mercoledì, dicembre 21

"per ora"

Ti ho incontrato molte volte,
mi verrebbe da risponderti quando affermi che sembra siamo insieme da sempre. Mi sorprendo infatti a ritrovare in alcuni tuoi gesti, le emozioni e le movenze, i segreti e le illusioni di tutti quelli, che prima di te mi sono stati a fianco. In un modo o nell'altro, sai! non parliamo solo di amanti, ma sempre di amati; è come se li incontrassi a distanza di anni, o di chilometri, solo con la maturità che tu pari aver acquisito, poiché non riesco a sperare che sia la mia.
Mi pare, certo, d'aver cambiato punto di vista, su certe cose. Mi pare che aver percorso tutto il dolore possibile, nei mesi passati, in lunghe ore in cui ho scavato e denudato ogni ricordo che sono riuscita a trovare, abbia lasciato la mia superficie più liscia, nonostante da sotto affiorino ancora ben note asperità.
La magrezza del corpo è magrezza d'anima, almeno un po' di più d'un tempo, quel tempo in cui avresti voluto incontrarmi.

Non ti sarei piaciuta, dieci anni fa. 
Tutta questa vita doveva passare, perchè fossimo pronti a riconoscerci. E questo a prescindere da quello che sarà di noi, 'ché tanto è l'ora, che conta e non da resti; non da ricordi a cui attaccarsi, perché ho imparato che quanto eravamo felici ha la stessa valenza di quanto ho sofferto. Ieri non sono più.
Se so quel che è accaduto, l'emozione di allora è solo polvere e sudore che ho già asciugato. Così sarà di oggi, di ora, se non ora che invece siamo presenti in quest'incontro.

Ti ho incontrato molte volte, dicevo.
Nella storia simile di te e di lui, figli di insegnanti e ingegneri forse per vocazione zodiacale.
Nell'amore per i lanci col paracadute, che però non sopporta i voli pindarici. Io sono intensità d'aria, tu acqua e terra, e mi va bene così, perchè vorrei un posto dove tornare. E un posto dove portarti.
Nella ricerca di una carezza che allora non ti sapevo dare, perchè non sapevo di averla. Così è rimasta fra le mie dita fino adesso.
Nella serietà con cui ti prendi cura di me, come hai fatto sempre con altri volti e un solo voto, quello d'accendermi l'amore. L'Amore, anzi.
'Ché intanto che aspettavo di trovarti così, tutto assieme, ti ho visto sparso attorno, ed ho imparato a prendere da ciascuno, e a dare ogni volta quel ch'era necessario per avvicinarci.
Non ti sarei piaciuta dieci anni fa.  Come non ti sono piaciuta quando ci siamo trovati vicinissimi, l'ultima volta; solo che avevi quindici anni in meno e qualche chilo in più, e se uno ti mostrasse le foto che ti ho fatto, non ti riconosceresti. Potresti perfino dire che non sei tu, ma uno con un altro nome, eppure siete nati insieme, lo stesso giorno, per quindici anni. Quelli che ho dovuto aspettare per incontrarti.

"Dove sei stata tutto questo tempo?"
E tu? Perchè Lila lo sa, ha appreso mentre giocava con lo specchio: c'eravamo ora ma non sempre qui; oppure eravamo qui, ma non sempre ora.
Solo ora, finchè la linea dell'immmagine e del riflesso coincidono, possiamo essere qui.

domenica, dicembre 18

Premessa...

Appartenermi vuoi davvero, amico mio?
Tu di nessuno sei, se non di te,
e aneli me conoscer seppur ora,
neppur hai il cuore tuo veduto ancora.
Conoscilo e per prima cosa afferra
la tua prima materia da mutare,
i tuoi metalli tutti, la tua terra
dall’emozioni erosa, che son mare.
E l’aria, che l’animo compone
col fuoco riscaldare devi, piano,
poi mesci tutto ciò nel calderone,
è questo che noi maghi trasmutiamo!
Ponendo il detto sopra a cucinare,
raccolto il materiale da te stesso
vedrai come d’incanto t’apparire
che tutto ti compone pure adesso
che tu cercando vai nell’altrui cuore
il paio, l’altro, che ti dia l’ “Amore”!
Ancora appartenermi non vorrai,
ne’ me vorrai tenere tanto stretta
poiché formando il filtro scoprirai
che dentro ha(i) l’infinito che ti spetta
se immobile al tuo posto non ristai
e muovi, pur muovendoti giammai!



Benvenuti, nuovi lettori, e cari amici "vecchi", 
che passano, aspettano cercano; ciascuno di noi ha dei momenti in cui scrive altrove, in camera esterna se posso dire, e sospende il racconto di sé; ma non dimentichiamoci mai. 
L'attenzione ora, è verso un fuori, che mi sta dentro come un'appartenenza, che però (così avevo auspicato in questo scritto anni fa) non è un possesso egoico.. (e così sia), ma un'espansione di coscienza. 
 

mercoledì, novembre 23

Non dimenticarti di vivere

 "Ciao Lila
la tua amica exinsegnantediyoga ti invita a vedere le sue nuove foto su netBlog... corri a iscriverti così potrete condividere interessi, dialoghi e tutto quello che si può desiderare".
Lila, quel giorno più curiosa del solito, e insolitamente a corto di impegni, decide di giocare; inserisce una foto carina e, senza dettagliare troppo, apre un profilo basso, ma evidentemente appetibile ai più... sicchè in breve si trova sommersa di richieste di amicizia più o meno educate da baldi sconosciuti, e anche da pochi impavidi conosciuti i quali, senza che Lila abbia capito cosa sta succedendo, hanno ricevuto un allegro "Ciao Alicenelpaesedellemeraviglie, la tua amica Lila ti invita a condividere le sue foto... e quant'altro".
(Altri, più prudentemente mi hanno scritto o telfonato per chiedere di cosa si trattasse..altri tacciono, e forse sogghignano nel buio per la mia ingenuità :)  )

Fin qui, il fatto.

Attraverso il tempo, Lila ha viaggiato sola e persa, con una borsa bozzuta e piena nella quale ha stipato tante di quelle cose, che un giorno è stata improvvisamente troppo pesante; così ha iniziato a lasciar qualcosa, e recentemente qualcuno, per strada. Ma ci sono momenti in cui (leoni tutto sommato non si nasce, si cresce!)  si avverte una punta di vuoto e di sconforto. Giorni in cui ti siedi su una sedia lontano da tutto, nella speranza che passi il desiderio di salire le scale per la terrazza e scendere senza (le scale). Solo per vedere quanto a lungo sia possibile volare altrimenti che con la fantasia o con gli aerei.
E' stato, anche questo.
Molto tempo fa e non so più per cosa, tuttavia il ricordo, come un film senza colore e senza sentimento, m'è passato tra le mani mentre le dita tambureggiavano sui tasti, incastrando le facce delle richieste sciocche in quella fetta di cervello che archivia senza (apparentemente) mai riportare fuori. Quella parte che, dicono, non usiamo.

