domenica, dicembre 28

S.Lorenzo

L'alito di freddo s'infila nelle maniche della giacca. Inutile stringerle con le dita, resta sempre un pertugio perfino tra la lana dei guanti, per lasciar passare la vita che si trasforma.
Dentro il ristorante, allora, per scaldare il corpo partendo dallo stomaco, lì appena sotto il cuore. Dove a volte si forma una voragine che raccoglie tutto quel vento freddo, e se lo tiene dentro in qualche modo. Lasciando che scavi cunicoli devastanti nella solitudine di qualche sera.
Sul tavolino di fianco, la tazza del caffè mostra un fondo di zucchero non consumato. L'uomo di fronte pasticcia svogliato con il dolce, sembra di quelli che crede che la vita sia tanto amara, che un cucchiaino di zucchero, cancellando graffio avaro di cedimenti stucchevoli del caffè, la renda diversa. Guarda la donna dinanzi a , nascondendo un sentimento fra le trecce del maglione scuro, e alita il suo scontento al sapore di zucchero; le parole hanno un velo di insistenza che perfino da qui lo rende sgraziato, e sgradevole.
Lei ha trent'anni di meno, e la zona del locale fa credere ad un professore, che inventata una scusa a casa, si sa all'università c'è sempre da fare, sia uscito con l'allieva. Non consenziente, a leggere l'amaro che non si cela neppure con la crema catalana, che lui finisce con fare mesto. Paga il conto, mentre due turisti subentrano ridendo, il naso arrossato e le mani rigide dal freddo, completamente assorbiti dalle fantasie su quello che hanno visto oggi, dal fascino del locale (all'apparenza) romanesco; che i romani frequentano perché si mangia una buona fiorentina. Idiosincrasie della città più bella del mondo. Sei qui, e vorresti essere altrove. Come tutta una vita passata ad inseguire un sogno e un desiderio che non si placa mai perché si realizza quando già stai desiderando altro.

C
appotti si affrettano a rivestire la spalliera delle sedie di legno, cappotti spogliano gli appendiabiti e riprendono il loro posto sulle spalle, a chiudere su quella caverna che sta appena sopra lo stomaco, e che non si è affatto vuotata di gelo. Nè si è riempita col cibo.
Lei, rinchiusa nelle braccia si arrotola la fretta nella sciarpa, come a impedirsi la fuga. Poi li perdo.
E sono fuori dai miei pensieri, che si ordinano come il menù, in sottoinsiemi ordinati.
Anche oggi, se ne è andato.

4 commenti:

Federico Distefano ha detto...

Mi sono accorto per caso del doppio post, un momento prima di uscire.
Ciao e buona giornata!!!!

Mobu ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Lila ha detto...

@Federico grazie, e a questo punto...buon anno!
@ Ranghos :) Grazie!!! che bello.

la solitudine espansa
si contrae
su se stessa.
Chissà se è stella
dalle mille vite,
o forse un gatto
che ne ha solo nove?
Un piccolo barlume
ne segna il permanere.
Qualcosa di noi
resta sempre solo.

Mobu ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.