano "I take a letter Maria", quando comprendo che i limiti di velocità sono fatti anche per poter ammirare il paesaggio (e che le piazzole di sosta non sono mai nel posto giusto...per fare una foto).

 38- una sosta non prevista (per un bagno improvvisato)
.... Eppure un punto di sosta lo trovo, e mentre mi fermo per gettarmi nel mare per potermi portar dietro il sale piccante della Calabria, Vecchioni, o forse il cuore mio cantano a Dio, e a te, "guardami, io so amare soltanto come un uomo, guardami, a malapena ti sento e tu sai dove sono". 
  Però sono presente. Sono così presente che lo so benissimo anche io, dove sono.
Epperò... guardami, Dio, che devo essere a Villa entro le 13 e 30, o la rosa di plastica che tengo in macchina appassirà senza essere consegnata. Guardami Dio, ripeto mentre mi lancio sulla Salerno-Reggio Calabria a tutta la velocità consentita dalle curve e dal silenzio che, essendo ormai settembre inoltrato, la precorrono inseguiti dalla radio che canta le mie canzoni preferite, dalla mia voce e dal ricordo di quella volta che cantavamo solo io, mamma e Lo', sulla strada per Granada.

  -39: stavolta sono io che muoio (venire a prenderti, per ri-saperti qua).

  Mentre pigio l'acceleratore sull'ultima uscita, ho di nuovo la sensazione sotto al piede della serpe schiacciata (sopra i Sassi, quelli veri), che m'accresce la baldanza poiché la paura è giunta solo dopo la reazione, e mi risveglia l'attenzione, perché in quel momento ero così distratta da aver dimenticato che i piedi, anche se la testa cerca tra le nuvole l'orizzonte, devono restare sempre saldi a terra.


O, per l'appunto, sull'acceleratore, perché "tutta la storia non vale il tuo bacio di una sera" (R.Vecchioni), e io devo arrivare qui. Ora. 
  Ti trovo grazie ad un papà che, come faceva il mio anni fa, porta il figliolo a fare un giro in moto, nel sole ardente dello stretto di Messina, dove il mare è sempre dentro, e gli uomini chissà, forse per questo, sembrano più liberi.

  Uomini che a Trapani sono marinai di terra fra due mari, qui sono uomini di mare fra due terre. 
Uno strano puzzle, di apparente durezza e diffidenza che si scioglie in una gentilezza comprensiva: forse perché riconoscono nei miei, come li chiamavi tu, "occhi di cielo", quello che ci sta sopra. Infondo, noi lo sappiamo bene, sono la stessa cosa, e qui si toccano.
  Un po' come noi ("io il tuo cuore sulla terra, tu il mio nei cieli"):
  "...and now we standing face to face, isn't this world a crazy place....", ti sussurro, mentre il tempo scompare completamente, come se aver spento il quadrante dell'auto avesse sospeso il conteggio anagrafico, e riportato tutto a quella volta in cui ci siamo incontrati la prima volta. 
  E poi tutto ricorre avanti fino a qui, dove sono io che muoio, e forse è per questo che ricordo tutto così bene. 

  C'è uno spazio sospeso e non ben collocato, mentre volto le spalle alla terra-attaccata-alla-terra, salgo sul traghetto, e vengo rilasciata dal ventre della metallica balena della Tirrenia sull'isola che c'è. 
E qui teatrando Venere che solca la spuma lasciata dalla nave sul mare, raggiungo una nuova interezza dopo l'ennesimo apparente confondersi del dentro e fuori, di me e te, di buio e luce (WaHe GuRu), perché nessuno esiste senza l'altro, 
Rinasco ancora una volta, e inizio un altro viaggio.










