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mercoledì, marzo 6

Sse l'avesssi ssaputo prima...

Quasi quasi mi morderei la lingua, e tutto finirebbe prima di iniziare...ma come dire, non ci riesco, e una volta scoperto che "hai un'adernza in alto", proprio lì dove la lingua avrebbe bisogno di libertà per esprimerti, puoi decidere di fare due cose: chinare il capo e procedere come sempre, o prendere la solenne decisione di cambiare la tua vita. Come quando accade, e giuro! accade, che qualche "coincidenza" cambi le carte in tavola. Sarebbe da sciocchi non approfittarne per voltare pagina, o magari semplicemente iniziare a raccontare.

L'ho avuto "sulla punta della lingua" per molti giorni, questo post, e ora prende già una piega diversa. Le lettere che prima pronunciavo con indifferenza, si attaccano inseguite dall'attenzione, sul palato, nella gola, sui denti; si arrotolano placide nella lingua, si impuntano più lungamente tra le labbra mentre me le gusto.
Non le parole, le lettere. Non le lettere non scritte, ma proprio quelle piccoline come Bi, di baciare, Di di dolcezza, Elle di lontano, Gi di giocare...e naturalmente, la essse di ssincerità, ssstupore, ssorpresa...Sssi.

L'avevo sulla punta della lingua mentre l'ho "tenuta a freno", almeno per certi versi; perché chi mi conosce sa che posso parlare per ore, attorno a un argomento, ma così attorno che alla fine mi serve una mappa per ritrovarlo. E riesco a tornarci, ma è sempre tutto diverso d prima, e così posso ancora avere da dire...Ore e ore e ore.
Invece, sse l'avesssi ssaputo prima!

Oh ssi, mi ricordo gli scioglilingua che mi facevano fare: "trentatre trentini andavano a Trento tutti e trentatré trotterellando" "sopralapancalacapracampasottolapancalacapracrepa", "Sa chi sa se sa chi sa, che se sa non sa se sa, sol chi sa che nulla sa, ne sa piu di chi ne sa"... Erano un gioco in cui scivolavo con la mia esse moscia, la "sseppola" fischiata appena, che mi sono portata appresso per anni, forse per questo senza aver saputo mai dire prima con assoluta certezza: "sono al sicuro", "sei speciale", "sentimento" e soprattutto "SI!".
Ho detto sempre NO, perché era più semplice. Anche quella volta che...: "ma tu mi sposeresti?"... ehm.. e ora come glielo dico?.. beh, fa niente:"No".

Certo, lo so che non sarei stata felice, ma si fa per dire. E' cominciata così, e sono ancora qui con tutte queste curve che mi cambiano la vita, ad ogni SI che non sapevo dire, forse un po' più lontana dalla meta; forse un po' più vicina, ma sempre in scivolata, che ho paura che quando arrivo non riesco a fermarmi.

E poi un giorno c'è stato un balzo, che mi ha cambiato la vita come le coincidenze incredibili dei film. E ho deciso che avrei preso il toro per le corna e sarei andata avanti; era tutto lì pronto, con i miei guai da scavezzacollo, e il mio collo che ha retto mentre un altro si è rotto. Ho fatto un salto. E l'ho detto bene. E poi, a terra, mi sembrava tutto così facile, ma allo stesso tempo perdevo equilibrio sulle cose... "tutto o Nulla"... si, ma se non fosse solo così, mi sono detta? Se esistesse un modo...un modo per dire non "stai fermo", ma "stai bilanciato?" 
Ho cercato, e ho trovato come cambiare punto di vista: mI metto sulla tavoletta oscillante, sstufa di ssstare male, e di andare per dottori, e insomma i ssoldi, con quante esse li dici, mi piace usarli per viaggiare e molte altre cose.

Quindi... mi metto sulla tavoletta, e scendo molto più in forma, ma non mi basta ancora.
Decido di affidarmi ad un collega, che per un "ciabattino" si sa che è una impresa già di per sé abbastanza eroica.
E il buon amico, mi fa scoprire questo nodo, quassù in alto, fra tutto quello che ho dentro e tutto quello che viene da fuori. Lascio che mi tratti, e poi mi tratto meglio, esercitando questo muscolo speciale, con tante radici embriologiche e cinque nervi che la innervano; e non sto a dirvi altro.
Salgo sulla tavoletta con la lingua "a freno", ma questo significa ora che sta nel posto giusto. E scopro un nuovo equilibrio. Fisico, si, ma che riflette e mi fa riflettere su altro.
Salgo sulla tavoletta e mi diverto, a occhi aperti in equilibrio perfetto. Faccio la linguaccia e resto ancora lì; sorrido, con una esse sola.

Chiudo gli occhi, e ho ancora qualche dubbio..oscillo, mi riprendo. Apro gli occhi e sorrido sempre, con due esse: una per sorrido, una per sempre.
 Mentre a sognare magari me ne tengo ancora due, così posso farlo più a lungo.
E penso... chissà che sarebbe successo se l'avessi saputo prima... ma la prossima volta, saprò dire "stringimi", invece di "vai", "seguimi" invece di "ciao", e magari, anche "SI".

venerdì, aprile 8

FORSE NON VI PIACERA'...

L'avevo scritto, un post. Appuntato in agenda, almeno; un po' polemico, un poco spaventato, cominciava pressapoco così: " li guardo crescere, e non sono i miei figli. Non crescono in statura,  in età, quello si, ma capita a tutti; però crescono di numero e il canale del parto non è il collo di un utero, ma quello di Sicilia, dove qualcuno resta ad ammirarele stelle marine e i pesci dei fondali, quando le cose vanno male. Capita, anche in tempi moderni. Ma non sono i miei figli; non sono i figli di questa patria un po' assurda e benedetta dal sole e dai panni stesi nei vicoli, e nemmeno lavati in famiglia.
Non li vorrei come figli, almeno non quelli che sputano nei piatti tesi, e vabbene che le condizioni igeniche non sono da grand'hotel, ma mi sa che non stavi meglio a casa tua, o qui non ci venivi. Mia madre m'ha insegnato a non dire che schifo, e... sono vegetariana, ma se sono ospite di qualcuno che non lo sa, mangio anche la carne; perchè m'hanno insegnato che se ti viene offerto qualcosa chi non accetta non merita. E poi quello c'è, se hai fame mangi. La protesta sta meglio a quelli che ti stanno dando comunque quello che gli avanza negli armadi,o in dispensa, per fare spazio dentro casa mentre non ne hanno fuori per passeggiare perchè continui ad arrivare nella loro terra, anche buttato in spiaggia ( o lasciato a mare) da tutti quelli che non ti accettano. Maltesi, francesi, spagnoli ti ributtano a mare. E tu non sei mio figlio, e ti do da mangiare e tu mi bruci le parrocchie (e questo, scusa, mi fa incazzare anche se i preti non li sopporto) e sputi nel piatto.
Questo non mi piace. Questo mi fa uscire la parte brutta del razzismo, quella che ha paura di te, non quella che mi fermo a farlo passare, perchè è di colore (diverso dal mio)  e se non mi fermo io lo mettono sotto. Quello è razzismo (così come cercare di investire gli agenti dell'assicurazione ;-) ), ma almeno è un razzismo utile.
Rispetto e sostengo il desiderio di libertà, ma non pretendere che ti lasci senza lavoro e randagio, senza sapere chi sei. Perchè a me, italiana, se mi prendono senza soldi e documenti rischia pure che mi arrestano per vagabondaggio. A me, italiana e con i documenti, quando sono stata immigrata regolare all'estero, la prima frase in inglese stentato che mi rivolse un collega dopo sei mesi fu: ma tu in Iialia non lo trovavi un lavoro?
 Era un'altra situazione, lo so. Ma il razzismo, il rifiuto, l'ho sentito, e so che ti fa star male; anche se era l'immigrazione dei ricchi la mia,. senza guerra, senza povertà alle spalle. Senza galera, fammelo dire.

