lunedì, novembre 3

Io e Bev

Non lo sapevo.
Oggi, svegliandomi non sapevo ancora che ce l'avrei fatta. Dopo l'attesa, che porta per se stessa gioia, stavo quasi per lasciar perdere. Così la mattina si è stirata i propri angoli, mentre il volto mi si spiegava lentamente e in modo incompleto (ma forse le rughe c'erano anche ieri) dopo una cattiva nottata, che nemmeno il caffè ha cancellare; le memorie della sera vi galleggiavano dentro. Ero così, sospesa e un po' dispersa in questi fumi, con l'alito del rauco vento di Velletri che mi sibilava ancora nelle orecchie, quando altro vento s'è intrufolato nelle asperità d'una giornata che faticava ad iniziare.
Mi sono vestita "come per", all'improvviso, quasi fingendo che accadesse a qualcun altro, per smorzare la paura di non farcela. Ho mascherato la bramosia in un altro caffè, ho spillato la paura all'etichetta dei fiori di Bach, trangugiandoli come per affogare in quelle poche gocce tutta la storia degli ultimi cinque mesi.
Poi sono scivolata fuori casa, incollata al muro, come se potesse sostenermi davvero, giù fino al parcheggio sotterraneo. Ed era lì.
Come l'avevo lasciato ieri, e ieri l'altro. Il casco coperto di plastica per non impolverarsi, in cantina. Nel bauletto ancora l'ombrello piccolo, d'emergenza. Mi soffermo a pensarci, per acquistare tempo: se piovesse non riparerei neppure il naso, sotto quel cosino piccolo piccolo... Non funziona, a lungo. Accendo il motore, che stenta un po', dopo tanto riposo, e mi siedo in sella, a riascoltare la vibrazione leggera, le fusa della bestiola non viva, che mi fa sentire viva.
Lo ricordavo meno pesante, mentre lo scavalletto. Ma la schiena non protesta, quindi inizio qualche lento giro nel garage, sperando che mi basti. Come è è possibilie? Appena scorgo la luce, fuori della rampa, quelle artificiali dell'interno si spengono sul tremore leggero delle mani. Il cuore balza su, fuori della rampa e dentro nella gola, prima che abbia dato gas, ma quando lo raggiungo, nel sole d'una domenica incredibile, dopo tutta la pioggia, la strada diventa l'amica di sempre; quella dove posso, di nuovo bambina ed invincibile, giocare a correre imbozzolarmi nell'aria che si schianta addosso alla giacca, penetra dalle maniche e s'infiltra nei recessi più scuri, liberando le ansie che naufragano sugli scogli dei ricordi.
Come se fosse la prima volta, ma una di quelle in cui con sorpresa scopri che sai già come devi procedere, mi avvio per una strada che sale, su cui, perciò mi sembra adeguata, guidai la prima volta il Beverly 400 di un mio amico. Come allora, nessun sorpasso, concentrata come sono sul mantenermi incollata e verticale sulla striscia d'asfalto. Come allora il brivido che mi anima mi porta più su, di quella striscia d'asfalto.
Come allora il mezzo termine del viaggio è Frascati, privo delle stelle lasciate a terra, che di notte illuminano la vallata di Roma; le luci della città sono spente, riposano in attesa della notte. ed io riposo, in attesa del ritorno.
Invecchio qui, riposando, di questi 15 chilometri che tagliano via l'infanzia di questa nuova vita, iniziata 'finendo' per terra.
Poi torno a casa, per la prima volta.

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