venerdì, novembre 8

negli ultimi tre minuti

  Non è mai troppo presto, né troppo tardi per credere in qualcosa.
 Si potrebbe pensare che negli ultimi tre minuti, che siano anni o giorni, se non magari mesi stimati da un medico, le persone restino immobili nel loro modus vivendi, e finiscano la loro vita credendo che sia tutta qui, ingiusta o bella, inutile o eccezionale, bianca o nera o a volte ambedue.
Poi, proprio come i cattivi dei film buonisti, o quelli che "dovevo farlo" di qualche giallo considerato scadente, le persone cambiano: proprio lì negli ultimi istanti, come quando nell'esercizio di yoga si raggiunge la perfezione, appena un attimo prima che il timer suoni, così anche nella vita si scopre improvvisamente un senso, e che il senso non è continuare la vita come era, ma morirvi definitivamente, e vivere di nuovo. 
 Si scopre che tutto quello per cui volevamo restare, perché c'è sempre, pare, tanto ancora da portare a termine, non ha ragione di sostenerci nella vita perché era senza ragione, e quello che abbiamo visto essere assente, e in questo caso che racconto è (guarda un po'), l'amore, si concretizza nel cambiamento di se stessi.


IL FATTO
Il mio amico dopo, e paziente prima, ha un tumore che ha consentito ai medici di estirpargli la lingua.
"Ma.... parla?", mi chiedono di solito i curiosi, quando accenno al caso. Si parla.
Il problema, infatti, è farlo stare zitto. 
E non c'è niente da ridere, perché se fosse stato zitto, forse avrebbe saputo dire quello che gli ha dovuto erodere la lingua, perché s'accorgesse del corpo, che manifestava la sofferenza dell'anima .
Parla, ed è una persona atea fino al midollo, socievole, simpatica e di ottima cultura, che ama la musica, le donne, l'arte; amava anche cucinare e mangiare, ma questo non riesce più a farlo come prima. Si alimenta con bibitoni insapori, con dentro giusto quel che serve per nutrire un corpo a cui forse, non ha dato mai il giusto peso. Ora invece è in perfetta forma, e per fortuna, anche l'anima si sta finalmente alimentando bene, e con estremo gusto: 
amputato di una parte di sé, l'amico ha trovato l'amore di una donna, l'amore per una donna. E credo che così, in questo ultimo spazio di mesi concessi dall'ostinazione, quando per comprare un altro pezzo di vita iniziano a togliergli una parte di polmone per via delle metastasi, attraverso lei ha iniziato ad amare Dio.
E ha iniziato a credere. 
Si, perché lui, ateo fino al midollo, razionalista, pessimista per carattere o per gli imprevisti e le separazioni della vita, ha iniziato a credere.
Prima che entrasse in ospedale, abbiamo messo su una festicciola, per brindare (un po' di vino, anche se brucia in gola, riesce ancora a berlo) alla vita con la sua musa e l'altra sua salvatrice, la logopedista amica mia, in una serata calda dell'ottobre romano, nella sua nuova casa, perché non è mai troppo tardi per cercare di cambiare.
"Ci provo", ha detto, lasciando infine il vecchio padre bisbetico ad un isolato da lì, con la badante-che -riposa-la-domenica-e-il-giovedì-pomeriggio.
Ci prova anche a combinarci la cena, ma lui mangia prima, e noi ci presentiamo con i regalini e il vino, e la faccia allegra di chi in ospedale, il giorno dopo, ci va per stare in piedi, non in barella e poi nel lettuccio. 
Ci prova, a dire che sicuramente avrà delle complicanze, e noi lì a dire, maddai-di-che-ti-preoccupi-ormai-superi-anche-questa.
Ci prova a ridere, e intanto scarta la coccinella che gli ho regalato.

UNA SETTIMANA DOPO
"ehi, ragazzo,come ti senti?" gli sussurro tra messaggi e telefonate nei giorni che passano dopo l'intervento.
Bene. Sta proprio bene, e mentre lascia l'ospedale per rientrare a casa, nel pugno stringe ancora quella coccinella che gli ho regalato, perché se l'è portata dietro, che "non si sa mai": tra santini e crocifissi un ateo potrebbe anche morire, ma si può sempre credere che le coccinelle, finché restano appoggiate sulla nostra mano, siano lì per portare fortuna.
E lunga vita.

Non è mai troppo tardi, per credere a qualcosa. Io credo che l'amore, vincerà anche stavolta.