Come un desiderio sprecato invece, quello se ne sta lì e raccoglie le cose, i ricordi, le storie, che gli passano addosso come un'onda, che forse causa un invisibile danno. Un'impronta che lacera i sogni, o talvolta impallidisce il sole con una folgorante intuizione. Perchè no?
Comunque Lila, altre volte più pronta ad evitare il colpo, è rimasta di fronte a tutta quella solitudine che arrivava un po' da ogni dove. Ha lasciato che l'attimo che ti raccoglie nella risacca e ti trascina in un tempo che smarrisce dalla realtà, passasse, cercando una logica che le servisse da amo per ritornare a galla.

E ha chiuso, per tornare ai conforti del buon FacciaLibro, alle delizie dei vostri scritti sui blog, a tutte quelle cose che colmano i momenti nell'Isolachenonc'è, in quel tempo che sembra non finire mai, e invece "alla fine ti accorgi che mancano solo trenta secondi" (cit. da Il mio nome è Nessuno).

Lila ha chiuso le pagine del libro, e ha ripreso a scrivere.

La vita, diceva Peter, può essere una bellissima avventura.

domenica, ottobre 30

Un taglio netto

Lila si guarda allo specchio. Nel momento in cui ha varcato la soglia, e l'uomo che s'è trovata dinanzi le ha sorriso incoraggiante, avrebbe voluto voltare le spalle, andarsene dopo avergli detto: "lasciamo tutto così com'è; a volte, in certe ore, in certi giorni interi come la luna piena, non mi piaccio, ma tutto sommato se mi attardo oltre la superficie, mi riconosco e mi tranquillizzo; e poi ci sono molte volte, in cui mi si mostrano i due lati insieme e i mei occhi sono dello stesso colore".

E' un momento.
Poi si siede, e l'uomo che le appoggia sulle spalle ancora una volta quel mantello nero come il dolore, che sembrava scivolato via tutto stamane nella doccia, pur attardandosi un poco nel formare una veloce spirale, prima di dileguarsi nella condotta dell'acqua.
Lei vorrebbe dire: "tagliami i ricordi. 
Spunta la mia aggressività, alleggerisci la paura che mi attanaglia e mi blocca l'anca impedendomi di andare, l'impazienza che mi fa perdere fiducia nella Vita, nonstante i segni.
Vorrei colorare appena di più la voce, perché scivoli con dolcezza oltre l'orlo della bocca, dettagliando e cambiando le cose, senza ferirmi l'anima. Vorrei arricciarmi la conoscenza, acconciando le parole per renderle comprensibili e lievi, anche quando sussurrano un addio pesante e gravido di novità, come la morte. Tuttavia," e questo lui non l'ha capito, "lascia stare le bianche e rare intuizioni di cui mi sono già appropriata, anche se si stanno intensificando; lascia allungare la parte superiore che ha da sempre una forma definita e morbida, e quella piccola sicurezza che si abboccola dietro all'orecchio, ricadendo avanti ogni volta che mi perdo. Quasi che fosse un gancio a cui restare aggrappati, che qualcuno ha messo lì, perchè non viaggiassi tropppo a lungo sulla via smarrita. Perchè il suono del suo muoversi, è un sussurro di vento che mi suggerisce verità incerdibili".

Lila si sofferma sulla percezione dell'umidità e dell'inevitabile forma della sua testa, mentre l'uomo cui vuole affidare le sue idee, valuta le simmetrie, soppesa le emozioni dei recessi più vecchi, inanella le situazioni per osservarle da vicino ancora una volta. Si guardano, attraverso lo specchio.
E lei vorrebbe dirgli: " Lasciami solo gli amici veri, quelli che ti si appoggiano sulla spalla quando hanno bisogno, e che non hai bisogno di chiedergli di starti vicino quando hai freddo, perchè ti coprono sempre di attenzioni".
Oppure:"Lasciami la passione e l'amore che a volte mi copre gli occhi, perchè si ama da dentro, e quel che vedi, spesso è solo un dettaglio insufficente se non ascolti con attenzione quel che ciascun senso suggerisce".

Lila si tende, raddrizzandosi, nell'attimo di silenzio che precede la decisione; quel "centimetro cubo di opportunità" si dilata con una parvenza infinita, che le rende la consapevolezza che i ricordi resteranno come immagini da sfogliare, e ricresceranno perché non hanno mai fine, non importa quanto corti provi a farli, alleggerendoli dell'emozione che avevano allora, alla luce un po' fredda ma piena in cui si sta guardando.

Guarda l'uomo con le forbici in mano, e mentre cade la prima ciocca, gli dice decisa,: "lasciami essere ogni giorno, esattamente così come sono".



"Come scusa?!"
"Dicevo, magari lasciamo la frangia lunga davanti, e diamo una spuntatina dietro, come le altre volte".

mercoledì, ottobre 26

Non tornare a dormire

Un pensiero per ricordare. Che la Via prosegue passo dopo passo, anche quando sembra che non ci sia niente davanti, e niente alle spalle. Che non ci sia nemmeno il sentiero.  Nemmeno i piedi. 
Eppure, ti era sembrato che la via avesse un cuore, come diceva Castaneda. Ti era sembrato d'essere già su un viaggio di mille miglia. Quando sei sveglio, qualunque cosa ti sembri sai che è solo una corda, alla fin fine. Pure se ti sembra un serpente, un polipo, un grizzly.
Sai che, come diceva il Gatto ad Alice, ogni strada porta da qualche parte, se non ti fermi prima.
A tutti noi, per i viaggi di ogni giorno:

La brezza dell'alba ha segreti da dirti.
Non tornare a dormire.
Devi chiedere quello che davvero vuoi.
Non tornare a dormire.
C'e' gente che va avanti e indietro
attraverso le porte dove i due mondi si toccano.
La porta e' tonda e aperta.
Non tornare a dormire.

                                      Jalal-ud-Din Rumi

giovedì, ottobre 13

In viaggio... dalla vita in poi

A volte, per cambiare le cose bisogna che tutto resti uguale...
lo so, sto parafrasando, girando il motto a mio favore, ma solo per allacciarmi da qui ad un pensiero che da un poco volevo mettere per iscritto, e che Madama Dorè ha trattato proprio in questi giorni.

Uguale è, qui, equivalente. E' da pensarlo come una osservazione accurata ed equanime del presente e del passato, per riportare le cose in equilibrio, quindi non identiche a se stesse, ma nuove, pur se quel che è stato non si può cambiare.


Mi spiego. L'estate, come ho avuto modo di osservare, ha visto finire delle cose, dei sentimenti, dei pensieri. Tuttavia mi ha lasciato accorgere di una ferita profonda, ancorchè guaribile, si spera. E un giorno mi sono trovata in mano un libro di esercizi dal titolo "Ama te stesso", che mi hanno spinta a indagare l'origine di questo farmi ferire, sempre allo stesso modo, nello stesso punto, con dolore che cresce anzichè diminuire, poichè laddove si è già stati colpiti si finisce con l'avere come un livido permanente. Un piccolo punto su cui sembra che non giunga mai il calore del sole, o di un affetto.

Ebbene, in questa immersione catartica nel ricordo, che ho in parte perduto nei cassetti d'ogni giorno, o forse nascosto e non stirato come i panni che celo nell'armadio (perchè stirare, ammettiamolo, è faticoso... e perchè posseggo un sacco di cose, avendo vissuto molto), mi sono ricordata, appunto, che ciò che era non si cambia. Resta uguale. Se non che nel guardarlo, così non pare. Non lo sappiamo più che cos'era. Sappiamo però, OGGI, ORA, QUI, che cos'è.

