sabato, aprile 7

Rami d giuda

Raccolgo le mie cose; con un lieve tremito; iniziando dal rimettere in piedi e allo specchio, quelle quattro ossa che s'erano tenute insieme sulla direzione apparente del legame che tessevamo fra noi; adesso tendono di nuovo a fuggire una dall'altra.

Riesco ad imprimergli un moto centripeto attraverso un esercizio attento di ricordi, che le richiami verso il cuore, come quando nascevo, quella prima volta. E che restituisca al mio cuore amnesico, i motivi della fuga; l così da consentirgli d'andarsene di nuovo via da me per farsi più grande, senza fracassarsi come un bicchiere a terra, che lascia vino o sangue sparsi senza soluzione.

Riesco ad imprimergli un moto centrifugo meno lacerante, con dei piccoli trattenimenti di fiato mentre in espirazione, seguo il timido vagare degli occhi verso altri spazi, oltre il tavolo verso un altro viso, alla ricerca della via di uscita dal cunicolo che separa la porta sorpassata, dalla prossima aperta. Ipotesi di verde sulle colline, di grotte inesplorate, del roco sussurro del mare sui piedi.

Riesco ad imprimergli un moto centrifugo con un lieve punto di dolore, una pizzicata, mentre mi pettino i capelli per uscire allontanandoli dalla testa dove si erano arruffati in attesa di un soffio appassionante che non è mai tornato. I capelli sai, non li scompiglia il vento. Se no, come ti spieghi quelle volte che sono restati in ordine nel fortunale? I capelli giocano con le alitate impreviste, con quello scherzo di maestrale o di caldo scirocco, allenati ai balzi traditori di una piega rigida che non mi appartiene, dall'arrotolarseli alle dita o dal nascondersi dietro un orecchino; scivolo nel ponentino aspettandomi che si ingarbuglino di nuovo per giocare come quando sono felice; e oggi che li pensavo vergognosamente lisci e allineati, stanno già di nuovo accoccolandosi verso il capo, per tentare un salto laterale, che mi lasci almeno una carezza di emozione.

Riesco a calibrare i moti riaprendo la porta della mia casa dove non ci sono inferriate per canarini e le finestre sono sempre aperte perchè il vento suggerisca giochi ai capelli, ci sei stato, una volta, ma quel che vi resta di te è quel che ho inventato da mangiare insieme, e tu non sei più tornato ad assaggiare il riso.
Abbiamo lasciato al ristorante, piegato in un tovagliolo inamidato, l'ultimo saluto, ma almeno, mi dico, non devo lavare i piatti.

Contemplo un'ultima volta la nostra casa costruita male, con i muri nelle stanze, e senza vento, e mi infilo una giacca per andare coprendomi il collo perché il caldo ne dissipi i nodi, e lasciandomi senza cappello.
Getto le ultime parole, calandole dalle tasche nei cassoni che contengono vetro e pezzi d'anima sporchi di vino, e vado via, accentrata e centrifuga da questo tempo. Sperando di cogliere presto sulle tranquille colline che ho attorno, un un tradimento del verde: rami di giuda!
Un rosa, quasi rosso.








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2 commenti:

Madama Dorè ha detto...

Una porta si chiude e una porta si apre...spero che ti porti verso la felicità che aspetti... ma guarda le cose belle della tua vita e pensa che non sempre la felicità è dove noi pensiamo che sia.Un abbraccio affettuoso.

Lila ha detto...

La felicità, Madama DOrè, è nel fiore dei sette colori, nel giardinoi di casa alla fine dell'arcobaleno. Sembra un labirinto :-) ma a dire il vero, è solo dentro di noi. Come viviamo le cose..
un abbraccio affettuoso a te e tanti auguri!