E tanti auguri, amico mio!




lunedì, aprile 23


Cari lettori e amici

è qualche tempo che non scrivo, o almeno così mi pare; ma le apparenze cambiano e di recente sembra che ci sia più luce attorno, che definisce meglio confini e sconfinati orizzonti. Che toglie definizione all'idea di 'tempo'.
   Non è solo per l'incedere leggero della primavera, pur se a dire il vero certe cose avvengono solo nella prima vera luce dell'anno. E così, vera-mente e dolorosa-mente, ho aperto ancora una volta gli occhi sul mondo e certe cose si stanno ridimensionando; stanno assumendo la loro forma reale, ovvero talmente piccola che mi pare d'essere questa minuscola farfalla su un campo di cui non può se non intuire una fine. All'inizio ogni fiore mi sembrava un mondo, ora ri-scopro che un mondo che è fatto di pollini e pistilli, di un colore e di un definito spazio, non è altro che uno di tanti, e l'inizio di un cammino che te ne mette innanzi infiniti altri. Batto le ali e avanzo, sperando che il mio giorno sia ancora abbastanza lungo per vedere tutto. Tutto ciò che si può vedere in un giorno.
Oggi, dice un detto indiano, è un buon giorno per morire.
Aggiungiamo "a noi stessi", e sorridendo lasciamo andare tutto ciò che c'è di troppo pesante; sorridiamo, dietro il prossimo fruscio d'ala, più in basso del fiore che riesci a vedere, dietro le mura di un acquedotto o di quella porta che chiamavi casa, c'è un ipotesi fior di pesco rosa, un ramo di giuda coperto di foglie  e non più traditore. Un cielo che non finisce mai!

Buona settimana a tutti!

P.S. per ben riprendere, riprendiamoci un po'... http://www.dinamicamente.net/data/materiali/didattica/dispensa%20i%20cinque%20tibetani.pdf




mercoledì, dicembre 15

Lettera a Fidel (perchè Platone è morto)

Carissimo Fidel,
ti direi se fossimo ambedue del popolo, e lo siamo...
insegnami come si fa la rivoluzione!

Sappi che come Leader Maximo non ti posso approvare completamente, perché sono sempre stata sostenitrice della democrazia: del governo del popolo. Che forse hai un po' travisato, e pertanto molte cose fatte sono discutibili.
Eppure... eppure il tuo governo distribuisce gratis le medicine per il cancro, e passi per il tuo popolo con gli infermieri pagati dieci dollari l'ora, esentasse, s'intende (e ci mancherebbe!), ma vengono date gratuitamente anche agli stranieri muniti di cartella clinica del malato, che vengono fino alla tua bellissima terra, dove i poveri sono così poveri che non sanno nemmeno che esiste l'Italia. 

E' questa la via? dopo l'Embargo che a ragione avvinghiava il tuo paese, ma non è così che si cambia un governo, stai invadendo il mondo con il veleno di uno scorpione blu, che però, omeopaticamente?, sembra far bene. 
Il mio senso di SmilLila  per il complotto potrebbe anche pensare ad un preventivato sterminio, ma qualcosa mi dice che il comunismo ha il suo ben fare, come tutti i governi. Persino il nostro, che prima o poi, di destra o di sinistra o di Terzo polo che si tratti, provvederà di sicuro a smerciarci il farmaco; pagando, s'intende, ma solo per non aumentarci le tasse.
Mah! in fondo non è ancora certo che funzioni... però la tua rivoluzione si!
Ho conosciuto persone che ci vogliono tornare, a Cuba. Non so perché, forse è il richiamo della terra madre. Forse è che, alla fine, cinque libbre di riso al mese sono sufficienti come merce di scambio per essere curati gratis, anche se hai le braghe con le toppe. Seppure hai le braghe.

Carissimo Fidel...
Tu le classi sociali le hai abolite, almeno nel senso economico del termine (così mi dicono). Tutti guadagnano ugualmente, e possono studiare gratis, per la carriera che si scelgono. Poco importa se costringevi le hostess d'aereoporto a portare dieci centimetri di tacco, rovinandogli la schiena. Tu mica hai fatto il medico: hai fatto la rivoluzione.
Platone è morto ormai da tempo, ma anche lui poneva un ideale di città dove vi fosse ciascuno col suo ruolo, e la giusta paga.
Gli operai alla fine, devono essere soddisfatti, che siano sacerdoti o re, medici o giullari, sempre operai sono.
Lo vedi che qui da noi serviresti tu? I nostri operai scioperano così spesso, ed anche gli operatori sanitari, di volo, di mercato... che vien da pensare che qualche problema ci sia, nel nostro sistema liberista.