Lila non si barrica dietro un falso buonismo, e accetta senza remore chi viene a lavorare, chi resta a ricostruire casa propria dopo uno tsunali (ce lo vedi il giapponese che emigra senza documenti?), chi fugge con la speranza di tornare a casa. Mi fermerò pre te, non per l'avvocato in giacchetta e valigetta..."
Questo avevo scritto. E non finiva, perchè è una storia che non ha conclusione. Che rimane sospesa coi puntini sulle banchine di qualunque paese... o quasi.

...O FORSE SI?

Questo avevo scritto.
Poi stamattina è successo un miracolo. Una donna, non è prorpio una mia paziente, non ancora, abbiamo fatto solo una seduta e l'ho "ereditata" da cinque trattamenti fatti col mio collega con la voce a sussuro, che per trovare il fiato alle parole ha preso tre mesi di aspettativa,
  Ebbene, m'entra in stanza dicendo sa ho un piccolo problema, sono incinta.
Problema?


Lo sa da ieri, e ne parliamo tutto il tempo,perchè Lila ha sempre bisogno d'esperienza... e alla fine, io che non ho figli, e che voi non siete i miei figli e, al massimo,  ho sublimato con i miei allievi tempo fa una maternità che non mi è ancora concessa... alla fine la sento, quella gioia infinita d'essere più d'uno.
Di percepire la VITA che ti scoppia dentro, e che di qualunque razza o paese siamo ti trasporta in uno stato d'estasi. Mi sono commossa, e qualunque parola sarebbe troppo poco, per spiegare come si può sentire qualcosa che non si ha, come fosse proprio. Come sento la tua cicatrice, la tua guerra, la tua fame, il tuo dolore... così il tuo amore. E per una manciata di secondi, io non sono più io, ma io e te.
Di tutte le parole che ho detto, l'unica che mi resta è una parola che non ha lettere.
Che mi commuove e mi rattrista, mi allarga, vi comprende, si scaglia in alto in basso a destra a sinistra avanti dietro, perdendomi i confini in un suono muto e mi riempie fino all'inverosimile.
Poi scompare totalmente.

E poi ho pianto.


sabato, novembre 13

Pelle di pecora - pensieri d'autunno

Qualche anno fa, quando ho iniziato il periodo in cui facevo yoga, la mia insegnante aveva una bellissima pelle di pecora, per praticare; è molto diversa la sensazione che si prova nel muovercisi sopra, rispetto al classico tappetino, così decisi di comprarla anche io.
La mia pelle, però, era sempre troppo morbida, col suo pelo levato e non abbattuto secondo le linee del movimento; era un angolo soffice in cui il  corpo affondava senza prenderne possesso.
Il tempo e l'esercizio, tuttavia, mutano la fisionomia delle cose, oltre a quella personale.
Quando ti alleni ad osservare, e quando impari a farlo in silenzio, non è che poi improvvisamente ascolterai di nuovo prima la tua opinione e poi l'altrui. Ti dovresti riallenare al baccano dei pensieri, ma è tanto inutile, questo, che per lo più ci vuole una vita perchè avvenga il contrario.
Quindi me ne stavo ad osservare, l'altro giorno, quando vedo finalmente la pelle su cui mi scaravento ogni mattina per gli esercizi.
E' la pelle consunta che volevo anni fa, come quando, bambino, sogni le prime uscite, poi la patente, poi la casa da solo, pensando che ti diano più libertà, e perdi il tempo di guardare quello che sei.
M'aiuto con lo specchio, non so se perchè a guardarmi mi piaccio di più, oggi, o per piacermi di più con l'esercizio d'osservare, comunque è all'esercizio che  si riconduce il cambio di pelle.

Quella che ho sognato nuova, regalata dai miei pazienti: un abito apparentememente largo, ma stretto da indossare. Ed io ho pensato che si sarebbe adattato. Come le scarpe preferite, o quei vestiti un po' elasticizzati, che ti seguono in qualunque evoluzione.
La pelle s'adatta. La forma s'adatta,  non essendo la sostanza... cui si adatta scoprendola.
Per cui in sostanza, dopo essermi persa quella morbida superficie, ho comprato una nuova giovinezza all'Ikea (là si trovano anche pelli nuove) per affondarvi i piedi la mattina e scoprire che anche oggi è un giorno nuovo.
Poi però scivolo lentamente all'altro specchio, quello della mia prestesa vecchiezza; quella consunta pelle che possiedo da anni, distesa e che distendo con i primi movimenti, prima di guardarmi allo specchio, osservando come si scagli ogni giorno con più agilità attorno a sé, anche se il tempo gli ha poggiato un po' di polvere addosso. C'è l'aspirapolvere, infondo, che le rizza il pelo e la rianima!

Osservo. E mi accorgo, che la pelle in realtà e quella che giace sopra il sostrato del pavimento,  sotto il pelo arruffato e schiacciato dai piedi che danzano, che avevo scambiato per lei: è  liscia, come deve ad ogni età, e dopo qualunque uso, e sotto l'apparenza degli anni.
Osservando bene, nonostante le creme anti-age e gli stretching fisici ed animici, ora è il Tempo che vorrei sempre.
Oggi... è perfetto.

martedì, agosto 31

...almeno una volta... (continua dal post precedente)

La mia mente in questi giorni è abbastanza vuota di idee, anche se i pensieri si inseguono come le pagine di un libro.
Mi dico che prima o poi la fine arriva, e che invece di chiudere su pagine già vergate e colme, alla fine il libro inizierà a scriversi. Nell'attesa faccio la valigia,ancora una volta.
Metto dentro qualche altra cosa da fare, almeno una volta nella vita, e spero che non sia troppo pesante!

8- partire senza sapere dove si va
9- arrivare nel posto che si è sempre sognato
10- raccontare il sogno più grande, senza paura che l'invidia lo distrugga
11- dire quello che si pensa, senza paura di quello che penseranno di te
12- vivere un giorno senza paura.

...l'ho detto subito, ce non sono in gran vena di scrivere. Ma se non appunto qualcosa dopo un po' mi sento assente da me stessa!
E per poter andare via ancora un po', volevo salutare con un allegro abbraccio i vecchi amici e i nuovi lettori!

giovedì, luglio 15

Un vestito troppo largo (un gioco di specchi)

"Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto" San Paolo

Il mondo è uno specchio, e solo a passarci atttraverso, forse, si scorge come è davvero; .anche se, passando si rischia di ferirsi il cuore (che si apre), tagliarsi le mani  e i ponti alle spalle...

...il che corrisponde, nei deliri depressivi e ipercritici, all'idea vertiginosa e sconvolgente di non essere proprio la persona eccezionale che mi sembro, con il vestito azzurro..

Lila crede di essere come quegli eroi americani sbruffoni e sfuggenti che alla fine rivelano essere pieni di sensibilità e amore...
 "Può sembrare", appunto. Come dice mia madre, però, ho il cuore di cactus. Vuol dire che tutto attorno a me c'è uncontorno spinoso che è la parte terribile che vedo riflessa; quella che soffre d'ansia e di compulsioni, quella che credendo di non farcela nemmeno ci prova. Quella che soffre di attacchi di ansia e perchè no, anche d'ira!