Da questo punto si riparte. Questa è la valigia che piace a Lila.
La borsa ormai sempre pronta, per viaggi non necessariamente ai limiti del mondo fisico, ma sicuramente che hanno la necessità di oltrepassare il mondo "psichico" fin qui conosciuto. Che hanno la necessità di andare oltre la mente che mente e si lamenta di cose che hanno avuto la loro ragione d'essere, e la loro inevitabilità quando sono state, ma che ora non hanno più necessità di mantenersi.

A volte, per cambiare tutto, bisogna che tutto resti uguale. 
Come il rumore dei treni, che si allontanano caracollando, allo stesso blando ritmo. Resta la forma, resta il fracasso ritmato del ferro sul ferro, la corrente che li sospinge.
Resta.

Un poco.

Poi, sei tu sul binario vuoto. Con la valigia in mano.

Puoi voltare le spalle, o restare a sperare che torni.
E' una scelta, e sicuramente, farai la migliore possibile.

Lila, adesso, esce da questa stazione, e va a scoprire cosa c'è fuori.




martedì, settembre 27

... a Lila piace: qui e ora.

A Lila piace... quando nascono i ricordi.
Ricordarsi di sognare le ali, per lasciarli.
Lasciare la valigia pronta, nel caso che volesse tornare.
E tornare a mani vuote, perchè qualcosa di nuovo possa accadere.

mercoledì, settembre 14

Che bella estate, amore mio..

 E' una estate strana.
Ho sfinito le matite per provare a rendermela tutta colorata. Sono uscite parole e chiaroscuri dell'anima e della vita, mentre cerco allo specchio quella vecchia ragazza, che sapeva ridere e non prendeva mai le cose troppo sul serio, perchè si sa, la vita è un affare così importante che se ne fai una cosa seria, rischia di diventare triste.

E' stata una strana estate, non tanto per il tempo metereologico che ci ha graziato ogni fine settimana permettendomi un'abbronzatura da reato, su lunghe distese sabbiose. Ancora adesso sento un profumo di salsedine tra le dita, dita che finiscono nello smalto colorato che mi propone un nuovo confine, un limite che non ostacola ma apre altre prospettive. Dita che finiscono nel temperamatite, perché se non c'è nessun'altro viaggio di esplorazione da raccontare, nessuna foto di posti fino ad ora sconosciuti, c'è ancora da tratteggiare le dimensioni di volti che si sono introdotti nei vecchi panorami, e parole sussurrate al vento che sono tornate intrecciandosi ai capelli e regalandomi allo specchio un sorriso più aperto., una prospettiva angolata con un fuoco fuori campo. Quello non ancora acceso, ma che già scalda, come se fosse una brace che si prepara prima che la fiamma sia esplosa e consumata.

Questa estate mi sono finite le parole. Le ho dette davvero tutte, ed ora le ricerco con attenzione, per provare a raccontare di un volto che conosco più giovane. Sempre più vicino a quella ragazza di una volta, che è tropppo giovane per i vecchi schemi, che ne ha memoria senza averne più voglia. Che li sa per averli percorsi, ma che fa del mutamento la sua nuova legge, che cancella ogni regola preordinata.

L'aria piena di promesse fatte dalla mente, s'è scontrata con quelle del cuore, che correvano a fianco della tigre mutata in gattino, senza raggiungerla mai. Senza mai far indietreggiare quella satira di sé, nemmeno quando, salito sul ramo più in alto alla ricerca d'una vecchia storia d'amore, ha scoperto che il ramo è finito, e c'era rimasto solo il vecchio, ma dell'amore nessuna traccia.
Non c'era altra scelta, perchè "voltarsi è già un po' tornare, già nostalgia", e il gattino s'è buttato.
Forte delle sue nove vite di felino, Lila se n'è giocata un'altra, sperando che questa possa essere la volta buona. E per una buona volta, pare che le vibrisse siano più lunghe e precettive e le orecchie più grandi e accoglienti per suoni inesplorati.
Le pare d'assomigliarsi di più, mentre s'avvia su un sentiero che sembra privo di tracce.




Lila ha trovato nuove amicizie. L'uomo di latta, lo spaventapasseri e perfino il leone che, nel modo in cui fanno gli amici, le specchiano le strisce e gli occhi, e fra questi a lei sembra scorgere un cervello inebriato di fresco, un cuore rosso begonia, e un coraggio con una criniera così grande, che non saprà mai se potrà usarlo tutto. Nel suo mondo di Oz c'è la strega buona del sud, solo che abita in Svizzera, ma nord o sud non contano quando sai che si tratta solo d'un punto di vista; e che il punto di vista è solo un elemento del disegno.

L'altro, è il pensiero.
E il pensiero è un'energia, e l'energia muove quella matita che traccia ora una ruga lunga e profonda che scende dagli occhi verso il naso, sembrando una lacrima intessuta nella pelle. Ora una piega che arriccia le guance, sollevando i lati della bocca. Finchè il sorriso tenue e nascosto, si fa riso.
E risale le stesse pieghe, dalla bocca agli occhi. E dagli occhi al cuore.

Ho sfinito la matita cercandolo.
E poi... era infondo allo specchio.




lunedì, settembre 5

Non incolpare nessuno

Non incolpare nessuno,
non lamentarti mai di nessuno, di niente,
perché in fondo
Tu hai fatto quello che volevi nella vita.

Accetta la difficoltà di costruire te stesso
ed il valore di cominciare a correggerti.
Il trionfo del vero uomo
proviene delle ceneri del suo errore.

Non lamentarti mai della tua solitudine o della tua sorte,
affrontala con valore e accettala.
In un modo o in un altro
è il risultato delle tue azioni e la prova
che Tu sempre devi vincere.

Non amareggiarti del tuo fallimento
nè attribuirlo agli altri.

Accettati adesso
o continuerai a giustificarti come un bimbo.
Ricordati che qualsiasi momento è buono per cominciare
e che nessuno é così terribile per cedere.

Non dimenticare
che la causa del tuo presente é il tuo passato,
come la causa del tuo futuro sarà il tuo presente.

Apprendi dagli audaci,
dai forti
da chi non accetta compromessi,
da chi vivrà malgrado tutto
pensa meno ai tuoi problemi
e piú al tuo lavoro.

I tuoi problemi, senza alimentarli, moriranno.
Impara a nascere dal dolore
e ad essere piú grande, che è
il più grande degli ostacoli.

Guarda te stesso allo specchio
e sarai libero e forte
e finirai di essere una marionetta delle circostanze,
perché tu stesso sei il tuo destino.

Alzati e guarda il sole nelle mattine
e respira la luce dell’alba.
Tu sei la parte della forza della tua vita.
Adesso svegliati, combatti, cammina,
deciditi e trionferai nella vita;
Non pensare mai al destino,
perché il destino
è il pretesto dei falliti.
 

Pablo Neruda

mercoledì, agosto 17

"... e alla vostra sinistra, si'ori e si'ore, le cucine!"

