A dirla tutta è da quando ho visto al cinema il meraviglioso film di Ponyo che penso questo post. O forse non proprio questo; all'inizio intendevo solo lanciarmi in una sorta di critica, raccontando la magia e la musica (colonna sonora italiana a parte e biasimevole nella traduzione, ahimè) che il film mi ha fatto nascere dentro. Poi quelle parole sono rimaste sulle pareti del cuore, e mentre le osservavo, ogni tanto, come faccio con le pareti spoglie e colorate di casa mia, ecco che mi sono seduta di fronte al mare.
Il caldo ha fatto ammassare, tra una corrente e l'altra, un imponente cumulonembo nero, che addensa le onde e gli dona, nell'ora che precede il tramonto, un aspetto corrucciato. Non è abbastanza caldo per scoprirsi, così resto seduta e inizio a respirare.
E respiro, fino a sentire l'odore del mare, dei pesci, della sabbia, del legno su cui siedo a respirare.
Odo l'odore, mentre il respiro si spande e mi scalda. Appena uno spiraglio fra gli occhi, o forse è un sogno di meditante imperfetta, e vedo ergersi una cresta d'onda che, nella calma apparente, acquista l'aspetto di un immenso cavallone...
(inspiro) e la mente scivola di lato: immagina di essere Ponyo che corre sull'acqua; sa perfino che effetto faccia ai piedini toccare appena appena la superficie, volare quasi tra una gigantesca ondata e l'altra....
(inspiro: ma come, ancora?)
Ponyo cambia da pesce a gallina, a bambina... Lila cambia e se non cambia sale e scende, tra cielo e terra, indecisa su quale sia il mondo a cui appartenere. Il modo di riapparire. L'apparenza da ricucire.
(inspiro; di nuovo. Ma l'aria non esce più?)
Sorpresa, mi sospendo nella sensazione di calore, della luce che muta; la nube deve essere passata, perché il sole torna ad incidersi sulla pelle. Tiepido di tramonto.
Di certo il mare è già di color metallo liquido, di là dalla barriera delle palpebre.
Espiro.
Inspiro.
Espiro...
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