Il fatto  il mio spasimante attuale, dal quale comincio a mantenere una distanza che sconfina nell'urgenza di un viaggio all'estero, mi ha rivelato di prendere degli psicofarmaci per controllare la rabbia.
Si, che significa? chiedo io.
"Mah, è che alle volte mi scatta qualcosa.. si mi rendo conto di quelle che faccio, ma non mi fermo. Come una volta che uno mi ha tagliato la strada, e beh, credendo che volesse avere ragione mi sono arrabbiato e gli ho dato un cazzotto sul furgone, e glielo ho abbozzato". La faccia che fa è di quelle che ritengono che tutto sommato non è cosa grave, e questo non è l'unico racconto del genere, è solo "la goccia".
La faccia di Lila, specchiata nello stagno alla luce dell'ultimo sole, lisciata fino ad un attimo prima da un soffio di ponentino, si tende come un'ala prima del volo. Come una vela, si gonfia il cuore, per un attimo muto come nel passaggio di mura, nella virata.
Silenzio. E l'asprezza e le spine si rizzano sul dorso d'istrice aggredito. Mi preparo con calma, e fuggo appena possibile..


Poi passa qualche ora, il racconto si fa rocambolesco (ho tendenze da marinaio che appesantisce il pesce ad ogni racconto), sinchè arriva la fatidica frase: "io non lo farei mai"!!!!

Un nuovo silenzio, penetra in quel mai che è impercettibile quanto "un attimo".

"mai" sembra un vestito troppo largo. Ci s'annaspa dentro, ma se sai nuotare la sponda che tocchi non è necessariamente il paradiso.

Si vedono per primi, sulla riva, i relitti delle parole lanciate ad alta voce; capanne di pugni chiusi con le unghie infilate nel palmo; la percussione ritmica di quel cartello preso a calci una volta, per non spaccare il naso alla capogruppo del viaggio in Cornovaglia...

L'esame di coscienza rivaluta le imperfezioni degli altri, e in quelle stesse imperfezioni si terrorizza e teorizza un orrore pari al ritratto nascosto nella soffitta da Dorian Gray.

Con l'odore di tempesta si levano venti e nuvole, nel cielo afoso, aumentando lo stordimento; ma all'apice di questa curva discendente, il cuore smarrito scorge, sulla riva sferzata dal cilicio delle mie travi, un ramo di paglia nei tuoi occhi; un granello che arrossa prima irritando, e poi m'irretisce perchè pare nascondere il contrario di tutto questo: quel punto in cui scegli di avanzare e cambiare la vibrazione alle cose. Di ergerti nella tempesta invece di cercare riparo, e tuffarti nell'occhio del ciclone.
Qui è una calma perfetta. E' la mano tesa che prendo, non per chiedere, ma per dare aiuto. E' il sorriso che incoraggia, l'ancoraggio sicuro. E' tutto l'amore che puoi... e se io ero te, prima, posso esserlo anche adesso.
E tutto ciò che mi è concesso, sta in questo amore che posso.



P.S. Lancio un giochino: se io  e voi ci specchiamo, regaliamoci un lato positivo, un bel momento, un sorriso... se vi va raccontatemi una cosa bella di voi, e quindi, anche di me. Accomodiamo il vestito :-)

lunedì, gennaio 18

l'amore, in qualche cosa




Alcune cose, a volte, ci colpiscono con la violenza di un caprone in corsa, (il link è per chi ha un po' di pazienza...) che carica a testa bassa.

Degli eventi, o dei mancati eventi. Delle persone che credevamo vicine se ne vanno, altre non si fanno proprio vedere. Avevo creduto, per un poco, che il ritorno di fiamma di un mio ex potesse essere una cosa 'reale'. E me la sono tenuta dentro, per paura che a raccontarla a qualcuno, chiunque, la cosa perdesse energia e si sgonfiasse.
Invece la bolla non s'è sgonfiata, s'è rotta!
Si, perchè alla prima piccola richiesta d'appoggio quello se la è data a gambe, senza nemmeno la briga di una scusa plausibile. E comunque non ha importanza. Perchè non c'era, e non è giustificato. Qui non importa spiegare i fatti, importa che io mi renda conto che, in ogni modo, è il mio comportamento che ha fatto accadere le cose così; che ha portato le cose a ripetersi negli anni, come un deja-vu, di cui però t'accorgi solo quando è passato.
Una piccola cosa diversa, mossa dal cambiamento sentito dentro il triangolo volto in basso che è il mio utero, la mia acqua di vita che germina per ora solo idee,  c'è stata.
Come dicevo, le cose cambiano.

E questa volta nessuna preziosa gentilezza.
Ricordo che anni fa non mollavo un tipo con cui soffrivo da morire perchè era 'fuori per lavoro', era Natale, era il suo compleanno... Stavolta l'unica cosa che m'è sembrata importante è che anche io ho bisogno di essere felice; e una situazione che non puoi cambiare, per cui s'è fatto tutto il possibile, che non si modifica minimamente e che ci fa stare male è semplicemente stupido portarla avanti.
E io sono molte cose, ma non sono stupida. Mi ci comporto, a volte. Per paura, per bisogno di affetto, per il desiderio che le cose siano come le dipingo,  posso fingere. Ma fino ad un certo punto;  ogni racconto ha una fine. A volte i personaggi durano tutto il libro, a  volte un capitolo solo. Questo doveva essere più d'uno, ma il punto, ad ogni buon conto, è arrivato.

E' arrivato guardando la ragazza negli occhi del guerriero.
La ragazza è quella libera, con il cuore bambino. Non l'altra, quella che ha sofferto, che ha scitto cose come questa:



La promessa di restarti accanto,
quando inciampato sei, più volte,
e senz’affanno, rialzato hai il capo,
e raccolta la tua gloria,
é una parola di facile emissione,
un sospirar, un raspo di polmone.
E poi un bisogno ti sorprende;
o forse troppi son gli sputi,
o, solo stanco, cadi e resti in terra
arido, stordito ed anelante
la mano tesa che t’avevan porto.
Ma già i solleciti altrove,
riponendoti nel fondo alla memoria,
han diretto le parole e t’han lasciato
giullare, a far suonar quelle catene
rugginose, che sbricioli in un fiato.
Si giuravano fratelli e tuoi compagni,
ma la sera che è giunta può vedere
solo l’ombra tua, stolida, che cerca
nello specchio l’amico che ha lasciato.


Oggi l'ombra è solida, a differenza di allora.  E se ritrova l'amico nello specchio, ha anche gli occhi  per sentire attorno tutto l'amore che c'è.
Oggi è questo, e va bene così.

E' amore, mio padre che s'arrabbia, pensando ad un certo Presidente che lasciò morire sua moglie di parto per salvare la figlia.
E' amore, mia madre che si preoccupa comunque di cucinare le cose che amiamo.
E' amore,, mio fratello che mi portava i cornetti per la mattina, dopo esser uscito con gli amici.
E' amore, mia nonna che ride sulla terrazza Mascagni, come se avermi lì fosse la cosa più bella del mondo.

E' amore, il mio amico E.C. che mi dice che sono bella e che ci proverebbe se non fosse fidanzato (lo so che non lo farebbe mai!).
E' amore, il tirocinante (cui ho già fatto il giudizio) che mi chiama sabato per sapere come sto.
......



                                   E' amore  tante piccole cose, a volte prima di quelle grandi.




lunedì, dicembre 7

ritorno a Bracciano (anzi ad Anguillara)

Secondo anno, secondo week-end:
"errare è umano... "

Questa volta, mi dico, vado preparata. Bisogna sempre esserlo, ma talvolta, dimentichi delle incertezze a cui l'esperienza ci sottopone, pensiamo di avere tutto sotto controllo, salvo inciampare delusi sulle imprecisioni dei nostri piani, sulle sorprese e i particolari nascosti che la vita riserva ai nostri desideri.
Preparo la miscela del the con pazienza, temperanza, umiltà ed attenzione.
Speriamo che basti.

Piego e appoggio sul ripiano delle cose da fare i progetti e le aspettative precise, e mentre discendo nell'Averno (il passagggio necessario in garage può diventare un serio momento introspettivo) come ultima occhiata allo specchio prendo atto del fatto che c'è un posto, dentro di me, che vorrebbe riempirsi d'un moto d'affetto (mentre vige l'assenza di voglia di rivedere  alcuno dei compagni di corso) e di un raggio di sole che invece batte ostinato sull'altro lato del lago, quello che, alla faccia dell'equanimità  arrotolata sul collo assieme alla sciarpa, continuo a preferire.