"La cucina è l'anima della casa", mi dice Luciano, aggrappato al suo bicchiere e spaziando con lo sgurado sull'armata mal assortita di mobili antichi e altri solo vecchi, rabberciati e un po' sgarbati fra loro che circondano il tavolo.
Dopo anni di chiusure ermetiche gli sportelli non serrano più, lasciando intravedere non proprio casualmente quello che c'è dentro. E' come se dei fili legassero le due parti, dentro e fuori, senza tenerle compatte; però la stanza, le pile di piatti, una sofisticata confusione di stili, nell'insieme dava l'impressione di un posto dove si mangiano cose buone. Cose che, per l'appunto, escono dal cuore.
La sua cucina era esattamente come me lo ricordo.
Sul tavolo, nel bicchiere scompagnato di una qualche festa della birra, l'acqua scendendo nel vino ci lasciava dentro un disegno, e solo alla fine si capiva perchè se avesse potuto avrebbe sposato me: sua moglie dipingeva questi intarsi, questi percorsi fra il passato e il ricordo di ciascun pezzo.
L'oggi ero io: ero il ricordo. Ed ero un intarsio incompreso di sua moglie, di quelli che lui le aveva raccontato che esistevano ed ora stava seduto nella sua cucina..  Il futuro, Luciano non l'aveva più. Ma questo, quel giorno non lo sapevamo.

La cucina è il cuore della casa.
Quindi ogni visita si trasforma in un non detto, che racconta molto più della confidenza concessa prendendo un caffè.
C'è una cucina grande, "abitabile" si direbbe in gergo tecnico, il cui centro è completamente vuoto. Tutt'attorno ci senti il calore delle circostanze, dei passanti che si stringono in chiacchere mentre guardano dall'altra parte, come se aspettassero sempre qualcun'altro. E' una stanza dove senti che potresti sederti e guardar passare la vita, quella di qualcun'altro che non è mai arrivato.
Ci abita una donna che vive con suo fratello, e lo accudisce come se lui avesse ancora dieci anni, e lei trenta; non è sposata, e coltiva questi affetti ai margini, facendosene trapunte colorate.

C'è una cucina dove mancano alcuni sportelli, quelli in alto. E lì ci sono promesse di pentole vuote, e intrecci di posate, e cibi con l'aspetto di una idea scappata da uno scaffale di supermercato. Qualcosa di un negozietto etnico, o riportato da un viaggio, s'impone allo sguardo nella confusione, come se potesse in qualche modo far realizzare le intenzioni celate. Celate in basso da sportelli d'acciaio; l'armatura che riflette gelida il tavolo stretto e alto, adossato alla parete di fronte; il cui solo sgabello di legno e metallo si erge a far la guardia ad una tovaglietta dimenticata sotto appunti e giornali.
Ci abita una persona molto sola. Che ha dimenticato cha oltre allo spazio vuoto, quando si aspetta, è bene preparare un posto a sedere perchè qui, sembra non ci si possa fermare. Né ad aspettare che arrivi la vita, né ad inventarsene altre.

Ci sono cucine piccole, quadrate, organizzate, spoglie, ossessive, sfuggenti, robuste, accoglienti, creative.

C'è la cucina della casa dei miei genitori. Ci puoi trovare tutte le spezie di cui hai bisogno, a volte anche due volte; c'è il the nel suo posto nuovo, come se ci fosse da sempre, e il bricco col coperchio che ha visto formulare infusi di calore e affetto, di discorsi e discussioni, di lotte e libertà di pensiero.
C'è sempre un paio di biscotti nella scatola, e un bicchiere pulito, la frutta acciambellata nel cestino.  E' il posto dove il cuore si sente a casa, anche se non è più la casa che hai abitato, ma tanto tu, abiti coloro che ti amano.

E poi, c'è la cucina di casa mia. Quella che non ho comprato ma che ho scelto, e che ho riscelto uguale quando sembrava dovessi traslocare. Avrei cambiato forse uno sportello, quello che lascia vedere un po' troppo dentro, e forse ne avrei messo uno che si apre un po' più verso l'alto; ma sono rimasta qui, ed anche loro.
E' una cucina in cui pensi che tutto possa trovar posto, e in effetti c'è un posto per ciascuno.

E mentre la guardo da fuori, a volte mi pare sia come se s'espandesse; respirando oltre il tavolo, il rosso della poltrona, sul blu del sofà e attraverso la finestra gialla di tende del balcone, l'interno arriva a coincidere con l'esterno.


mercoledì, agosto 10

Il mio mondo di Oz

Ho letto di recente che non c'è bisogno di aspettare un viaggio, o un grande evento, per cambiare le cose. A volte in effetti, bastano delle piccole riconquistate libertà, o la volontà di riprendersi un'anima sgombra, o semplicemente accorgersi di volersi più bene, perchè qualcosa si muova.
In effetti, bisogna essere liberi, perchè il cambiamento avvenga.
Tuttavia non ci si può aspettare che accada con uno "snap", un semplice schiocco delle dita. La magia non è così semplice. Devi aver acquisito il potere di schioccare le dita, o accadono cose strane. Mi viene in tal senso in mente il film di Mary Poppins, quando i bambini mettono in ordine la stanza e il piccolo non riesce nemmeno a schioccare le dita; è in balia degli eventi, fino all'ultimo.

Oppure i libri di Terry Pratchett, quando parla delle sue streghe... che alla fin fine fanno cosa normalissime, ma le fanno in modo magico: standoci completamente dentro. Una delle frasi più belle è che "la cosa più difficile della magia, è non usarla"!
Ebbene, per farlo (non usarla) la devi padroneggiare. E per padroneggiare la magia, che è sostanzialmente l'energia delle cose, si deve conoscere

Dal momento che la conscenza inizia dalle cose semplici, dal minimo sindacale dell'esperibile, Lila ha ri-comincciato a conoscere il suo corpo. Sta indagando i difettucci visivi, cercandone i significati più eleganti e veri.  Così che forse, ad un certo punto, ci vedrà meglio. Più vicino. Più chiaro.

E poi, dato che Lila ha la tendenza ad andare altrove, dopo aver imparato a non fuggire, sta apprendendo a marcare un confine. A stabilire l'inizio e la fine del corpo, in modo che tutti quei movimenti che ci sono dentro, sappiano che le dita sono la fine del fisico.
L'inizio del viaggio, il posto da cui ritornare.
Avviene che, nel mio lavoro, si perda a volte il confine tra sé e la persona con cui si lavora per il recupero dell'armonia. Va bene, finchè non ci si confonde.
Allora ecco che, tracciando con lo smalto colorato le periferie del corpo, avviene che Lila si veda bene i piedi, adesso.

Si veda bene l'inizio e la fine delle mani. Riesca a contare fino a dieci, e poi tornare indietro, dopo che le cose sono andate.

Perchè le cose, tutte, vanno. Vanno i nostri pensieri. I nostri desideri. E "l'energia segue il pensiero", tanto che, direbbe l'amato Pratchett "la gente dovrebbe riflettere, prima di inventare mostri".
Insomma, quando l'altro giorno Lila s'è accorta che le è sfuggito un desiderio, l'ennesiama volta che stava andando via, l'ha visto con chiarezza. Ha vistoa anche che era bello. Buono.
S'è detta che forse, questo saper battere i tacchi è stato un nuovo inizio..per tanto tempo. Ed ora è iniziato.

