Capita che ci si sorprenda ad essere stati talmente dentro ad una azione da non avere altro pensiero, altra azione se non quella stessa.. e ciò nonostante il mondo circostante non ha smesso di esistere, è entrato a far parte dell’azione stessa, come è al di là della nostra percezione ordinaria.
Quel momento che non riconosciamo che dopo, e forse mai, è meditazione.
Nonostante si possa pensare che sia facile tuttavia molti non riescono neppure con anni di allenamento ad ottenerne un istante, ma non smettono di provare; è l’Opera, che può essere lunghissima.. ma la Pietra si fa in un istante.
Ma torniamo alla meditazione. Nel momento in cui si medita siamo totalmente, compiutamente, perfettamente ciò che siamo; il perché delle cose sparisce, come un velo, e rimane solo la cosa in Sé. Resta il “cosa è” dell’esperienza, e il “cosa non è”1.
La causa cercata dalla mente (“perché?”), e pertanto incompleta, spesso non ha importanza da un punto di vista dell’esperienza, perché a livello razionale la risposta non c’è. Non è univoca, quanto meno. Quando ci permettiamo una esperienza, senza il giudizio del positivo e negativo, senza il confronto con altre precedenti2 con il pensiero silenzioso e l’osservatore semplicemente attento… ebbene questa è meditazione.
Quindi alcuni possono voler coscientemente sperimentare la meditazione, ponendosi in “situazioni facilitate”. Poco rumore, ambiente tranquillo, e forse un mantra3 o un oggetto su cui “concentrarsi”4. Ecco qua, ci proviamo, ma mica si può stare lì a guardarsi l’ombelico per tre giorni?! Così si stabilisce un tempo. Già che sia stabilito, c’è qualcosa che non va. Non corrisponde alla vita, ma facciamo finta di si, perché qualche cultura sostiene che abbiamo un numero definito di battiti cardiaci, o di respiri, o di “tempo” già decisi. Non da noi. Qui lo decidiamo noi, sicchè già la mente si condiziona: “accidenti ho solo 20 minuti devo assolutamente riuscire questa volta, perché ieri sono stato tutto il tempo a pensare che dovevo…” e così si innesca il pensiero… e chissà se e quando si cheta. Tuttavia a volte mantenendosi desti, riportando l’attenzione sul silenzio, o sul mantra (che possiamo avere continuato a ripetere per tutto il tempo in cui la mente ha chiacchierato), ad un certo punto tutto diventa perfetto. O meglio tempo e spazio svaniscono, non ha importanza come e quanto “manca” alla fine, o perché siamo lì a fare questa cosa. Resta solo “cosa” e… “chi”. Sono lì. Totalmente.
“il suono di una campana senza batocchio. Rintocco. Rintocco. Rintocco”.(Lila)
Suona il timer. Il tempo è finito, come in un sogno, l’attimo in cui hai meditato è sparso in qualche punto di quel tempo che non è esistito, o forse è stato proprio l’ultimo istante (facciamo che sia così), e qui sei morto.
Un attimo prima eri la mente, un attimo solo di silenzio e sei morto.
La vita riprende come prima. Ti rimetti addosso gli abiti e le abitudini, il tempo ed i perché, ma qualcosa in te resta in quello spazio dove qualche “cosa” è stato. La meditazione, quando avviene è una esperienza di morte. Pulita, economica anche, e forse non fa paura. O forse si. Soprattutto se succede, dopo che è già successo. Perché senti che qualche cosa di “io” va irrimediabilmente perduto. Ma, per giungere al punto, spesso lo spazio meditativo si perfeziona dopo un po’ di tempo di meditazione, e può accadere che nel passaggio la persona sia vigile, attenta, consapevole. Questo allenta la paura della morte: e anche nella vita, se si vive così, attenti. Poiché senza impedirci di vivere, anzi viceversa, non ci si attacca all’esperienza, che è nuova ogni volta. Ci si può rinnovare ogni volta, cercando (trovando) quel momento perfetto nella vita di sempre, dove non è a nostra conoscenza quando suona il timer e tutto è finito, e, se hai permesso alla mente di chiacchierare e perdersi dietro se stessa hai perso l’occasione, e basta. Hai perso i 30 minuti in cui volevi meditare, perché hai pensato al notaio, al lavoro ai figli.. al “perché tizio mi ha detto così”, “perché” sono tanto infelice, “perchè”siamo qui, si nasce, si muore si piange si ride… “perché”?
Se hai perso 30 minuti non importa. Penso che importi se occupo tutta una vita così, lasciandomi occupare da tutto questo, senza invece occuparmi di vivere quello che sto vivendo5.. perfettamente, lavorando su me stesso (comunque!) per sentire cosa sono, cosa esperisco, cosa cambia se cambio qualcosa nel mio atteggiamento riguardo al mondo, chi sono…

Qualcun altro per toglierci le remore del perché, e la paura di lasciare questa vita e queste esperienze, sentimenti, il senso di indispensabilità, il sacrosanto (quanto inutile) diritto di pensare che avrei potuto o dovuto fare di più (e facciamolo ‘sto “di più”, invece di ripensarci dopo!) ha detto:
"ecco una prova per vedere se la tua missione sulla terra è compiuta:se sei vivo non lo è".
1 In genere si riferisce il “cosa non è” al Sé, che non possiamo definire. Qui vorrei parlare di vita ed esperienza ed essere, quindi del “cosa è”.
2 A fare attenzione ci si può accorgere che spesso compariamo le esperienze con altre vissute o immaginate e questo ci distoglie dall’esperienza stessa!
3 Il mantra ha una sua valenza per stimolare determinati stati d’essere, ma non è indispensabile.
4 Mi attengo a questo vocabolo impreciso per semplicità.
5 C’è qualcosa dello zen in questo. All’allievo che gli chiedeva di insegnargli il maestro disse: “hai mangiato?” “si” “allora va a lavare la ciotola”.