sabato, novembre 15

Il testamento di A.D. (l'altra me)

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TESTAMENTO
Miei cari adesso io non son più là,
son eco del passato, è divertente!
pensar, che quando allora scrissi
dicevo poco, e significava niente.
Ma Vi prego adesso di restare
per un poco ad udire le mie prose,
non perché venga a disvelar segreti
ma de’o partir per sponde più gioiose.

Nel prepararmi a lasciarvi, tuttavia
un po’ ho paura, il cuore batte svelto
vi scrivo e logoro la viltà mia:
io starò bene, perché ho già sofferto.
Poi mi par più l’ansia d’andare sola,
non rivedervi e non riudir parola
da voi che sacramente alla mia vita
la vostra accordaste, con bontà infinita.
E credo, giacché parlo supponendo,
dicevo, credo, che morendo
finalmente m’è riuscito realizzare
quello che viva potei già sognare.
Insomma,che esperienza, e cosa dire?
Infine Sono! e m’è tocca’ morire!
E allora: de’ miei oggetti, e del denaro,
vile gioia, fate voi, non mi fu caro,
ma se restasse qualcosa ancor di buono,
del corpo mio, datelo a un altro uomo.
Vi prego (cari) date voi per tutto quanto
io non riuscivo, seppur volevo tanto.
Ma lasciate, quando sarà tempo,
andar lo spir’to mio che già da adesso
mi par d’ascoltare ogni momento
chiedermi, il burlone, quando? posso?
Ancora no, sovente gli rispondo,
ma quanto? non so dire sia
il tempo che m’è dato al mondo
dunque m’appresto a finir questa mia.
Di quest’umile vaso che trattenne
l’anima mia accanto a voi per tanto,
dopo aver il ben ‘servato dato via,
dissolvetelo! vegliarlo non é vanto.
Ardevo, io, e dunque sia bruciato
e la cenere d’attorno sparpagliata,
del mio elemento, così sarò la dama;
tornerò al mare, che mi fu fratello,
ed alla madre terra che reclama
quel che con vita aveva reso bello!
Ma il flusso eterno del riflusso al globo
vi prego non bloccate col cemento,
qualor sepolta mi voleste in qualche luogo
sia senza bara, e dove passa il vento.

Cos’altro resta, se non le mie parole,
ma quelle dette giacciono, e son vostre,
così vi chiedo ancora, per finire,
nel condannar di non volervi divertire;
le azioni fatte son passate in giudicato
di cui si legga “ciò che è stato è stato”
E’ vero che ero umana, è colpa mia!
che delle tante ho scelto questa via,
ma ad i miei sgarbi, nei riguardi vostri,
pregherei trovar la spiegazione
nel fatto che, giocando sulla terra,
solo una parte aveo della visione!

E delle vostre colpe verso me?
Siete poi certi voi, d’averne avute?
io non ne vedo e so soltanto che
andando via si mutan le vedute.
Così vorrei che perdonaste adesso
la parte sciocca di coscienza ria,
che sbagliò, credendo delle offese
che la colpa fosse vostra, e non la mia.

Scusate dunque gli errori e le mancanze,
domando troppo? ancor ripeterei
di scordare litigi e dissonanze
perché v’ho amato, o non vi scriverei
quest’ultimo nostalgico, amorevole saluto
adesso che in silenzio, serena, mi trasmuto.
A voi che ‘state auguro amore e ridere,
ed il coraggio per riuscir ad affrontare
tutto quel che fa contorno al vivere,
con la gioia, il brutto ed il dolore.
V’auguro forza, e ‘scienza per conoscere
la bellezza in tutto ciò ch’è fatto;
io incespicai, ma se sbagliai nel crescere,
persi energie e mi restò poc’altro,
so ch’or la forza qui mi sarà bastante
per ritornare nell’immensità,
dopo esser stata, fra tanti, un figurante.
Che dire ancora? Addio, vi attendo là.

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