E ci sarà una casa dove tornare. Un posto vicino dove fermarsi. Ci sarà, stando bene attenti a non rimanere prigionieri, una volta che non dovrà andare via. Anche se avrà sempre una finestra aperta.

mercoledì, agosto 3

Aprire la valigia (e correre in aereoporto - settima e ultima parte)

disegnando la mappa
Prima di lasciare Ronda l'abbiamo annusata, disegnata, socchiusa; ci siamo strette nei suoi vicolini, e siamo scese a veder il ponte dalla valle; abbiamo conosciuto il sediaio che s'è invaghito di Lo', la bella guappa che lo sovrasta di due teste grazie a cui ci regala due libri di foto della città, solo perchè c'è dentro un'istantanea di lui, che lavora. Un personaggio indelebile, anche se la promessa d'inviargli la foto con l'amata bellezza, non l'ho ancora mantenuta. Gelosia? sussurrerà qualcuno scherzosamente... no, un po' di semplice pigrizia. Ma l'importante è che mi sia posta la domanda. 


La casa delle sedie
Ronda, l'altra faccia del ponte

















A Lila comunque piace non essere di quelle persone che t'impattano così, dato che rassomiglia al sussurro leggero dei bambini nascosti sotto il tavolo a giocare (e che ogni tanto lanciano un gridolino allegro..ma un po' tra sé), e che da adulti provano a stare dietro le quinte,  'chè non hanno il senso del palcoscenico, anche se cercano di riempire lo spazio tra sé e il pubblico con torrenti di parole, alla fine arrossiscono e balbettano... e arrossate e balbettanti e con gli occhi brillanti eravamo tutte e tre, a dire il vero, quando siamo salite dalla Mina, ieri; averci i soldi avremmo restaurato la casa del Roi Moro quel giorno stesso.
Averci gli attrezzi, avremmo intonacato e stuccato, dipinto travi e pareti e "stelle sul soffitto" perchè ci ha stregate, la casa, e avremmo voluto accomodarla come per magia.  Questo è piaciuto talmente, alla signora Custode, che ci ha raccomandato il Bar degli spagnoli, lì a Ronda. Dove va lei.

Sierra de Grazalema
Per ciò, prima di partire pranziamo con due lire (costava di più la bibita che il cibo!) e poi eccoci ancora sulla via. Lentamente come ciascun ritorno che si rispetti,  ci inerpichiamo per la strettissima strada che sale attraverso la Sierra de Grazalema; mangiamo more di gelso contemplando gli speroni aguzzi che dettagliano il confine tra i prati e i boschi, ricoprono con le ombre ampie i tetti rossi di Grazalema, e rotolano massi e acqua verso il fondo valle, quando qualche tempesta s'impiglia sulle cime.
Grazalema, il paese





La tempesta, o almeno la sua promessa, la troviamo dall'altro lato, intorno ad Arcos dela Frontera e poi distesa verso Cadice. Si sta facendo tardi, così alla fine torniamo direttamente a Siviglia, con le tasche colme di allegri dettagli sui campi e sulle nuvole, sugli alberi e sui vortici più o meno fisici.

Entrare in città è meno facile del previsto; dopo vari errori, quando ci troviamo su un immenso ponte autostradale dirette verso Altrove, stiamo quasi per soggiacere al panico, quando vedo un promettente cartello d'uscita con scritto "los Remedios".
Evviva, siamo a posto! trillo allegra, poichè comunque ero certa che un rimedio si sarebbe trovato, ma che fosse addirittura scritto così a chiare lettere...
ma poi, dicono le mie passeggere, dove andiamo?
C'è infatti una rotonda...ma sulla prima via che ne parte c'è scritto "Escludida"!


Parco Maria Luisa, Siviglia
Visto, dico io, siamo a posto. Di là no, quindi andiamo dritto.
Le indicazioni, dopo, si fanno meno chiare;  riusciamo comunque ad arrivare nei dintorni di Plaza de Espagna e fare un giro al Parco Maria Luisa, disseminato di graziosi e sorprendenti palazzetti Liberty, costruiti in occasione dell esposizione Iberoamericana del 1929.
Parco Maria Luisa, particolari dei vasi
un posto, a cena
Sospetto che fosse ancora una volta la fame a farmeli comparare con un servizio da the, ma mancavano i biscotti!, così ce ne siamo andate all'ultimo hostal, il meno bello, senz'altro, che comunque è pratico per la collocazione, molto centrale; l'ultima cena andalusa la sbagliamo, entrando stanche e malmostose per l'imminente partenza in un locale sito in un bellissimo patio, ma davvero di poche pretese. L'omino che ci serve si muove asincrono, come se fosse fatto di parti di persona diversa assemblate malamente; magari è frutto della fantasia di uno scrittore, che gli fa asssumere i connotati dei suoi clienti, e domani avrà i capelli neri di Lo', gli occhi verdi di Madama Dorè, le ossa aguzze e cave di Lila.




Casa de Pilatos
L'ultimo giorno arriva, come l'ultima mano di carte. Ce ne resta una, prima di fare i conti, e ce la giochiamo attraversando Siviglia alla ricerca della "Casa de Pilatos"; uno di quei posti che spesso neppure i sivigliani hanno visto... un po' come i romani con il Colosseo.

Casa de Pilatos, Siviglia
E, come il Colosseo per il romano D.O.C. la prima volta che ci mette piede,  la Casa ci lascia a bocca aperta.
Tra rinascimento classico e Mudejar, ancora una volta spazi e pieni si allacciano in una danza romantica e lenta,  al cui passo ci adeguiamo scivolando tra i cortili e le sale del piano terra, fino a riempirci gli ultimi recessi delle borse di sorpresa e incanto...
E trovarci quindi, dopo un leggero shopping per trattenere ancora un poco i piedi in questa terra (sempre alla ricerca di scarpe, in pratica :) ), pronte a tornare.









Batto i tacchi. Uno, due, tre.

                                       "non c'è nessun posto come casa mia" disse Doroty...

Roma, il Colosseo

giovedì, luglio 28

Aprire la valigia (e metterci dentro i ricordi - parte VI)

Ormai impresse nella sua storia, ci allontaniamo da Granada,  seminando le nuvole e il freddo;  indeterminate sui tempi delle prossime visite, ma non sulla meta, ci dirigiamo, come previsto verso Antequera.
pena de los Enamorados

Per arrivare attraversiamo una landa che vorrebbe, senza averne la secchezza, assomigliare ad uno di quei deserti americani con i picchi che si lanciano duri contro il cielo terso, e difatti quasi ricordo dell'amore non consumato dell'Alhambra, si materializza di fronte a noi la pena de lo Enamorados, celando ancora brevemente alla vista, la nostra meta. 