Carissimo Fidel...
d'accordo che Platone non amava i tiranni, eppure mi pare che in comune, almeno sulla linea di partenza, aveste entrambi a cuore l'interesse del popolo; se il tuo piano originale ha un po' deviato, il Filosofo d'altronde non ha mai portato a termine il suo!
Qui, invece, ci troviamo con un problema assai più spinoso di uno scorpione, benché forse, omeopaticamente, ce lo meritiamo (e arrivo quasi al punto): io eleggo un rappresentante, pensando che possa fare i miei interessi, in linea con un ideale... e quello mi suicida l'ideale (ma forse è eutanasia), volta le braghe, all'occorrenza double face e magari di gran marca, e se ne va con qualche altra corrente; come se quella antartica di questi giorni non bastasse.

Mi si ghiaccia il cuore.
E meno male che non si va alle elezioni, perché anche le dita ne risentono.

Carissimo Fidel. 
In attesa che tu venga ad insegnarci la rivoluzione, io continuerò ad occuparmi di quella interiore, sperando che basti e fidando in Plotino (allievo di Platone, ma ahimè già trapassato), il quale sosteneva che "agli dei bisogna farsi simili, non agli uomini dabbene. Non essere senza peccato, ma essere un Dio, è il fine".
La via è assai lunga, e non esistendo né Eurostar, né tanto meno voli low-cost, occorrerà del tempo. Nel frattempo terrò presente che nessuno, nemmeno tu che per la libertà hai lottato, pur dimenticando nel tempo la via per arrivarci, può cambiare le cose in alto se non le cambia in basso, perché sopra e sotto si equivalgono. Lo dice anche il Padre Nostro, che qualcosa di rivoluzioni ne sa: "come in cielo, così in terra".

Carissimo Fidel
senza andare a scomodare Quello, un certo saggio diceva "dalla comprensione di come si produce il disordine deriva naturalmente l'ordine".
 E, ancora: "la totale libertà interiore...esiste solamente quando non siete impegnati, quando non appartenete a qualcosa, quando siete in grado di rimanere completamente soli, senza amarezza, senza cinismo, senza speranza né delusione...".
Si chiamava J. Krishnamurti, ed è morto anche lui.
Ma io e te, allora, che futuro abbiamo?






giovedì, ottobre 15

i figli che non ho avuto

Non so se si possa dire che mi dispiacesse di non avere figli. Non sono sicura. In alcuni dei miei incubi sogno, o ho sognato, di averli e di dimenticarmeli a destra e a manca; di affidarli a balie che non me li rendono; di sentirmio ricordare che devono mangiare, come le mie grasse piante da balcone, che periodicamente... metto a dieta.
Così ad un certo punto ho fatto un punto croce, sopra, ma non essendo ben capace a ricamare ho dovuto inventare, e qualcosa credo che sia andato storto.

Ci sono giorni in cui ho perfino pensato di far da me ma all'ikea non ci sono kit per queste cose, e se proprio uno dovesse scegliere i canali tradizionali tanto varrebbe farsi dare le istruzioni per costruire una famiglia.
Qualche fase conflittuale, qualche mese di relax dopo aver visto la mia amica che ha dei figli davvero insopportabili e (i genitori mi scusino la franchezza) a volte mi chiedo come mai sia sopportabile lei. Perchè si sa che i figli prendono dai genitori, a parte sviluppare doti e difetti propri. Comunqie alla mia amica voglio bene; ha una serie di doti eccellenti e nonostante i suoi figli, non solo è sopportabile ma piacevole da frequentare. Dante ha avuto ragione, quando parlava di questioni ereditarie, e come dall'albero vien fuori un certo frutto, e dal seme un certo albero... e... per fare un tavolo, c'era una volta una canzone che diceva che ci vuole un fiore.

Per fare i figli  (lo so che non è vera la storia delle api e dei cavoli, mi concedo la licenza poetica) anche.
Ci vuole quel fiore del primo appuntamento; quello dell'appuntamento in cui si deciderà che si costruirà un futuro assieme (istruzioni per l'uso non incluse); quello del bouquet che vola in mano alla prossima predestinata.
Quell'altro, che fa pensare a piacevoli momenti in camera da letto.