  Scaldata dai pensieri che si sono affollati sui sedili della macchina, arrivo  comunque sorridendo e saluto qualcuno con quei baci silenziosi lanciati nel vento, una mano su una spalla, quei come stai al quale non sempre si risponde; quasi che l'internazionalità dell'insegnante olandese ci avesse fatto adottare l'inglesismo formale dell'Howareyou?, al quale si risponde con un Howareyou? (da piccola mi chiedevo come potesse poi andare avanti la conversazione se nessuno davvero si rispondeva; a volte immaginavo interminabili scambi della stessa frase, interrotti solo da treni di sbadigli, altrettanto contagiosi), senza necessità di continuare.
Figurati: - come stai?
            - come stai?
             Auf wiedersehen (arrivederci).
Sarà, ma le parole per me hanno una certa importanza, comportando un certo uso d'energia, e quando chiedo a qualcuno come sta mi interessa davvero la risposta; ma bisogna rassegnarsi.

Al termine del primo giorno si può osservare qualche lieve cambiamento, al quale, consona allo spirito indossato uscendo di casa, mi adatto.
Ci sono ancora, ed è giusto, alcune persone che cercando il compagno per la pratica se vedono qualcuno (uno a caso, graziosa ma un po' asociale ... tipo me) che sta altresì da solo, cercano altrove; fingono di non averti visto, sollevano la testa inseguendo l'onnipresente mosca, guardano nella borsa, vanno in bagno e allla fine chiedono a qualcun altro...  E' capitato anche con Elle, che pure cerdevo un tipo a posto; uno simpatico.. un po' troppo, forse. Uno di quelli che non dice cara e bella, ma conosce tutti i nomi e se non ha una conversazione molto profonda, almeno è sempre sorridente e gentile.


Anche Lila è gentile, ma un po' meno del solito. Sorride, ma un po' meno del solito.  Perchè stamattina,  indossando l'abito ancora stretto del non desiderare e non volere,  cercando un CD ha scoperto nel cruscotto, sotto il libretto dell'auto, prorpio in fondo al cassetto, un pensiero che non s'era fatto sentire, prima, e che ispira una desolante serenità:  non si può piacere sempre a tutti.






 Tuttavia a qualcuno si;  dopo la pausa pranzo il posto accanto, quello solitamente vuoto, lo trovo occupato da uno dei cinque Emme: quello alto che di solito prendono tutti in giro perchè fa un sacco di domande.
 Lo accolgo cercando di ignorare il sospetto che gli sia solo comodo per via della telecamera,  e scopro  che è una persona attenta ed affettuosa, uno che quando prova,  tratta anche, come fa Lila; che con-divide e non compete. Mi piace, ma comunque mi tengo ancora un po' nel cerchio interno dell'anello di turchese, indossato a protezione dell'esternità spinosa che non voglio che mi sfugga, pur mentre cerco di modellarmi e ritrovare quella che sono;  torno a casa con una pacata irrequietezza. 


... dare la colpa agli altri molto di più..
La mattina seguente scendo al lago per sgranchire le membra intorpidite, bevo un caffè frustato dal vento di tramontana e osservo, che, sole o meno, anche da questa parte del lago gli abitanti hanno un certo non so che, che me li fa sentire vicini.
Quella silenziosità indecisa che ha il lago agitato dal vento;  quella profondità non necessariamente limpida, del cratere ingombro d'acqua.
Quel profilo che ti mostrano senza lasciarti vedere l'altra metà. come se ci tenessero a riservarsi l'interezza solo per incidentali passaggi dinanzi allo specchio, o per la ristretta cerchia (due o uno solo) di amici veri. Quelli che ci sono finchè ci sono, ma sono sé e te.


 






 Attribuisco all'influenza ambientale la mia residua asocialità,, forse alla fin fine sana quanto l'aria pregna d'erba e sterco di cavallo;  e mantenendo a fermare l'anello un po' largo, saldamente piantato all'anulare, il coraggio di sbagliare, all'ultimo giorno mi concedo un abbraccio stretto e qualche vero saluto, lasciando svaporare nel bicchiere l'ultimo the; quello un po' amaro che, mi sono accorta troppo tardi, avevo preparato con spirito di competizione, superbia,  vecchi ricordi e disillusioni.

E proprio prima di coricarsi verso il mare, e lasciarmi di nuovo sul lato in ombra di me, un raggio di sole sospinto dal sussurro del lago, mi risistema l'equanimità sotto la sciarpa.








lunedì, ottobre 5

ritono a Bracciano... anzi, ad Anguillara

1° giorno: "sarei sociale, anche gentile, un po' normale" (L.Dalla)
Si apre un nuovo anno della scuola di magia e stregoneria. Tre mesi, e la dovuta lettera con le istruzioni per arrivare, i libri da prendere, la quota da versare, ci separano dall'ultimo giorno, quando sono scivolata fuori dalla vecchia classe, portandomi dietro la solitudine di un anno in cui avevo fatto di tutto per non fare amicizia.
Nonostante ciò qualche piccola mano sul cuore s'era posata, e durante l'estate, scaldato dal sole, qualche piccolo pregiudizio si è sciolto; o forse in qualche modo oscuro la psicoterapia funziona.
Leggo che da la possibilità di cambiare i circuiti, le vie del pensiero. E prendo al balzo l'occasione armandomi di un sano spirito gioioso, per rincontrare quelli che ho salutato come una massa senza volto di colleghi presuntuosi e supponenti; supponendomi cambiata. Così, semplicemente.
E la vita ci mette lo zampino; benchè il nome del posto prometta almeno la visuale sui due laghi laziali (Bracciano e Martignano), di fatto siamo lontani dall'uno e dall'altro. A metà strada di nulla, in una campagna odorosa di cavalli e di erba calpestata, polverosa di piste di maneggio.
Nessun modo, salvo prendere la macchina, di andare a sedersi in silenzio sulla sponda del lago, a riposare le orecchie dal ciarlare inutile del dopo pranzo. Mi siedo nel giardino, vicino alla piscina ricoperta per l'inverno, ed alla spicciolata, neanche il tempo del primo boccone, arrivano quasi tutti.

Non mi piace mangiare con chiunque, quindi per un po' mi fingo interessata al giornale, ma come dicevo, la vita prende il sopravvento, e una parola scappa di bocca, una risata gorgoglia sulla punta della forchetta;  il tempo di finire il magro pasto e sono parte della classe.

Ancora una volta ho modo di osservare che qunado cambi l'atteggiametno verso il mondo, quello risponde in modo adeguato. Non subito, forse, ma lo fa...


2° giorno
 ... così li scopro; ascoltata, li ascolto, non solo nel fisico esercizio che ci insegnerà, prima o poi, a localizzare davvero il problema principale di un corpo.
Sembra che l'estate abbia scaldato altri cuori, e sciolto le divine certezze di poter fare qualsiasi cosa. E altri si scoprono fallibili. Rivelano a me, che con imprudenza mi ponevo da ignorante, che qualche errore lo commettono anche loro. Quelli che l'altr'anno mi guardavano dall'alto al basso, o chissà, forse ero io, ora hanno gli occhi negli occhi.
Ho imparato di nuovo, non manchi mai l'occasione, il gioco di specchi.
Vado a pranzo nel solito giardino, quasi sperando che arrivino presto tutti.