La tappa è stata scelta per la presenza dei Dolmen, che introducono un aspetto totalmente diverso nella visione, distante secoli dalle meraviglie Mudejar, allo stesso modo ineguagliabile per la propria bellezza.
 Sono stata a Stonehenge e, forse perchè là si è condannati a girare intorno e lontano alla struttura, lasciando che i corvi s'impossessino del residuo mistico, ma qui mi pare vi sia un tocco in più; quel pizzico di magia che beneficia, per rimanere, della scarsa presenza di visitatori, che consente di restarvi all'interno, in silenzio, godendo degli anfratti della pietra e del ventre della terra. 
Antequera, primo Dolmen
Antequera, secondo Dolmen

Antequera, terzo Dolmen




Antequera, chiesa barocca
Il paese  è un gioco di tetti e pareti bianche, di vicoli e fortezze, fra i cui merli si gode la splendida vista della vallata... vale la Pena!

Comunque decidiamo di farci bastare una chiesa barocca, indicata dalla guida per il tetto particolare, che scopriamo avere una strana delicatezza e un silenzio racchiuso, che sembra d'esser la polpa di noce nel suo guscio, a starci dentro. Te lo gusti, con i suoi saporiti intrecci di stili, che riducono l'impatto generalmente prepotente dello stile puro.

Ci basta così, anche se avremmo voluto curiosare qualche negozietto, ma l'ora è di quelle che inclinano alla siesta i negozianti, indi ci rimettiamo in marcia, verso la penultima notte.
La nostra piccola avventura, una piccola attesa che ha aumentato l'eccitazione del viaggio. E' infatti l'unica notte senza hostal prenotato.
A dire il vero, stanche, accaldate e già incuriosite dalla città, quando arriviamo a Ronda i brividi d'eccitazione sono scomparsi, e manifestiamo il nostro essere in pieno. Io, inessenziale e stanca opterei per il primo posto possibile, pure caro purchè centrale; anzi, magari caro, tanto per viziarci un poco. Lo', che ha agguantato la cartina con i pochi riferimenti presi da casa, indica una qualche Reina Victoria, che suona bene, e anche spendereccio. Madama Dorè, più pratica, mentre vaghiamo tra i numerosi sensi unici perdendo un po' la bussola, ci indica un albergo proprio lì, sopra al posto macchina gratuito in strada. Alla fine si rivela la scelta giusta: carino, economico, spazioso, centralissimo. L'Hotel Molinos ci fornirà anche una colazione tipica (pane tostato e pomodoro... ma giuro: un sacco di spagnoli la usano!); questo tuttavia deve ancora accadere.

Ombre di viaggio
Ora ci affrettiamo per la via, in direzione dei bagni arabi, una delle "attrazioni" che continuano a sfuggirci (a Granada, altrove, e alla fine... anche qui!). Nel frattempo scopriamo il parco sulla rupe, che fa planare gli sguardi giù per la campagna che si distende, allegra e animata, fino alle Sierre circostanti.
Sostiamo per vedere l'Arena deToros, sorprese dal vento freddo che ha rapidamente preso possesso della cittadina, e che raggela il sangue ribollente di rabbia ed orrore, di fronte all'esposizione museale delle stampe e degli abiti inerenti alle Corride. 

Poi, attraverso il ponte, saltiamo nella vecchia città, valicando il baratro in fondo al quale scorre il Guadalevin, più casto e timido del Guadalquivir anche perchè, da questo dislivello che ci separa dalle acque sembra molto silenzioso!

Il nostro destino con i bagni, come accennato, si riconferma rapidamente; nella discesa che vi condurrebbe, affascinata dall'esterno della Casa del Roi Moro, Lo' propone di fermarsi, e il suo ginocchio, dati i nostri tentennamenti, decide che questa visita è prioritaria;  per impedirci d'oltrepassare cotanta decadente meraviglia, si sacrifica alla causa e si incide eternamente sul ciottolato, con l'occasione tranciando di netto il sandaletto acquistato da Lo' a Siviglia.

Dopo un po' di pronto soccorso (corro in Farmacia a comprare Arnica in granuli e pomata), così convinte e nel frattempo adeguatamente edotte su Ronda da un vecchietto del luogo che ha assistito alla scena, "scegliamo" di inoltrarci nella casa fatiscente. 
particolare della Casa del Roi Moro

la Mina



E forse è stato per questo, o per averla scampata con una brutta botta ma nessuna frattura, a parte quella irriparabile della scarpina che non val neanche come monile di cristallo da lasciarsi dietro per un ipotetico principe, o perchè alla fine della lunga discesa nella Mina lo spettacolo è impareggiabile...

sul fondo della Mina


lo Stregatto (poco sorridente)
Fatto è che sulle stradine bianche di Ronda è rimasto un pezzetto del mio cuore; dei nostri cuori. Ombre impresse dalle luci della sera, che non si dilegueranno domani, e che ancora ondeggiano, se guardate bene, sulle scale della Casa, nella passeggiata per il Ponte, in qualche Calle minuscola e affollata di rondini vere e Stregatti da cortile.







il Ponte
Ceniamo italiano (una fantastica pasta alla marinara!), tanto per embricare i due mondi e non porre alcun confine e far patria dell'Andalusia. I sapori si mischiano perfettamente, e senza meno lo stomaco, nostalgico, ne gioisce;  decidiamo che rimarremo anche domani, sacrificando la visita  a Cadice per una esplorazione che cancelli la caduta, ed innalzi i nostri animi oltre i 100 metri del crepaccio fra le due città... in una.

martedì, luglio 19

Aprire la valigia (e tirare fuori il cappotto - quinta parte II )


 Dunque... abbiamo chiuso gli occhi, con ancora l'immagine di ombre proiettate dal sole che allietava le colline e lambiva la Sierra. La notte, almeno la mia, trascorre male, funestata da un udito iper sensibile alle fusa di Lo', e forse da una certa rivolta dello stomaco all'ennesima frittura. Alle tre sono sulla terrazza della pensione, ad ammirare un meraviglioso cielo stellato, che mi fa da coperta fresca, e mi rasserena quando, alla fine, mi addormento sul divano del salottino comune.

Le perturbazioni del mio stomaco però, al mattino, sembrano appartenere anche a qualcosa di più grande. Lo dico sempre, poiché è vero: Tutto è Uno.
E il cielo, complice della mia mente limpida e sveglia di notte, al mattino si mostra come il mio visino cupo e impastato di sonno... cioè nuvoloso e freddo.

L'ottimismo non muore mai (e purtroppo non agonizza nemmeno quel tanto da convincermi a prendere la giacca), e comunque La visita è prenotata per oggi; così ci avviamo, pronte ad appagare la nostra ricerca di bellezza, alla volta del bus che in pochi minuti ci conduce all'Alhambra.

Arrivo all'Alhambra
Lo spettacolo, nonostante il cielo grigio e i nuvoloni che si accalcano inesorabili fra le cime della Sierra, minacciando di riversarcisi addosso, è incredibile.
Iniziamo dal Generalife, ove ci accolgono rose tondeggianti e piene delle gocce d'acqua lasciate dalla pioggia mattutina; giardini con immense siepi verdi, e poi il Palazzo bianco, che svetta in fondo, a volte inguainato in quel sole che s'affaccia burlone, promettendo ma senza mantenere di irradiarci un poco. Fa freddo, ma il susseguirsi di prospettive, di terrazzamenti intarsiati di altri coloratissimi fiori, il gorgoglio dell'acqua che scende lungo il corrimano, appositamente scavato, ci distraggono e ci immergono nella delizia più pura. Ci par d'essere, nonostante l'anacronismo dei turisti giapponesi, delle dame d'altri tempi, che siedono e passeggiano, e annusano inebriandosi con le soavi varietà di flora.