Niente di tutto questo, per me. Non ora almeno. Però i figli ce li ho avuti.  Concepiti nei miei momenti di desiderio, di volontà di allevare allievi per trasmettere il modo in cui credo sia giusto lavorare. Per apprendere da loro nei primi passi innocenti, dalle menti che si aprono a nuova esperienza.
Vittima di una scherzosa battuta di un'allieva, un giorno ho realizzato che in fondo tutto ciò si poteva sublimare: "mammaLila di sicuro ce l'ha", disse una ragazza alta con i capelli ricci e biondi, che non so quando sia cresciuta così tanto.

POi ieri, come a morire ad una lunga strada, e poi lasciarsela alle spalle, ho com-preso: sono figli, davvero. Figli che in questi giorni sono bravi e allegri, domani sfuggenti e casinari, preparati, curiosi...
Figli che il mio dolore, quando sono stati messi al mondo... del lavoro (laurea) ho pianto di gioia e di male, perchè forse non si faranno più vedere tanto.

E poi, un giorno che ti chiedi chissà dove è andata C., se lavora, se si ricorda il caffè e la torta della signora Nina, le coccole morali di mammaLila che ti insegna a volare e poi lascia che tu esca dal nido senza curarti più (verità dei sogni)... quel giorno C. si fa sentire, i ragazzi ti portano le caramelle o ti fanno il caffè. Ti senti un po' come a ricevere il primo lavoretto della festa della mamma.
E un po' sorridendo e un po' piangendo, credi che forse non sia tutto da buttare, e più che a quelli non nati, penso ai figli che ho avuto.

sabato, luglio 18

Desiderio e visione

Ah, per un attimo potessi stare
completamente dentro alle persone!
sentire tutto, diffondermi nell’aere
essere assieme il loro vuoto e il loro pieno!
Quale amor sarebbe allora, questo mio,
che adesso è un seme piccolo e insolente
e gioca a rimpiattino nel mio io
lasciando intravedersi poco, o niente.

Si, se potessi versarmi in una coppa
amore mio, amori miei, potreste bere
e se apparisse terminato il contenuto
ancora rimarrei, sarei il bicchiere.

Ecco lo vedo, d’argilla sembra al tatto,
io son la terra e la mano che l’ha fatto!
l’ambrato liquido che a guardar bene
lo vedi, fatto s’è come un vapore
e non lo tengo più, voglio arrischiare
di fissarlo, e restar poi nel tutto immerso ...
Mi brucia! scalda! Fa luce! liberando
l’amor se stesso, il prigioniero dell’inferno.

Poi si tace, e posso stare un poco,
perfettamente, dentro alle persone.
Sono la vita, tutto il grande gioco,
e rido, con tal gioia pel sentore
della cascata che mi sgorga dentro
Si spande. Un brivido. E muoio ogni momento.

Non uno più dell’altro, niuno e tutti
son presi in questa danza, e non la fermo
immobile percuoto il fuori e il dentro
ed amo. Un solo attimo. In eterno.

giovedì, maggio 28

cerchi d'artista

Trevignano Romano
Sono un po' triste, e un po' imbararazzata di me, come sempre quando ci s'accorge di aver perso il controllo su di sé, e delle cose... sarà che mi sono calata troppo nella parte e mi sento un po' troppo "nel mezzo del cammino" (ci siamo proprio, nella notte tra giovedì e venerdì!), e soprattutto nella selva oscura!
Leggo troppo la Commedia, come guardo troppo la Tv. E se a quest'ultima presto una scarsa attenzione, mi sto invece applicando ad aderire alle rime divine, sì da apprendere e comprendere.
Ma l'analisi spietata di me, l'idea che in fondo, pur avendo visto le parti difettate non riesco ancora a cambiarle, un po' mi irrigidisce e indolenzisce il cuore; e così mi do alla fuga, dentro infilandomi in qualche labirinto ombroso, e così fuori, fisicamente. Come si potesse lenire il disagio.