3° giorno

Il mutamento tuttavia richiede pazienza, e la festicciola di compleanno, merenda tutti insieme ed immane perdita di tempo annessa, tolgono un po' di entusiasmo al mio ritrovato 'socialismo'. Scivolo via appena posssibile, appena dopo un frugale pasto, per accamparmi all'ombra d'un albero, a guardare i cavalli.
C'è in sottofondo il rumore di scalpitio di quella parte di me che mi è appartenuta per tanti anni, e che vorrebbe solcare le colline, come la mattina quando arrivo e mi inerpico per la strada nei campi, finalmente trovando il lago, all'orizzonte.







4° giorno
Come per magia, si sciolgono tra loro le parti di me; quella che sono, e quell'anima di vent'anni, che ha quasi vent'anni e vuole tornare avanti, per vivere il resto della sua vita. Due adolescenti che si battono, scambiandosi i vestiti; così ad ora di pranzo, dopo un'altra, doppia,  festa di complanno cui partecipo con allegria, mi trovo sulla collina. Dopo aver corso, percorrendo a polpacci tesi il campo vuoto del recinto aperto. Pensieri in fuga ordinata scivolano sull'erba, e si rotolano come quella bambina che ricordo, che amo e che, almeno lei, resta nei suoi anni, lontano da qui. Rotolava sul declivio del parco vicino al laghetto dell'Eur. E i pensieri rotolano fino alla sponda lontana di questo, più grande, che si distende oltre i campi.
Un silenzio che riempie la fine di questi giorni, mi avvolge.

Ma mentre mi infilo in macchina, sorprendo un desiderio di tornare; non solo per apprendere ancora.

mercoledì, agosto 19

un pezzo d'aurora (non ancora giorno)


Le persone, anche le più incredibili e forti, quelle che per tutta la vita avete guardato con un misto di timore e rispetto perché potevano fare ed avere tutto quello che volevano, bene, perfino loro talvolta crollano. (figuriamoci io!)
Il tonfo naturalmente è tanto più forte, quanto più in alto credono di essere arrivate; e una sorta di vertigine, le porta a credere che l’altezza dalla quale cadono sia infinitamente più grande che nella realtà.
Esattamente questo successe, quando alla tenera età di ventinove anni mi voltai, solo un attimo, giuro, a guardare quello che avevo fatto fino ad allora. La molla fu probabilmente l’ultimo incidente ‘amoroso’, quella caduta di stile alla quale mi aveva portato l’insistente, recente, convinzione che mi fosse necessario un compagno per procedere nelle avversità della vita.

Il risultato di quel piccolo movimento a ritroso fu catastrofico, non perché fossi in alcun modo pentita di quanto era accaduto, quanto perché improvvisamente mi apparve tutta una sequenza di anni all'apparenza vuoti, il cui bilancio si fece agli occhi stanchi, che anelavano comprensione ed abbracci, per un attimo totalmente negativo.
Bastò quell’attimo perché accadesse l’irreparrabile.

E’ stato come quando arrivi di corsa in cima ad una salita, pensando di trovare un pianoro sul quale gettarti a riposare, e scopri che la strada finisce in un precipizio… Ecco, a quel punto, di fronte al precipizio, metà di me cadde in fondo, e l’altra metà rimase immobile a guardare, piangendo la scomparsa della migliore compagna che avessi avuto fino a quel momento.
Già, perché io sono nata doppia, ed ho sempre cantato per quella metà del cielo che intravedevo a malapena, e che ho amato con tutto il mio cuore, fino a quel giorno.

Perché quel giorno arriva sempre, nella vita di tutti, perfino delle persone speciali. E "quel giorno”, per me, fu quando smisi di sentire. Si, sentire.
Ero talmente avvezza ormai, a farlo, che la perdita di tale capacità fu un lutto maggiore della perdita di un amico, cosa alla quale sono abituata. Gli amici, in genere, si perdono quando ti danno una coltellata nella schiena, o quando dispaiono lentamente dalla tua vita, perché hanno preso un’altra direzione. Tu non vuoi seguirli, o sei già andato altrove, e così ad un tratto ti trovi a parlare con la tua sagoma allo specchio, vagamente confuso perché la osservi da tanto tempo che non conosci più il volto che hai dinnanzi.
L'amicizia rifiorisce altrove ed altrimenti, ma a ben pensar l’unico che veramente ti sarà sempre incollato addosso, finché morte non vi separi, sei tu…
beh, allora guardare un estraneo allo specchio non fa molto piacere.

Questo accadde; arrivai in cima allla salita, ansante, e metà di me, quella che sentiva, cadde nel precipizio. Da allora sono stata abbastanza immobile, e per muovermi mi scopro a ripercorrere brandelli della mia vita, quelli che ricordo; per rammentare come sono arrivata a tanto.

Naturalmente quando tutto ebbe inizio, avevo appena scelto di venire qui, e di seguire l’arduo percorso che la forma umana impone. Avevo scelto la mia famiglia, la mia vita tutta, forse, o almeno le salite più grandi da affrontare. Non ci credete?
eppure è così. come un perfetto tour organizer mi ero appuntata tutto, proponendomi di visitare ‘il tradimento del tuo migliore amico', l’impressione di essere abbandonato, il dolore di non poter "risolvere i problemi” e altre ancora; proprio come adesso studio su internet l’itinerario del viaggio a Londra...

La differenza comunque, è la coscienza con cui si intraprende il viaggio. Ed allora ero cosciente. L’unica cosa che ricordo adesso, e che forse mi sostiene dato che altra fede non ho, è che il lungo viaggio si proponeva la scoperta di me stessa. E garantisco che non è poco, benché naturalmente io non sia l’unica partita con tale scopo.
è più semplice scoprire Londra, Parigi, il Marocco selvaggio...

Alla luce dei ricordi di cui mi faccio bagaglio, apprestandomi a scaricarli con questo scritto, tra gli obbiettivi prefissi all’inizio del viaggio vi era la conquista dell’indipendenza.
Fedele al motto ‘chi fa da se…’ una volta smarrita la coscienza del Tutto, ottenebrata dalle prime elementari istruzioni umane, mi lanciavo nell’esplorazone dei supermercati lasciandomi alle spalle mia madre, tranquillo osservatore di questo piccolo essere misterioso, e valicando faraglioni di scaffali.
Allora le immense piane che si stendevano dal reparto surgelati al banco del pane, invero più limitati degli ipermercati moderni, ai miei occhi infantili finivano col perdere interesse, fino a trasformarsi in un labirinto senza uscita, che immancabilmente mi scatenava un ondata di panico… e lacrime!

Come per tutte le tappe importanti della mia vita, leggasi soprattutto la mia nascita, non mi resta che chinare il capo e ringraziare colei che mi tirava immancabilmente fuori da quelle giungle spaventose per riporrmi nella tranquillità della sua salvifica presenza: mia madre.

Mio padre non l’ho dimenticato, certo, ed occorre rendergli onore, ancorché il suo intervento si esplicava, pur sempre con trionfali risultati, in tutt’altra maniera.
Tuttavia va detto che l’osservazione più stretta delle mie prime mosse nel mondo fu certo quella di mia madre, dato mio padre cominciò la sua carriera di assistente di volo proprio quando nacqui.
Così da sempre, sono stata abituata ad un papà dieci-giorni-al-mese ma non necessariamente il sabato e domenica (come quelli che hanno due giorni di riposo settimanali). Era un papà che c’era (presentissimo, sempre) e poi non c’era per niente, per qualche giorno. Nessuna attesa alle sei di tutte le sere, per vederlo e dargli il bacio della buona notte, quando varca il portone, come i pargoli di casa Bangs (Mary Poppins). Ma un papà che arriva ad ora di pranzo, riparte alle quattro del mattino, torna a metà pomeriggio.

