sabato, ottobre 11

Luci di città

La città è inebriante. Ti riempie la coppa dello sguardo fino a stordirti con piccoli ritratti d'altri mondi e d'altre vite, che brevemente s'innestano nella tua. Perdono rapidamente d'importanza, è vero. Giri la pagina , e mentre leggi di suoni azzurri e di altre storie, su quella lì chissà cosa finisce con l'accaderci. A volte, lo abbiamo fatto tutti, rivolto di fretta il foglio, per vedere se si scorge qualcosa di diverso; ma come i giocattoli dei bambini, che si rimettono tutti dove son stati lasciati appena il piccolo sembra svegliarsi, anche le storie quando le riguardi sembrano non essere cambiate affatto. Almeno quelle che si raccontano oggi.
Un cane è riuscito a farsi portare nel cesto bianco della bici, foderato con una vecchia camicia a scacchi, perlopiù gialla, e svetta col capo cambiando la vista sul mondo. Un po' più in alto del solito, si prende un vantaggio sul vecchio cane lupo , sbeffeggiandolo, per quest'unica volta in cui gli è concesso non guardarlo dal basso.
Nessuno sembra accorgersi del gioco di sguardi, e al verde del semaforo la brillante vittoria si smarrisce nel tempo, confusa nella melodia dell'uomo con la tromba, che gareggia con i clacson e l'allegro chiacchericcio delle bambine in fuga dalla scuola. Sgocciola motivi rotondi, che fanno sorridere un giovane col vestito mentale dell'intellettuale di una volta. Si allontana, dondolando a tempo sulle lunghe gambe, un libro imbustato sotto il braccio, ed il sorriso malcelato di profonda soddisfazione perché ha riconosciuto il brano. è la colonna sonora di Paradise, e ci va bene così. Ogni dove, qui, è paradiso.
Nell'ombra lunga della sua vita, una vecchina scivola fuori dal mercato, riprendendosi il suo odore, che s'era mescolato al banco della frutta con quello delle prime arance e dell'uva. Appena un poco più dolce, il suo. Certamente più maturo.
Meticolosamente mi immergo in questi universi distanti, fino a villa Celimontana; chissà da dove, vicino, giunge in anticipo il suono delle cornamuse, portando con se un presagio d'inverno. Lo si ode appena, e stranamente anche il gatto, percosso da un leggero brivido , esce dalla macchia di sole, e cortesemente s'avvicina. colmando col suo incedere assolutamente silenzioso tutto il tempo che m'è rimasto: m'appoggia una zampa sul grembo, come a chiedere il permesso prima di arrampicarvisi.
Rimane giusto il tempo di riprendersi quel calore che era venuto a mancare e mi lascia qui, stesa a consolare la lieve malinconia dell'abbandono al tepore del sole.
Volto la pagina e riguardo velocemente indietro. Ma si, è ancora autunno.

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