Partirò, in questi giorni. Viaggio che non era fuga, programmato regalo di compleanno che mi promettevo da anni, trovando sempre una scusa per lasciar stare. E nelle assolate terre sicule, nella mia terra, quella degli avi, e non la mia eletta patria, avrò modo probabilmente di stare molto in silenzio, di leggere mai su internet, di non smarrirmi nella contemplazione dell'orario di servizio o delle cartelle dei pazienti, punto in cui inizia il ragionamento e si perdono le sensazioni.

Ho desiderio di ritrovare l'istinto di percorso. L'odore della traccia di strada. La polvere sulla voce, per lunghe ore di vero silenzio.
Vedremo.
Intanto mi regalo una foto d'ora, allo specchio. Per compararla con quelle sorridenti del dopo vacanza.
Ho i piedi grandi, per mantenermi in equilibrio; anche se poi a volte lo perdo, e a volte li sento argillosi e deboli. Non sospingono... ancorano...
Gambe forti, che bramano un ricordo di corsa... di quelle corse di bambini però, nate dalla passione che esplode dentro, dal puro desiderio di muovere... A volte le lascio andare, e sorridono, come se gli avessero tolto le scarpe ortopediche (che indossavo da piccola).
Dal bacino in su adesso c'è qualche muscolo, poca carne, due ali attaccate alle spalle; così forti nell'immaginazione, che ormai sembra d'averle per davvero.
Avvolte attorno come una corazza più spesso (ultimamente) di quanto siano spiegate; come l'altra sera quando sono andata al Circolo degli Artisti a veder i blogger e i fumettisti, senza sapere come presentarmi. Senza sapere presentarmi.
Sono rimasta nel corpo della prima metà del cammino. Nel bozzolo che le mani, che come si suol dire a volte sono tutte e due sinistre, cercano di srotolare per tessere un abito di luce di seta.
Del mio viso non si può dire più di quello che ciascuno vede da sé, e forse, di sé. A volte appare bello, simpatico, con una espressione intelligente... altre volte...

oggi però, nonostante ieri non mi sia piaciuta molto l'immagine che ho visto e fatto vedere, fuori controllo, tesa, non cattiva ma più che irritabile, mi guardo allo specchio di nuovo, e sorrido. Sorrido con ostinazione (il mio mezzo ascendente Capricorno a volte è utile) fino a vedermi buffa, a farmi venire da ridere fino alle lacrime che cambiano il colore degli occhi. Intessono un luce diversa. Puliscono ieri col pentimento, e salando l'azzurro dell'occhio lo rendono più simile al mare.
E guardando da dentro nel mare, lo rendono più simile al cielo; promettendo una nuova trasparenza all'anima.

domenica, marzo 22

... a Trastevere

Trastevere: cuore, anzi 'core' della Roma vecchia.
Quell'angolo caratteristico, dove da un paio di sabati bazzico invertendo la tendenza allo shopping, che ci vuole nei centri commerciali, e fuggendo a bella posta il sole, che qui non arriva quasi mai.
Rimandato il 'fuori porta' alla domenica, mento a me stessa impegnandomi in una passeggiata tra i vicoli, per tenere in allenamento il cuore con un po' di esercizio aerobico. Metafore o no, la cosa funziona, e per un po' smetto di cercare compenso alle carenze affettive scrutando nei negozi. Tuttavia mi occorre un burrocacao, e lo acquisto, e si sa, '"l'appetito vien mangiando". O forse sono inevitabilmente soggiogata dal fascino del luogo, che resiste nonostante la poderosa mole di vetture che si vedono in giro. Così m'avvicino ad una botteguccia dall'aria originale...
Sospinta dal demone dello shopping dopo la rituale lieve attesa, che aumenta il compimento del piacere, di fronte alla vetrina, entro.
Avvolta, come in una sciarpa calda, dall'idea che le borse colorate in esposizione siano qualche merce sfuggita al commercio globalizzato (si osserva uno spirito originale ed estroso, nel loro guarnirsi con bottoni e fiori), e che magari potrei averne una da sfoggiare nelle serate particolari, sentendomi allegra e variopinta. Mi lascio sedurre dalle profferte di eccezionalità della proprietaria, scopro un fianco alle sue parole, mentre l'altra parte è messa in allarme dallo scivolare di un nome che s'infila tra le mani della signora e la borsa...
"Sa, sono di XXX, che a dire il vero è partito proprio dalle borse, anche se ora fa anche altro (...) vede si modifica così" [clac clac, la borsa piatta diventa 'a cestello'] "e poi ancora così" [clac clac la borsa 'a cestello' diventa bauletto] "...".
Fantastico. Sento che sarò davvero bella con questa borsa. Tutti mi faranno i complimenti, mi chiederanno dove l'ho trovata, ed io risponderò 'sai, in un negozietto vintage a Trastevere'... Unico ostacolo all'estrazione del bancomat è quella parte attenta di me che è in preallarme... 'sto XXX io non lo conosco, però la signora sembra pensare che dovrei, dato che la mia giacchetta è decisamente firmata, anche se decisamente presa a saldo. Ma Lei no lo sa; e mentre io mi scontro con me stessa e traffico con la borsa aprendola e soffermandomi, per prudenza e con consolazione sul burro cacao, mi mostra un altro modello...
Colgo la palla al balzo e ne indico una a caso sullo scaffale; in un sussurro, ben sapendo di perdere punti la parte attenta domanda il prezzo.
Basti, che dopo pochi secondi ero fuori, senza borsa (quella del negozio), e con una mano ancora ben stretta sul mio primo acquisto: il burro cacao.