Altre volte era a casa a vegliare sul telefono, in attesa della chiamata del fantomatico Ufficio Turni, che nelle mie fantasie di allora era una grande stanza piena di macchine, in cui qualche simpatico giovanotto, tutti accuratamente senza volto, sorteggiava da un bussolotto il personale di ‘riserva’.
Quando siamo stati un po’ più grandi, ci è stato permesso di partecipare alle staffette telefoniche per chiamare il suddetto ufficio, perché le cose non si svolgevano proprio come immaginavo, bensì c’era la possibilità, in un certo senso, di offrirsi volontari per lavorare.
Ora che la logica schiacciante del bisogno di denaro mi sospinge per ore fuori casa, pur di raggiungere la fine del mese, credo di capire un poco di più le motivazioni che lo spingevano a tanto. Eppure confesso che spesso desideravo che mio padre rimanesse a casa con noi, invece di non essere là per altri tre o quattro giorni.

Tutto questo, naturalmente, ha contribuito nel tempo a fare di lui l’eroe senza macchia, quello che, se ci fosse stato, mi avrebbe salvato. Non so nemmeno immaginare quante volte ho voltato le spalle a mia madre, al grido di “voglio il mio papà”, assolutamente impossibilitata ad immaginare che, se ci fosse stato, avrebbe anche potuto concordare con lei.
Oneri ed onori di chi resta, comunque. Mia madre, lei, c’era sempre. Quando mi facevo male, quando ero felice, e purtroppo per lei, più tardi, anche quando ero io a colpire brutalmente con la cecità del mio punto di vista umano.

Si può presumere, a questo punto, che queste siano le premesse della persona che sono diventata.
La tranquillità che mi ha donato la coscienza mi dice che questa è solo un’altra fase transitoria, uscita dalla quale, come tutte le volte che è già successo, non ricorderò niente. Forse mi resterà solo, nei momenti di noia o di bilancio, un vago ricordo dell’aver sofferto. Così come accade per le fasi di luce…

domenica, agosto 9

Riflessioni

riflessi, Basilea
Se c'è una cosa che non amo di me, è l'incapacità di mostrare tutto ciò che sono. Omissioni, non bugie. La verità che volete sentire. Non quella scomoda. Non tutta la verità.
Quello che credevo che voleste vedere.
Come se potesse essere vero!
la verità ha una vita sua, e, che ce ne accorgiamo o meno, alla fine trionfa sempre.
Diceva il principe della Bella Addormentata disneyana "spada della verità, vola diritta, del male provoca la sconfitta".
E il male, in tal senso, non è qualcosa di disgiunto da noi stessi; sono quelle ombre che ci portiamo dentro... i difetti, le paure, le bugie raccontate prima a sé che agli altri. Ripetute a voce credendo che diventino vere. Ma il corpo e il cuore hanno una loro saggezza, che la mente da sola non può controllare...

Tuttavia sovente cado in questo mal vivere, mi perdo e mi confondo. Smarrisco la fiducia in me stessa, perché non posso venir amata per ciò che sono, se non vivo il mio essere.

Qui forse è un po' diverso. Ho pianto battendo sui tasti, ho sorriso e raccontato di cose vere, lasciando uscire un'anima che appare pulita, se non indenne ai colpi della vita. Rinata, dopo l'incidente, e in via di crescita. Spero.
Mi rendo conto però che ancora una volta ho peccato, omettendo tutta una parte di cose che potrebbero non essere importanti se non mi facessi così male a viverle. Se non continuassi a credere che non si può dire tutto a tutti.
Invece mi pare, oggi, che non sia così.

Nei giorni trascorsi in Svizzera ho conosciuto la (ora) moglie del mio amico di Milano, quello che parla tedesco meno bene di me che non l'ho studiato, ma ho appreso sul campo. Ascoltando le parole, cercando sul vocabolario, intuendo il senso. Avevo ventidue anni, e a distanza di tredici ancora esce dalla mia bocca quella perfetta pronuncia dell'hoch deutsch, con una sfumatura bavarese.
Complimenti da tutti.
Ma stavo scrivendo... la ragazza è una che le cose te le dice in faccia: tu mi sei antipatico perché...; a te non ti chiamo più per nome perché ci sono troppe r e sai, con la r moscia....; te mi sei simpatico ma solo quando... ecc..
Bello. Non ci riesco spesso; tento, ma solo con gli amici e premettendo sempre un "non ti offendere", "non me ne volere", "forse ti piacerò meno"...
Importa?

Se non ci amano per ciò che siamo non ci amano veramente; questo non deve essere inteso come un mantenersi nei propri difetti, perché "siamo fatti così", ma significa che intanto che cerchiamo di cambiare dovremmo lasciare che gli altri ci apprezzino a tutto tondo: pregi e difetti.

Lavoro per cambiare, e in questi giorni qualcosa è cambiato.
La storia tuttavia è lunga, per un unico post, per uno scritto che già mi vede perdermi in riflessioni, quando vorrei lasciare qui solo delle emozioni.
La mente è guardiana crudele delle porte dell'infinito; forse è lei la sfinge che impedisce di passare oltre, che pone al cuore indovinelli irrisolvibili con la ragione stessa, perché si sa, le ragioni del cuore sono altre da essa. Le ragioni del cuore, e l'unione tra una e l'altro passano per l'intuizione, la percezione di essa e il consolidamento di ciò che si è percepito attraverso un duro lavoro.

L'una e l'altro, insieme, liberandosi dalle pretese d'uomini d'essere amati da tutti (impossibile!!!) dovrebbero viaggiare assieme, osservati e osservanti, concedendo a questo brandello di Dio che è l'uomo la libertà dalle pochezze umane. Che, in fondo, significa amare, ed essere amati, come Dio.

venerdì, luglio 10

corpo e coscienza

corpo e coscienza"Venghino signori, venghino... oggi, in offerta straordinaria ridiamo la vista ai ciechi e raddrizziamo le gambe agli storpi".

La bacchetta magica funziona, in questi giorni,
Ma la conditio sine qua non per la guarigione è la modificazione di sé. La modificazione del concetto con cui si approccia ad un qualsiasi sistema terapeutico.
Ovvero che qualcuno, al di fuori di noi possa essere il nostro padrone... e terapeuta.
Questi al massimo può essere un facilitatore. Quello che consoce la via, sulla quale occorre camminare da soli. E occorre sapere dove si vuole andare.

Non capiti. Ma se dovesse succedere, mettetevi di fronte allo specchio, e chiedetevi se volete davvero guarire. Gli occhi, in questo caso non mentono. La mente dice si, il cuore fa un balzo di lato, scarta sull'emozione e finge di non saper rispondere. Però direbbe no.
E la malattia è troppo spesso usata come un'arma. Il corpo la manifesta intelligentemente per avvisarci che qualcosa non va. E la mente continua ad usarla, stupidamente, perchè è molto più semplice che modificarsi.

La signora obesa lamenta un dolore continuo alle ginocchia quando cammina o sta in piedi ferma. Dopo venti quasi inutili sedute, a colpi di bacchetta ed armi tattiche di bassa lega (insomma s'è provato di tutto) le ho detto che l'avrei curata meglio se avesse perso due chili (o magari cinque); non è più tornata. Il cuore spera che li abbia persi, e che stia meglio. La mente teme che sia andata a farsi fare le infiltrazioni.

La signora che 'non sente il corpo', alle richieste di tentare un movimento ad occhi chiusi (facilita una cosa che si chiama propriocezione) prosegue imperterrita a muoversi male, ad occhi aperti.
Prima di tentare con l'ultima richiesta (forse oggi ho problemi di comunicazione, mi dico) ipotizzo se non sia il caso di farla andare ad occhi aperti verso il suo destino.
La mente (mia) vorrebbe. Ma non compete a lei: il cuore la irride e poi sorride, alla signora; "scusi sa, ma oggi sono sarcastica e stronzetta. Mi guardi: così sono gli occhi aperti (li apro), così sono chiusi (li chiudo)"
Ecco, bastava tanto poco. Mi imita. L'esercizio migliora, la signora anche. Scende dal lettino, e chissà come ora sta, e si sente dritta!
Alla romana direi "piglia e porta a casa"... ma non vorrei essere fraintesa. Porta a casa l'esperienza. La sensazione. L'apprendimento!
Perchè ieri l'ho fatto con le mie mani. Oggi lei, da sola, ha fatto molto più di quanto potrò mai.

