S'apre velocemente la finestra, lasciata socchiusa e sospinta, quasi con rabbia dal vento che irrrompe nelle stanza. L'aria si schiaccia contro le pareti, rotola sulla superficie polverosa dei mobili, gratta la luce rendendola più mobile; trapassa la superficie del rumore che ho fatto, un singhiozzo che ha spirato fuori ancora un altro ricordo.
La chiave per effettuare il cambiamento sembra , tuttavia, essere nella lentezza. Nella quiete, che segue al tempestoso arruffarsi di intuizioni, di nuove conquiste, del semplice desiderio che qualcosa riesca a cambiare.
Occorre essere come il vento, che con pazienza incide il suo silenzio e la sua voce addosso alla pelle della terra. Occorre essere la terra. che all'apparenza si fa segnare, conducendo il vento a disegnarle addosso un segno segreto, che le ricorda le origini di sè.
Lentamente.
Il tempo è passato; sembra sempre "troppo in fretta" ma non è esattamente così. Passa lento, ma perde consistenza, con lo scivolare dietro, così come l'aria quando esce dalla stanza, e sembra che non esserci stata mai. La polvere si deposita. La luce torna un serico abbraccio e quel colpo che sembrava aver toccato le pareti si scorge appena, e poi non più.
Allo stesso modo, il dolore, se lo lasciamo andare, lentamente scompare. Quel che resta, semmai, è l'abitudine di dire "quanto ho sofferto", che lo rinvigorisce nel ricordo. C'è stato, e tanto. Ma questa volta sono stata attenta, l'ho vissuto tutto, in un tempo che s'è dilatato con lui fino a scomparire.
La finestra ora resta aperta.
La chiave per effettuare il cambiamento sembra , tuttavia, essere nella lentezza. Nella quiete, che segue al tempestoso arruffarsi di intuizioni, di nuove conquiste, del semplice desiderio che qualcosa riesca a cambiare.
Occorre essere come il vento, che con pazienza incide il suo silenzio e la sua voce addosso alla pelle della terra. Occorre essere la terra. che all'apparenza si fa segnare, conducendo il vento a disegnarle addosso un segno segreto, che le ricorda le origini di sè.
Lentamente.
Il tempo è passato; sembra sempre "troppo in fretta" ma non è esattamente così. Passa lento, ma perde consistenza, con lo scivolare dietro, così come l'aria quando esce dalla stanza, e sembra che non esserci stata mai. La polvere si deposita. La luce torna un serico abbraccio e quel colpo che sembrava aver toccato le pareti si scorge appena, e poi non più.
Allo stesso modo, il dolore, se lo lasciamo andare, lentamente scompare. Quel che resta, semmai, è l'abitudine di dire "quanto ho sofferto", che lo rinvigorisce nel ricordo. C'è stato, e tanto. Ma questa volta sono stata attenta, l'ho vissuto tutto, in un tempo che s'è dilatato con lui fino a scomparire.
La finestra ora resta aperta.
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