Generalife, i giardini
Magnolia



Dedichiamo buona parte della mattina alla visita, e ci addentriamo poi nell'Alhambra vera e propria quando le nuvole sono rotolate dai monti pronte a scoppiare; prorompe nella quiete la voce sottile della pioggia, che ci caccia dal nuovo giardino incontrato appena oltre le mura; fortunatamente la voglia di calore e di riparo si soddisfano in un Caffè che ci accoglie, con aria orientaleggiante, proprio pochi metri dopo l'inizio dell'acquazzone.
Ci adeguiamo filosoficamente, e con tempismo perfetto terminiamo le bevande assieme alle ultime gocce di pioggia. E proseguiamo nella visita, baciate di nuovo da un tiepido sole che non scalda le ossa.

Palazzo di Carlo V

Arriviamo al palazzo di Carlo V e ne percorriamo le sale animate dalla mostra su Escher, e da un nido di uccellini curiosi, che Lo' ha scoperto seguendo gli sguardi dei turisti del Sol Levante.
Prese da una attesa sempre crescente per la visita ai Palazzi Nazaridi (ora fissata le 12.30) ci affrettiamo forse un po' troppo nell' esplorazione alla fortezza vecchia, che purtroppo è consentita una sola volta (non ci si può tornare dopo, quindi), nel corso della  visita.
Pazienza.
L'evento atteso si fa vicinissimo, e alle dodici e quindici siamo pronte, prime della fila, per poter entrare a vedere i Palazzi.

Il sole che quasi arrivava a scaldarmi il viso (per il resto ho usato i Phon nei bagni pubblici) ma che perlomeno ci ha un po' sorriso, improvvisamente si ripara dietro una nube, timido forse per l'eccitazione con cui i turisti lo hanno accolto, e le nubi, pronte come sempre a celarlo, nell'alacrità del loro compito si scontrano e... forse si fanno male. Iniziano a piangerci addosso il loro sconforto. E un po', devo dirlo, anche il nostro.
Ci stringiamo tutti e trecento sotto un minuscolo ombrellone, chi cercando il caldo, chi un effettivo riparo; americani, spagnoli, inglesi, italiani, giapponesi, siamo tutti stretti qui, con l'aria vagamente triste.
E Lo' mi sussurra: "ci vorrebbe sai, di cantare "I'm singing in the rain"".
E io, intonando, voce udibile: "Just singing in the rain..."
e poi, forte, in coro... "and I'm happy again!"
Gli americani ridono, e i giapponesi, quando intoniamo "o Sole mio" tentano anche un timido accompagnamento. E mentre ci scaldiamo la voce con "I don't care the sun don't shine" arriva finalmente l'ora fatidica, e ci introducono nei Palazzi.


Palazzi Nazaridi, particolare delle decorazioni

Tra un arabesco e un muro inclinato, tra una porta e i Leoni in restauro, Lo' fa in tempo ad innamorarsi, perdutamente ricambiata di una delle guardie, che si dimostra un Cicerone efficace e solerte, e fatica a staccarcisi di dosso.
Purtroppo non c'è per ora nessun romantico seguito, in quanto non si sono scambiati i numeri di telefono, ma il sottile tessuto romantico si intreccia alle sale incredibili, aleggia tra gli spazi dei morbidi arzigogoli, e si insinua come un calore sottile nelle fredde membra, che faticano ad alzare la macchinetta (per fortuna si scarica la batteria) e permettono solo ormai un movimento d'occhi, instancabili.

Che dire di più? Bisogna andarci;  ci sono "cose che ridire / né sa né può chi di lassú discende" direbbe il buon Dante. E' una di quelle cose da fare nella vita., uno di quei due o tre viaggi che ti restano nel cuore.
Così, discese da tanto cielo, assieme agli ultimi rovesci di pioggia ci dileguiamo per un po' dal mondo nella nostra linda pensioncina, riposando per metabolizzare il 'sacro', prima di dedicarci al profano shopping.

Qualche paio di scarpe e sacchetti di spezie più tardi, ceniamo a Paella, insalata e briciole di pane fritto, tutto condito dell'olio meno buono che abbiamo trovato, ma pur sempre meritevole. Come detto.


Al mattino ci allontaniamo verso nuova meta (Antequera), seguendo prima l'odor dei biscotti e del cappuccino, e poi la direzione dal vento....





Badando bene di procedere lentamente !

mercoledì, luglio 13

Aprire la valigia (e poi la mappa della Spagna -quinta parte)

Cordova, girando la Juderia
   Quando usciamo dalla Mezquita, stordite dal fascino dell'interno e dalla luce e dal calore esterni, ci soffermiamo nel cortile innanzi mandando a memoria i particolari e assorbendo l'esperienza, mentre tento di risolvere un problemino con la carta di credito. La brutta sorpresa è stata, infatti, un messaggio della banca che comunicava una richiesta di danaro doppia rispetto al previsto, per il noleggio dell'auto. Confesso che per qualche istante, invece che tra gli arabeschi, mi sono persa il cuore sotto il pavimento...  La testa se n'è fuggita fuori, e le gambe non avevano più molte fantasie, se non quella di uscire e "fare qualcosa".  Tuttavia ho lasciato che l'attimo passasse, e mentre mi riprendevo gli scatti con un balzo d'occhi verso le curve degli archi, ho capito che quel momento non sarebbe tornato.
E me lo sono goduto fino in fondo.

(Per i curiosi: alla fine trattavasi, ovviamente, di una specie di caparra, che viene restituita al momento in cui si rende l'auto. Il che, naturalmente, ha reso a me il respiro.)
La passeggiata per la Juderia, il bagno coi piedi nella fontana per far riaffluire il sangue in tutti gli anfratti del corpo, dopo che s'era concentrato negli occhi per lo stupore, la cena elegante con cameriere delizioso, e una sorprendente torta de queso, hanno concluso la giornata più che degnamente.
Tra le mura bianche e strette, innaffiate di buganville e di luna, il cuore ha ripreso battiti regolari, sognando già, al fresco del condizionatore, le meraviglie di domani.


Cordova, una chiesa per caso

Cordova, dopo il caffè!













La mattina scoviamo un localino veramente indigeno, per fare colazione prima di recarci al Palacio de Viana, decantato dalla guida come una deliziosa sorpresa. Ma la fortuna aveva voltato la faccia bendata altrove, e ci siamo ritrovate a contemplare l'esterno e le scritte sui muri (lunedì chiuso - ! -), e poi vicoli e chiese sulla via di ritorno... o della partenza.