"Venghino signori, venghino..."

Perfino il vecchietto piegato in due dalla vita (e dall'eccessivo uso delle vertebre che ne ha causato un'usura tale da fratturarle) oggi s'è allungato verso il cielo. Dopo aver lavorato attivamente.
Un passo verso il paradiso.
In senso metaforico.

La vecchia Nina è arrivata ad occhi spalancati, portando per noi dolcetti caffè e zucchero. Felice come una bimba con un giocattolo nuovo mi ha detto che finalmente è tornata a vedere. (nel senso che riesce a portare di nuovo gli occhiali, eh. Non esageriamo!)
Che si è guardata di nuovo allo specchio.
Ci ha mandato la cognata, che alla fine della prima seduta chiede già quando potrà ripetere il ciclo...
Ma, dico: se provasse a guarire?

Non capiti. Ma se dovesse capitare, chiedetevi qualche volta 'a cosa serve' tenersi la malattia.
Mettetevi di fronte allo specchio.
Come ha fatto la Nina.
Magari riprendendo gli occhiali dal cassetto.

E senza mandare in giro le cognate.

giovedì, maggio 14

A Lila piace...

Passiflora Bracciano
L'orlo rosso di papaveri, cucito sul bordo delle strade;
i fiori delle robinie, stesi ai rami come panni bagnati di rugiada;
sedersi accanto ai cigni, e specchiarsi nel lago agitando le penne.


... e naturalmente i nuovi lettori, quelli vecchi, ma non troppo da conservare un sorriso, quelli che passando lasciano un commento od anche no, ma la traccia di movimento è un battito d'ali di farfalla. E' il prossimo sussurro nella mia voce.
Grazie.

giovedì, aprile 30

La velaia di T. (2)

C'era una volta il tempo...
che ci ha viste solcare il fiume di pietre incastrato fra le case di tufo di Orvieto. E crescere, riluttanti poeti che si nascondevano dentro felpe immense, e una indecisa autonomia di pensiero: per cui eravamo sempre affogate in noi stesse e un po' tagliate fuori; anche quando si pensava d'aver raggiunto un punto di contatto con gli indigeni del paesone. Non siamo mai state di quel posto, ma eravamo ben di noi stesse, ed eravamo una per l'altra. Nei litigi come nelle lunghe giornate passate ad inventare storie e curarci il futuro. Senza mai sapere.
A diciotto anni, non sai mai niente, ed hai solo il tempo di metterti su una giacca e correre a vedere cosa ti ha riservato la vita. Almeno a me pare che fosse così.

Le strade però ad un certo momento portano altrove, e dopo aver studiato le pietre dello stesso Corso insieme, tante volte, una volta sola è bastata, ed abbiamo percorso altre strade.
Come se io fossi andata a S. Giovenale, e tu a piazza Cahen. I due poli opposti.



C'è stato un tempo, in cui ci siamo rincorse nel sogno, ed abbiamo salito le due discese opposte, ansimato, girato l'angolo e pensato che il caso bastasse, per rivedersi; però non era il tempo. Quello.

Ieri, che conta già qualche pioggia e qualche notte, ed ha aspettato vari anni e quaranta giorni per essere ieri, alla fine è successo.
O all'inizio.

E se l'ultimo mio sogno diceva che ci saremmo incontrate in un porto, non sbagliava poi di troppo. La città è di mare: una lingua tesa fra due mari anzi, che non parla dell'uno dell'altro; ma solo dello scirocco.
Il porto è d'aria, come da copione, considerato che entrambe siamo di quell'elemento essenzialmente tratte. Ed attratte.

Il tempo è venuto, alla fine (o all'inizio) di riabbracciarsi.
Come nella scena madre che occorre aver visto almeno una volta, e vissuto possibilmente tante!, un abbraccio ha raccontato più di ogni possibile articolazione sonora tutto quello che non c'è bisogno di dire. E molto più in fretta.

Il tempo è venuto lentamente, e passato ovviamente, con la sua logica paradossale, rapidissimo; ma so esattamente tutto, di quelle ore trascorse a ricoprirci i tratti del viso, a rivedere i capelli lasciati liberi dagli inganni che fuorviano le ipotesi sull'età, a rimettere insieme i pezzi sparsi nel tempo in cui non ci siamo raccontate. A raccontarci a voce, tutto quello che si cela agli occhi estranei nel silenzio delle rughe.
E poi ho preso la tua storia nei disegni, dal tuo gorgheggio accennato, sui viali che conducono dalle mura di tramontana al porto. Sempre mare. A nord, a sud. E anche dentro.
Sempre tu, anche oggi. Anche diversa.

E m'incanto a vedere che niente è cambiato, benché sia tutto diverso... e tutto cambiato.
Siamo io e te, come se ci fossimo lasciate ieri, ed allo stesso tempo non ci conosciamo più. Chiediamo permesso, entriamo con delicatezza, per i primi momenti, appigliandoci a qualche ricordo comune, per vedere se sonno gli stessi; poi scaliamo le distanze con avidità, e con la sicurezza di una vecchia confidenza, della fiducia accordatami dalla gatta. E tra una lirica e un infuso di zenzero e limone, che odora di fresco, si apre un nuovo orizzonte.

Non dico che ci andremo per mano, perché non siamo mai state di quelle che si tengono la mano come i fidanzatini; loro fanno tenerezza, a noi forse sembrava di essere fragili (o solo un po' assurde); più pratiche, ci tenevamo con altri fili, una con l'altra.

Gli stessi, ma intrecciati ai mille che stanno nella rete fra ieri e oggi, ora, più che ritendersi tendono a rendersi un po' più visibili, che nel tempo passato senza scorgerci.
In questo tempo accaduto per tempo, con i tempi giusti, e fuori dal tempo.

... Inizio.

venerdì, marzo 13

"Perfetto"



Dite che al mondo nessun’essere è perfetto?

D’accordo, voglio crederci, e prendermi un difetto.

Però che questa cosa sia fatta seriamente,

sia! uno debbo averne, ma uno solamente.

E, ponderando, io sceglierei Lussuria

Che l’atto d’accoppiarsi, e procreare?,

è il modo più esaltante che si trovi

per compiere un peccato capitale.


Va bene, mi piace, però sembra

vedendola ‘sì tanto da vicino,

che dall’avidità non si disgiunga,

così già sono due, sul mio cammino.

L’effimera ricerca del piacere,

Sia esso di spirito o carnale,

alla brama d’avere s’accompagna

poiché, chi va cercando possedere

di tante cose, tutte, mi par ovvio

che poi le voglia pure trattenere.


Così si fa anche avaro chi pretende

d’avere cibo, sesso e conoscenze,

mischiati come fosser cosa sola

come avarizia e lussuria…con la gola.

E poi, d’invidia sarà privo

un uomo così pieno, un falso vivo?

Ormai come possiamo ritenere

Che questi possa avere un po’ di tempo

per altro che non sia abitare

Un qualche difetto ogni momento?


L’ego, già pieno a tal maniera

vedutosi si grande e possidente

presumerà pur d’essere nel giusto,

d’orgoglio gonfiandosi sovente.

E credo di non sbagliare troppo

nel dire, raggiunto questo punto

che l’ira non possa più mancare

ad uno, che già s’è preso tutto.


La riterrà sua forza di difesa

scagliandosi su chi gli rechi offesa;

magari su quei, come chi scrive,

che trovano difficile pensare

che quando si riesca ad infilare

i difetti, come splendido monile,

come detti, ad uno ad uno, allor non manchi

la “virtù” di esser nati stanchi!

