Secondo anno, secondo week-end:
"errare è umano... "
Questa volta, mi dico, vado preparata. Bisogna sempre esserlo, ma talvolta, dimentichi delle incertezze a cui l'esperienza ci sottopone, pensiamo di avere tutto sotto controllo, salvo inciampare delusi sulle imprecisioni dei nostri piani, sulle sorprese e i particolari nascosti che la vita riserva ai nostri desideri.
Preparo la miscela del the con pazienza, temperanza, umiltà ed attenzione.
Speriamo che basti.
Piego e appoggio sul ripiano delle cose da fare i progetti e le aspettative precise, e mentre discendo nell'Averno (il passagggio necessario in garage può diventare un serio momento introspettivo) come ultima occhiata allo specchio prendo atto del fatto che c'è un posto, dentro di me, che vorrebbe riempirsi d'un moto d'affetto (mentre vige l'assenza di voglia di rivedere alcuno dei compagni di corso) e di un raggio di sole che invece batte ostinato sull'altro lato del lago, quello che, alla faccia dell'equanimità arrotolata sul collo assieme alla sciarpa, continuo a preferire.
Scaldata dai pensieri che si sono affollati sui sedili della macchina, arrivo comunque sorridendo e saluto qualcuno con quei baci silenziosi lanciati nel vento, una mano su una spalla, quei come stai al quale non sempre si risponde; quasi che l'internazionalità dell'insegnante olandese ci avesse fatto adottare l'inglesismo formale dell'Howareyou?, al quale si risponde con un Howareyou? (da piccola mi chiedevo come potesse poi andare avanti la conversazione se nessuno davvero si rispondeva; a volte immaginavo interminabili scambi della stessa frase, interrotti solo da treni di sbadigli, altrettanto contagiosi), senza necessità di continuare.
Figurati: - come stai?
- come stai?
Auf wiedersehen (arrivederci).
Sarà, ma le parole per me hanno una certa importanza, comportando un certo uso d'energia, e quando chiedo a qualcuno come sta mi interessa davvero la risposta; ma bisogna rassegnarsi.
Al termine del primo giorno si può osservare qualche lieve cambiamento, al quale, consona allo spirito indossato uscendo di casa, mi adatto.
Ci sono ancora, ed è giusto, alcune persone che cercando il compagno per la pratica se vedono qualcuno (uno a caso, graziosa ma un po' asociale ... tipo me) che sta altresì da solo, cercano altrove; fingono di non averti visto, sollevano la testa inseguendo l'onnipresente mosca, guardano nella borsa, vanno in bagno e allla fine chiedono a qualcun altro... E' capitato anche con Elle, che pure cerdevo un tipo a posto; uno simpatico.. un po' troppo, forse. Uno di quelli che non dice cara e bella, ma conosce tutti i nomi e se non ha una conversazione molto profonda, almeno è sempre sorridente e gentile.

Anche Lila è gentile, ma un po' meno del solito. Sorride, ma un po' meno del solito. Perchè stamattina, indossando l'abito ancora stretto del non desiderare e non volere, cercando un CD ha scoperto nel cruscotto, sotto il libretto dell'auto, prorpio in fondo al cassetto, un pensiero che non s'era fatto sentire, prima, e che ispira una desolante serenità: non si può piacere sempre a tutti.
Tuttavia a qualcuno si; dopo la pausa pranzo il posto accanto, quello solitamente vuoto, lo trovo occupato da uno dei cinque Emme: quello alto che di solito prendono tutti in giro perchè fa un sacco di domande.
Lo accolgo cercando di ignorare il sospetto che gli sia solo comodo per via della telecamera, e scopro che è una persona attenta ed affettuosa, uno che quando prova, tratta anche, come fa Lila; che con-divide e non compete. Mi piace, ma comunque mi tengo ancora un po' nel cerchio interno dell'anello di turchese, indossato a protezione dell'esternità spinosa che non voglio che mi sfugga, pur mentre cerco di modellarmi e ritrovare quella che sono; torno a casa con una pacata irrequietezza.
... dare la colpa agli altri molto di più..
La mattina seguente scendo al lago per sgranchire le membra intorpidite, bevo un caffè frustato dal vento di tramontana e osservo, che, sole o meno, anche da questa parte del lago gli abitanti hanno un certo non so che, che me li fa sentire vicini.
Quella silenziosità indecisa che ha il lago agitato dal vento; quella profondità non necessariamente limpida, del cratere ingombro d'acqua.

Quel profilo che ti mostrano senza lasciarti vedere l'altra metà. come se ci tenessero a riservarsi l'interezza solo per incidentali passaggi dinanzi allo specchio, o per la ristretta cerchia (due o uno solo) di amici veri. Quelli che ci sono finchè ci sono, ma sono sé e te.
Attribuisco all'influenza ambientale la mia residua asocialità,, forse alla fin fine sana quanto l'aria pregna d'erba e sterco di cavallo; e mantenendo a fermare l'anello un po' largo, saldamente piantato all'anulare, il coraggio di sbagliare, all'ultimo giorno mi concedo un abbraccio stretto e qualche vero saluto, lasciando svaporare nel bicchiere l'ultimo the; quello un po' amaro che, mi sono accorta troppo tardi, avevo preparato con spirito di competizione, superbia, vecchi ricordi e disillusioni.
E proprio prima di coricarsi verso il mare, e lasciarmi di nuovo sul lato in ombra di me, un raggio di sole sospinto dal sussurro del lago, mi risistema l'equanimità sotto la sciarpa.