   Chiusa la valigia, partiamo infatti alla volta di Granada, percorrendo una strada incantevole, che si snoda tra canzoni ripescate nella memoria di nastri e vinile, campi di girasoli e interminabili distese di ulivi. E devo dire che tanto sforza paga, in quanto l'olio qui in Andalusia, è veramente buono.  da per tutto.
 E anche il caffè.
All'ultima curva prima di intravedere Granada, facciamo tappa in un baretto per rinfrescar la schiena e corroborare lo spirito con la nera bevanda. Senza sapere quel che ci attende.


arrivo a Granada
Chi semina (la) fortuna, raccoglierà tempesta:

la fortuna purtroppo è rimasta alle nostre spalle, e ci troviamo a fronteggiare una città molto più grande dell'immaginato, e squassata dai lavori stradali, che sembrano in corso un po' ovunque!
Cerchiamo però di non perderci d'animo; neppure quando ci troviamo a girare in tondo, ad infilarci nella ZTL, a ripercorrere la stessa strada avanti e dietro perchè non si leggono i nomi delle vie, e il nostro piano ben congegnato per raggiungere l'Hostal sembra fallire sotto la pioggia incessante. Neppure con lo scoprire che qui fanno 15°, invece dei 30° previsti, o che è l'ora di punta e la strada è piena di pargoli urlanti che escono da scuola.

Con l'animo saldo (al volante e al dio protettore degli automobilistianoleggio) riusciamo, con una avvincente manovra, ad infilarci nel vicolo che porta alla Pension Suecia, attraverso un portale talmente stretto che devi proprio essere in perpendicolare, per passare.
Stretta è la via che conduce alla felicità, comunque, e noi stringendoci un po', riusciamo ad infilarci anche nella stanza della pensione, che si rivela deliziosa e sarebbe perfetta per due, ma è tremendamente stretta in tre; infatti ci sono due letti e un divano letto,  che però, una volta aperto, blocca il passaggio per il bagno (e la porta!) dai due letti. 
Diversi spostamenti di mobiletti più tardi, riusciamo ad uscire dalla stanza e iniziamo la visita alla città. L'Alhambra, su cui purtroppo non abbiamo potuto fare a meno di carcicare grandi aspettative, l'abbiamo prenotata (LINK QUI) per domani. 

Scendiamo dalla collina, e ci imbattiamo casualmente nella Cattedrale (l'ingresso è quasi nascosto da grandi palazzi), mentre cerchiamo l'Albaicin e el mirador de San Nicolas. L'interno barocco s'allontana molto dalle bellezze mudejar, e presto decidiamo di passare all'esterno, trovandolo molto più soddisfacente. forse per via di quei banchetti di spezie, cui rapiamo l'aroma col naso succhiando zucchero integrale a cristalli. Una sorta di tisana d'aria aperta!

Ci inerpicheremo poi sulla collina;  l'ardua impresa in effetti merita, se pensate a tutta la città vista dall'alto: rossiccia e fitta di tetti da un lato, dove emerge la Cattedrale e si scorge l'anello stradale che tange la città vecchia, e la campagna che se ne allontana. Bianca e fitta di tetti dall'altro oltre il quale, sulla piana dell'altra collina svetta l'ambita meta!

L'Alhambra, fortezza vecchia
Sospinte ancora una volta dalle bizzarre idee da turista ( mangiare!), perplesse e felici d'essere irradiate dal sole che ha finalmente riflesso i suoi allegri raggi sulla Sierra Nevada, facendone risplendere la bianca calotta, torniamo verso Campo del Principe, zona consigliata per le Tapas, nonchè a due passi dall'alloggio.
La cena è eccellente, fritta e abbondante. Poco altro ci rimane alla fine, se non desiderare che presto arrivino le 8.30 di martedì, per varcare le soglie della cantata meraviglia... 
- continua nel prossimo post :)  -


Granada, l'Alhambra, vista dalla moschea

domenica, luglio 3

Aprire la valigia (in un'altra stanza -quarta parte)

Cordova ci accoglie con cordialità, dopo un piacevole percorso sull'autovia che, senza sfiorarlo, risale il Gualquivir fino a qui.
Abbiamo salutato Siviglia di primo mattino, al suono dei semafori pedonali che, quando il tempo del verde sta per finire, mostrano un omino verde che corre, ticchettando per avvisare anche i non vedenti.
Civilissima Spagna! Lungo le strade ci rallegra con cartelli che indicano l'inizio e la "fin tramos de concentration de accidentes", di cui il più bello è senz'altro sulla lunga curva che scende da una collina, proprio prima di Cordova...  che se non fai attenzione rischi di finire in quei campi sterminati di girasoli che affollano la piana più sotto.

Cordova, mura dell'Alcazar

Ci introduciamo in città, alla ricerca dell'Hostal la Fuente, che si rivelerà l'alloggio più carino tra quelli prenotati, ma le nostre abilità di viaggiatrici si scontrano con l'approssimativa mappa del posto. Ferme ad un incrocio veniamo quindi soccorse da un motociclista, che ci accompagna propio di fronte all'albergo!
Nell'attesa della camera abbiamo il tempo di studiare gli arredi del delizioso patio, e pianificare la visita; scalpitiamo, per timore di perderci l'Alcazar che, di domenica, chiude alle quattordici.
 Tuttavia, la fortuna che ci ha atteso sulle porte della città, ci conduce a braccetto tutto il giorno, e riusciamo a penetrare la fortezza per tempo, senza necessità di porla sotto assedio.


Cordova, dale torri dell'Alcazar, veduta della città












Cordova, Giardini dell?Alcazar

  


Nei suoi giardini e sulle sue torri, nonstante la discussione con l'ometto che dirige il traffico verso quest'ultime, e che si rivela scontroso e tiranno, ci incantiamo a dovere.. Il posto merita davvero, benchè non abbia la magnificenza dell'Alcazar sivigliano, e la natura ci sorride dal giardino dei limoni, regalandocene un paio appena caduti, che nell'asprezza succosa ci rendono freschezza e solarità.
Cordova, le mura della Mezquita
 Usciamo raggianti di felicità, sotto un sole che riempie gli occhi e le membra, e lasciamo che ci penetri fino ai piedi, che vorrebbero già correre alla Mezquita. Ma la calura è tanta, e la decisione di prender il tempo con garbo senza timore di perder troppo (da vedere c'è così tanto che comunque la giornata è insufficente), ci fa soffermare con un gelato all'ombra delle mura, prima d'accedere alle superbe meraviglie di questa architettura.

Cordova, Mezquita, particolari esterni






   Ciascun particolare ruba sguardi, arricchendo il bagaglio senza pesare. E alla fine, con la brama placata dalla solennità del luogo, ci addentriamo nella geometria innalzante, che conduce gli sguardi fuori da se stessi, verso un cielo munito di cerchi bianchi e rossi, di antichi giochi mudejar, mescolati con le zone riportate a splendore da un restauro accurato e rispettoso.



  Perse nella ricerca delle solitudini (cioè di momenti in cui non ci siano turisti tra noi e lo sguado della machcina fotografica :D ) ci perdianìmo tra noi, arrivando al primo screzio dovuto alla disorganizzazione. Ma dura poco, poichè la bellezza dell'umano lavoro riscende nei cuori, e riporta la mente verso la contemplazione distogliendola dall'umana beffa che le potrebbe rovinare lo spettacolo.
Tutto si fa silenzio. E visione.

Cordova, Mezquita, interni

Cordova, interno della Mezquita

Mezquita, interni

Cordova, geometrie nella Mezquita

Cordova, Mezquita, ipotesi di bianco e rosso