Poca assai sarà la voglia di cambiare

In chi, vedendosi siffatto

Si trovi già perfetto (o troppo brutto?)

Ed oblii che non tutto È ciò che appare.


Dunque la pigrizia, non da sola,

rimane da osservare poiché segue,

e quando non ultima permane,

li tira seco tutti, e li precede!


Ed eccoci osservando non mi sembra

Che solamente uno m’appartenga!

Al patto che pria si proponeva

m’accorgo ch’è impossibil tener fede;

ciascuno in me come ombra scorgo,

e l’animo incupisce, ma non cede

‘ché infondo più di tutti questi assieme

mi sembra sia l’assenza di qualcosa

un filo che traspare, ma non viene

e mancando nell’uomo gli impedisce

di essere perfetto come l’Uno

cui tende, ma di rado si riunisce.


O almeno non può coscientemente

fintanto che l’animo s’adombra

e si ripara dalla chiara luce

coi difetti facendosi una fronda.

Si svolge l’idea che ponevamo

c’è un filo, che slega e poi riunisce

che mi par più saggio da seguire:

la virtù, che i difetti riassopisce.

Ed è una che già tanto ho cantato,

poiché nell’espandersi nell’uomo

misericordia e giustizia ha in sè sommato

saggezza e forza, umiltà e perdono.


L’uomo parco di parole quando anela

Al silenzio dell’io, che grida sempre

L’ha chiamata in mille ed altri modi

Ma uno è il nome, che dice tutto e niente;

ed è quello che stento a pronunciare...

E sia, la virtù e il filo, sono Amare.

martedì, febbraio 24

Sincerità


La tv da spesso qualche argomento di cui parlare; sarà anche per dire che "non trasmettono mai niente di interessante". Così è, in effetti, ma talvolta la sera mi sento così stanca che anche questo va bene: sto lì a contemplare il nulla, lasciando che le onde cerebrali si appiattiscano (è dimostrato) e che Morfeo sopraggiunga a salvarmi.
Generalmente giunge presto, amante leale delle prime ore delle mie notti; mi blandisce, per poi lasciarmi come in quella canzone, credo dei Pooh, in cui alla fine lui torna da quell'altra. Si ti amo, lo sai. Però...
Attendendolo come una moglie trepidante che abbia sfornato una deliziosa cenetta che si fredda perchè il maritino è in ritardo, mi è capitato incidentalmente di sintonizzarmi su di una popolarissima trasmissione canora, dove una signorina travestita da Amelie Poulain ha cantato, rimanendo completamente immobile, a parte le corde vocali, una canzonetta dall'incoraggiante titolo "Sincerità". Mi sono soffermata, dato che stava per iniziare, e il conduttore la incoraggiava con fare paterno. Sembrava a dire il vero, una bimba dello zecchino d'oro, ma la voce era gradevole, ed il testo semplice, orecchiabile (perfino per una campana come me), e positivo: niente di meglio, in un momento di crisi, dolore e generale tristezza, poteva sfornare mammaRai per l'italiano, alla ricerca di consolazione.
Ci pensa la tv, se Dio non vi basta; quel Dio barbuto e un po' papà, che ti poggia un'ideale mano sulla testa rassicurandoti che le cose si sistemeranno. Lo dico sempre anche io, che "Dio ci mette sempre una pezza".... anche se a volte si tratta di un Diluvietto da epopea.
Ma se è per questo, la MammaTv nazionale ha vestito anche questo travestimento, e perlomeno ci ha raccontato la storia. Se no ci pensano i colossal americani.
Poco importa, se così forniscono qualche idea a terroristi lirici. che d'immaginazione ne avrebbero abbastanza anche da soli, e che emulano episodi già inventati. Si sa anche questo: Hollywood ama i sequel, e i remake.

ma adesso siamo seri
Tuttavia lo spunto era preso per raccontare qualcosa che mi ha colpito in questi giorni, ovvero l'incidenza dell'emozione sulla capacità di giudizio.
Non sto a parlare di ulteriori violenze, di cui ho detto, in preda all'emozione e no, e che per ora languiscono nel canale che salto alla tv della mia mente, perché anche qui c'è bisogno di tranquillità e sicurezza.
Parlo della necessità che ha l'uomo, quando è addolorato, sfibrato, deluso, di appoggiarsi a qualcosa ma soprattutto a qualcuno.
Una mia amica, magari è sempre la stessa, mi stava raccontando l'altra sera di quanto fosse rimasta delusa dall'ennesimo uomo che le aveva promesso di esserci sempre. A parte che non è fisicamente possibile, potete indovinare da quanto tempo si conoscevano?
Un mese.
Lui le ha detto 'ti voglio bene' dopo due appuntamenti e 'per te ci sarò sempre' a l terzo.
Considerato quanto lei sia impegnata, non sono certa che ce ne siano stati altri, dopo; prima che lui sparisse.
Come ha fatto il migliore amico del suo ex, che dopo averci provato, professandole un amore eterno, implacabile, disarmante, appena ha preso il due di picche è rapidamente desaparecido.
Io sono una vecchia cinica, per quanto riguarda l'argomento, ed ho obbiettato, obbiettiva: " che cosa credevi che facesse"; ma lei no, insisteva così tanto sul fatto che lui avesse promesso 'cosa e come', che quasi ho voluto entrare nella sua innocenza e rimanere lì.
Non foss'altro che credo ci siano persone cronicamente dipendenti, che hanno cioè bisogno costante di qualcuno che giunga su un cavallo bianco e gli tenda la mano rassicurandole che tutto andrà per il meglio. Io l'ho fatto, con lei, ma le amiche nel tal caso contano poco. MammaRai ci prova, permettendo (non ho sentito nessun'altra canzone, quindi parlo così, un po' a naso) che vinca la voce di una bambolina giapponese che ci mostra, prendetela pure in giro, la semplicità della risposta.
Sincerità.
La canzone in può piacere o meno, critichiamo pure la tipa che canta, è un paese libero no?, ma non sarebbe male considerare, nel rapporto con gli altri, che questo dovrebbe essere un elemento sempre presente.
Tra medico e paziente.
Tra amici e famigliari.
Nei rapporti di coppia.
Si perché, che vale, dire che ti amerò per sempre se già due giorni dopo il matrimonio siamo dall'avvocato ad avviare le pratiche della separazione "perché nel caso ci dividessimo avremmo subito il divorzio"! (fatto vero)
Che senso ha sfruttare le emozioni di qualcuno che si sente solo, che ti chiede d'essergli vicino perché mamma è malata, che (nonostante gli improvvidi consigli dell'amica cinica) credendo di potersi salvare dalla solitudine che ha dentro e non si riempie con niente, vi chiede "dimmi che andrà tuto bene"?
Non andrà tutto bene.
Perché si scrive "sinceramente vostro", si dice "ti amo sinceramente", ci si esibisce in qualche "ad essere sinceri", senza sapere cosa significa davvero.
E non andrà sempre tutto bene, non è possibile, perché altrimenti non potremmo gioire e risollevarci.
Però capiterà (basta fare attenzione) che una persona a cui non avete chiesto niente vi darà una mano, scriverà una lettera o un post sul blog, e vi farà sentire meno soli.
Capiterà che il sorriso di una persona, o l'impiegato delle poste complice della vostra stanchezza, vi potranno mostrare che in fondo "da qualche parte, oltre l'arcobaleno, il cielo è blu".
Capiterà di trovare, a distanza di anni, una persona che pensavate di aver perso, deluso, ferito; che in fondo avete un po' allontanato, forse non compresa, e che vi abbraccia di nuovo.
E riprende con voi il filo di una cosa vera.
Anche per mandarvi al diavolo.
Senza maschera.
Con sincerità.