domenica, marzo 15

La migliore amica


Bisogna ammetterlo. Sono una di quelle persone che sono rimaste deluse, offese, incantate, e non necessariamente in quest'ordine, dalle altre. Affascinate, innamorate, tradite.
Ho creduto, fino all'ultimo, ogni volta, che fosse la persona giusta; quella che rimane senza deluderti mai. Per sempre.
Per l'appunto, come un cuore di plastica con scritto ti amo, alla fine il tutto si è sempre sgonfiato; quando i primi innamoramenti passano mi sono trovata per anni con persone, attorno, che non potevi dire propriamente amici, e neppure semplici conoscenze.
Arrivi a questo punto, o una parte di te crede che le cose siano così, e non ti aspetti più niente. Quando va bene la prendi con gioia; quando non ti senti amato, compreso, rispettato...
hai iniziato a saperlo da tempo. Le persone sono così.
Le guardi un po' in cagnesco, poi ci fai una risata amara e salutare come uno sciroppo, e mantieni il vento in poppa a quel senso di solitudine che ci accompagna, alla fine per tutta la regata.
Probabilmente anche io sono così; nel viaggio incessante (che qualcuno può trovare banale, ma allora lo aspetto per via) per "trovare me stessa", ad ogni curva scopro un difetto. Un sasso sul sentiero, che mi fa inciampare; uno scorcio fantastico... ma contro sole, per cui non ne riesco a scorgere tutti i particolari, e resto lì a cantarmela, con qualche cosa di inappagato al margine del campo visivo.

Va bene, mi dico. E' parte della vita.
Quindi oggi mi trovo accucciata a riflettere e metabolizzare, dopo aver smaltito una buona parte di tossine nel primo giro in bici dell'anno, le ultime insoddisfazioni; sono in precario equilibrio su un vecchio tronco d'albero abbattuto di quattro metri, senza corteccia e tutto pieno di buchi , umido, nel lato che non espone mai al sole, e condivido il piano di seduta e le riflessioni cupe con un mio collega. Vorrei dire amico, ma lui è come me, per questo. C'è, e c'è stato tantissimo, quando ero debole e malata, ma ad un certo punto ci siamo smarriti nelle ore lavorative, nelle cene che saltano per indisposizione (fisica o psicologica), nel sole freddo dell'inverno pieno, quando non mi riesce proprio di inforcare biciblu e andare a prender freddo per strada.
Così siamo mezzo e mezzo. Più che conoscenti o colleghi, in realtà, e un po' meno che amici. Forse...

La giornata infatti, dopo quella cuoremiotriste di ieri, è di quelle in cui il sole fa capolino alterno e altero dietro le nuvole. Credi che pioverà, invece, passato uno degli ultimi archi dell'acquedotto, scopri che è davvero caldo, e ti rotoli infantilmente nella sua scia, infilando il sentiero più disconnesso, pur di restarci.
Metafora.
Si, perché in uno di questi acquerelli dipinti senza contorno netto, da giorno umido e silenzioso in cui emergono cadaveri nello stagno del pensiero, affioraimprovvisa la rassicurante mano di qualcuno che chissà perchè si dimentica, quando si attraversano i momenti grigi.

(ma tu guarda che ostinata, è la coscienza, a volersi deprimere)!

E ricordo le mani, e tutti i particolari che non vengono in fotografia; il profumo, la vertigine delle chiacchiere fino a notte fonda, lo squillo del telefono proprio quando ti dichiari così a terra da non voler sentire nessuno, scambiarsi i vestiti, e i libri e le sensazioni senza cui non sei mai...
Ricordo perché li ho, e li ho avuti.
Nelle due facce, o dieci, dell'unica cosa che conta davvero nella vita: l'amore, comunque si manifesti.
Unica faccia di centomila, ci posso riempire una altra vita per raccontarlo, ma non oggi, non qui.
Oggi, ancora, scrivo per infiggere le sue dita nella memoria. Per ascoltarne la voce che parla di lontano. Per rattoppare le sue ferite, quando ne sente bisogno.

Scrivo perché sono così fortunata e felice: la mia migliore amica sono due; hanno volti diversi, storie inconciliabili, un solo incontro fugace.
Scrivo perché la mia amica è il mio collega della bici, che è più che un collega e meno di un amico, e soprattutto è l'amico che mi abbraccia quando arrivo da lui per un caffè, e non so parlar d'altro che della tristezza che mi solca il cuore. Quello che è stato con me, biscottini e acqua e si è portato a casa tutte le mie cose, quella sera d'ospedale in cui mi si è spezzata la vita; ed è qui ora, che tutti i frammenti graffiano dispersi e con fare inelegante il pavimento. Perché c'è sempre quell'ultima scheggia di vetro, quando si frantumano i bicchieri infrangibili, che continua a venir fuori dopo anni...

E dopo anni in cui non sogno più cose irraggiungibili, ho le vele ingombre d'un vento solleticante e sicuro, che mi ha riportato, per tutto il tempo che possiamo avere, l'amica nel cuore.
Il sentimento d'amicizia, che scivola fuori dalle nuvole, ed è dolce come una violetta di zucchero.

5 commenti:

UIFPW08 ha detto...

piu leggo e più rimango meravigliato
quando le ore passano dal cuore..restiamo a sognare..

Lila ha detto...

... con un sorriso invitto...

Federico Distefano ha detto...

Non perdere mai la speranza nella gente, tra di loro c'è sempre qualcuno che ti sorprenderà positivamente (o negativamente) e non bisogna cessare di cercare.
:)
Ciao e buona giornata!

P.S.= Il paragone con i "cuori di plastica" è davvero azzeccato...

Emma ha detto...

Invidio la capacità che hai di esprimere i tuoi sentimenti. Io non ci riesco. Non più.

Lila ha detto...

@ Federico: la speranza assomiglia a me, quando ero piccola: volevo fare da sola e finivo sempre col smarirre la mamma.. :))

@ Emma
grazie, e benvenuta!
a me sembra che tu riesca ad esprimerti attraverso il disegno molto bene.
E il tuo "non più"?
magari la scrittura è per te quello che è per me il disegno: un po' inferma, e quindi spesso assente perchè in convalescenza.
;)