giovedì, novembre 12

il vuoto dentro

La signora PiEmme è stesa sul lettino, col suo braccio gonfio così, a seguito dell'intervento al seno. Può succedere. Le maglie dei tessuti si stringono per le cicatrici, più quelle dell'anima che quelle del corpo, forse; i linfonodi che giacciono in qualche discarica, estratti malati e gettati dove non possono più nuocere, carichi di cellule maligne come pistole a tempo non ci sono più a far pulizia.
Passi qualche giorno, qualche mese o anno, e poi tac, la bomba esplode. La bomba, si, non la pistola scaricata per fortuna. E il braccio si gonfia, e sei qui sul mio lettino per il linfodrenaggio, che ti aiuterà a ridurre le dimensioni del dolore; le conseguenze del dolore.
Si, perchè spesso, forse sempre, dice la ricerca il tumore e per certo quello al seno sopravviene a seguito di un lutto.
Non mi costa niente. Sto là con le parole in mano, mentre seguo il ritmo del massaggio, e ci infilo l'osservazione tanto per vedere come reagisce PiEmme.

"si, ma allora io l'ho avuto" (il lutto), mi dice con gli occhi più grandi del solito. Occhi che hanno occupato la vita di prima prendendosi cura dei figli, che poi se ne sono andati (sposati a stretto giro, l'uno e l'altro) e lei ha sofferto come una morte; occhi che oggi sono qui a guardare ed a cercare qualcuno che se ne prenda cura, anch se non potrò garantire che tutto andrà a posto.
"ah", concischio, per trovare la domanda giusta. "cosa ha provato quando se ne sono andati?"
"il vuoto. dentro".

Lo dice, lo giuro, a lettere minuscole ma per un po', mentre mi racconta che poi è venuta la malattia che le ha occupato completamente la vita, sento la sproporzione tra la piccolezza di un essere infinito come una madre, e quel vuoto spalancatosi con la percezione di inservibilità.

La storia,in questo caso, direi che potrebbe finire anche bene. La signora col tempo ha trovato gioia e appagamento nella pesca, assieme al marito. Ha trovato che in fondo, anche se non sa ancora come e cosa, qualcosa da fare deve averla ancora, se poi guarirà.
"quando"  suggerisco io. Ottimista.

La riflessione scatta a seguito, come se rivedessi la foto impressionante, quella del vuoto. Il dolore devastante della scomparsa di un sintomo, quello che fa sentire vivo chi si dedica completamente ad un ideale, ad un figlio o due, al lavoro, supponendo che sia lì tutta l'esistenza.
PiEmme, oltre a qualche cellulina virata e fastidiosa, in realtà ha in se già anche quelle della guarigione. Qualcun'altra l'ho incontrata che non ce l'ha fatta. Qualcuno ha sofferto, forse anche mia madre quando io e mio fratello riportati a Roma dallo studio ce ne andammo di casa; ma ce l'ha fatta senza... farsene una malattia.

Oggi non ho risposte, per tutto questo. osservo solo la prospettiva del vuoto, che si spalanca ad ogni lutto della vita; e mi sembra che possa racchiudere una infinita possibilità.



(Imprecisa perchè non sofferente... spero di non sembrare semplicistica)

6 commenti:

Gianna ha detto...

Quanta sofferenza...
Avere qualcuno che ti aiuti psicologicamente è fondamentale per una ripresa rapida.

UIFPW08 ha detto...

La forza è cio che ci rimane per reagire, per superare, per scapppare..

Lila ha detto...

cara stella, hai davvero ragione. Purtroppo spesso queste donne non accettano aiuto psicologico competente, forse inconsciamente sapendo che dovebbero affrontare demoni più brutti della malattia!

@ maurizio
se ne potesse bere un po' come la porzione di Asterix!!

il mio nome è mai più ha detto...

Questo tuo post mi ha richiamato in mente tante cose: il braccio di una zia in primis, diventato uno zampone dopo una mastectomia radicale.
E poi tutte le considerazioni che comporta il lutto inteso come distacco, rottura o morte.
Mi aiuta il fatto di non essere costituzionalmente capace di pensare al domani, perchè, se me lo prefigurassi per come sarà, potrei ammalarmi anche domani.
Dieci anni intensi in cui ho visto finire legalmente il mio matrimonio (gli anni diventano di più se considero i conflitti familiari), il dolore di essere rimasta sola con un bambino, l'incontro inatteso con un uomo che mi aveva regalato la gioia più pura e che, altrettanto repentinamente, me l'ha tolta, la recente malattia di mio padre, mio figlio che ha 17 anni e che fra due andrà via di casa.
La mia solitudine interiore, che a volte è talmente assoluta da farmi venire voglia di infilarmi nel letto, coperta fino alle orecchie, o di prendere l'auto e scappare.
Devo vivere alla giornata, Lila. A volte non riuscire ad immaginare il futuro è una benedizione.
Scusa il papello. :-S
Abbraccio.

Lila ha detto...

@ enne
forse sarei io, a dover chiedere scusa. Mi tocca più di quanto possa sembrare, tutto questo dolore.
Un abbraccio forte

Anna Righeblu ha detto...

Stella ha già scritto anche il "mio" commento...

un abbraccio