Sarà stato un caso, mi dico. In fondo qui bazzicano turisti danarosi (scoprirò poi a casa chi sia XXX), e forse i pariolini quando decidono di scendere dalla zona collinare, quindi qualche negozio del genere serve ed è ben accetto... Proseguo nel giro, ma ormai la sfida è palese (e cosciente). Troverò qualcosa di trendy ed economico. Sarà mica come a S.Lorenzo, dove ormai i negozi partono da capi del valore di 80 euro, per giungere a vette non scalabili in tempi normali, figuriamoci con la crisi!
Detto fatto; si profila la vetrina di un negozio acquattato nel vicolo dove c'è il localino in cui, ricordo, ho mangiato bene e a poco prezzo. Sembra la bottega d'un rigattiere, ed i capi esposti sono veramente graziosi. C'è quel disordine che oblitera i sensi speciali (tipo il quinto senso e mezzo d'un noto indagatore), ma non la parte attenta: Quella delle due che cerca subito con la mano il burrocacao.
Sollevo l'altra, 'sfoglio' i capi appesi e pesco una magliettina semitrasparente, senza maniche,, scollata... l'ideale per il campeggio o le passeggiate sulla riviera trapanese, quando andrò ad Aprile dalla Velaia...
Bella, davvero. E il colore è perfetto. Senza staccarmi dal burrocacao (ormai squagliato, anche se nuovo) arranco sul cartellino per risolvere in solitario l'enigma del prezzo...
"70,00" dice il cartellino.
"!!!", dico io. Nemmeno fosse se fosse oro il peso della stoffa giustificherebbe il prezzo.
Inspirando, scivolo fuori dal negozio; l'espirazione s'arresta su una ventata allegra e gelida di tramontana, in un sorriso al burro cacao.

giovedì, marzo 19

Un mondo di dipendenze


Non credo d'essere la sola.
Ti svegli al mattino pensando "...mmm si, oggi mi andrebbe proprio di mangiare...". Ecco, qui il pensiero si perde. Di mangiare cosa? Da qualche giorno sono a dieta (intesa come una alimentazione equilibrata e scevra da schifezze), e ho camuffato la colazione abbondante, magari completata di una pasta punjiabi, con yogurt, mela e marmellata, togliendo i quattro biscotti (di grandezze variabili dalla ciambella al frollino).
Tanto la colazione la rifaccio più tardi, come gli hobbit.
Tuttavia resta qualche anelito leggero, in cima alla lingua. Che sarà mai, non riesco a capirlo. Magari l'idea della dieta, mi dico; quando si è a dieta un pochino occorre soffrire queste mancanze, e prendere le distanze dalla ricerca di soddisfazione nel cibo... Sarà?!
I miei pazienti cercano amichevolmente di partecipare al progetto, ma forse non hanno ben capito come funziona (io sono magra, sto solo cercando di magiare meglio), sicché, avvisati della novità, collaborano con le seguenti iniziative: lunedì ho ricevuto un cappuccino e cornetto, martedì ravioli dolci al vapore bolliti ("molto più leggeri, e nella pasta ci metto poche uova" mi hanno detto come certificato di garanzia), mercoledì una scatola di cioccolatini.
Oggi niente, quindi mi dedico al programma alimentare previsto; almeno all'inizio. L'insoddisfazione però serpeggia sottile e ironica, e mi stimola ad un piccolo sgarro, dopo aver sbocconcellato una pera; mi concedo un cioccolatino (con conseguente bruciore in bocca, sono allergica) e poi un altro (mi piace soffrire). Ancora nessuna soddisfazione. Chissà, una bella insalata con i semi di zucca, magari una cucchiaiata di marmellata di fichi (tanto vale soddisfare fino in fondo lo spirito di ricerca)... ancora niente.
Ma quando mi infilo dal fruttivendolo per acquistare le cipolle finalmente li scopro: due bei finocchi grandi, maschi, bianchi, lisci... spandono il loro odore fresco e pungente con solerzia e me lo sento riempire la bocca, come se li avessi già addentati. Comincio a salivare come un cane pavloviano.
Poi ricordo. Sono mesi che la prima colazione (beh ho le mie stranezze, e non sono poche) consiste in un finocchio fresco, che lava il gusto del caffè quando questo ha ormai saturato l'emoglobina, sostituendosi al ferro (so' pure anemica). Non ha proprio la stessa valenza, mi dicono., ma che volete, preferisco ancora" 'na tazzulella 'e cafè" al ferro, per colazione. Ve la immaginate?
Comunque sono due giorni che non mangio finocchi, perché sennò mi tocca fare un altro mutuo, con i prezzi che hanno raggiunto!
Dipendenza numero 1.

Questa settimana comunque sono proprio decisa a rovinarmi la vita. Dato che sono a dieta e ieri come sempre ho fatto ginnastica (ore 5.30, minuto più o meno), il pomeriggio sono andata in bici, stretching dopo la bici, ecc. magari mi riposo; tanto più che sto inseguendo quel sapore vago e indeciso che mi aleggia nella bocca, per cercare di trovare il sapore che manca. E' un footing particolare, ma abbastanza faticoso: provo mentalmente un sapore dopo l'altro, ma senza alcun risultato. Salto dei biscotti, slalom tra il sapore amaro delle mandorle e quello dolce dei pinoli, sollevamento del barattolo di confettura per vedere cosa c'è dietro...sembra che basti.
Torno a letto, leggo, bevo il caffè, mi faccio un giro su internet... poi cedo. Non ci riesco. Piedi sul pavimento, caracollo fino alla finestra, un bel respiro... e inizio.
In silenzio, allineando il corpo con la scena del cielo che si rischiara, in un alba incerta di nuvole. In silenzio.
Dipendenza numero 2.

Si da il caso che a volte il telefono in 'ufficio' smetta di funzionare. Così mi trovo a non poter colmare immediatamente il vuoto lasciato da un paziente che finisce le terapie... Possibile, si, anche se raro. Insomma, esco in corridoio e intravedo di lontano una signora che aspettava di essere chiamata, la aggancio (è qui per la visita cardiologica), me la porto dentro... le fisso l'appuntamento. Solo che non può la prossima settimana, allora per quella dopo... e già mi viene un piccolo buco nella testa. E in quell'ora, cosa farò?
Dipendenza numero 3.

E così via.
Non troppo interessante, se si prendono così, una per una. Insomma, neppure pericolose, a parte la dipendenza dal lavoro. Ce ne sono altre, ovviamente, anche peggiori. La cosa che mi fa riflettere è il concetto di dipendenza in sé.
Il bisogno di riempire uno spazio con qualcosa. Un pensiero, un'azione, del cibo, un vizio, Dio.

Riempire uno spazio che non si colma, è il paradosso di Zenone, ovviamente. In fondo neppure la meditazione, intesa come azione può saturare quell'istante in cui a mente si trova dinnanzi a se stessa, e non sa dove guardare. Pietrificata, fissa faccia a faccia Medusa, con la (s)consolante risposta che per sconfiggere il demone, che è ella stessa, ci vuole uno scudo da eroe con su uno specchio.

E dipende da te.