mercoledì, dicembre 3


Naturalmente, la mattina si è fatta più fredda; la mano non trema, ma l'indice è irrigidito dall'attesa di poter scattare, senza che le auto si infilino rombando nella foto. Devo attendere a lungo; perdo un attimo buono, perché il dito fatica ad abbassarsi con la giusta pressione sul tasto dello scatto; ma se la foto, colorata di queste imprecisioni, non ha l'esatta inquadratura dell'altra volta, il posto è lo stesso.
E allo stesso modo, quando percorro questo viale mi manca il fiato. I pensieri arrancano cercando di uscire allo scoperto, poi si ritraggono sconfitti. Infatti devo attendere, perché si facciano vivi. Perché si possano arrangiare in parole le sensazioni inquadrate tra le foglie cadute, e il fiato grosso di freddo.
Non so, ma questo ingresso ha qualcosa di magico. Come una porta su qualche altro spazio.
é il confine tra quello che ero prima, e quello che sono quando ritorno.

Nuovo week end di corso alla scuola per giovani maghi, a Bracciano. E questa volta, non sai mai cosa si finisca con il conoscere quando inizi il viaggio, le chiacchiere parassite dell'apprendimento accademico hanno portato verso l'alimentazione, e verso la filosofia dell'autoconoscenza.
"Non c'è nessuna guarigione staccata dalla trasformazione di " (Rovati), avevo già appuntato... poi un'altra cosa, piccola: quando si studia il particolare si rischia di perdere di vista la Verità, che è globale. Che è Una.
Queste osservazioni, rispuntate all'alba del secondo giorno, quando si cominciava a prendere confidenza con il collega che insegnava stavolta, si sono manifestate martedì al lavoro; nel trattamento di una ragazza di quattordici anni, con grave scoliosi.
Le ho chiesto di dirmi come si sentiva appoggiata, se mi poteva descrivere l'impronta del corpo a terra. Ha detto che era tutto appoggiato (la zona dorso lombare non toccava minimamente) che non c'era nessuna differenza nella posizione delle gambe (una era quasi ruotata in dentro, l'altra era girata in fuori), e la sola piccola differenza era nell'appoggio delle scapole. Abbiamo cominciato da lì.
Dal particolare, si, quello che lei sentiva, e su cui concentra l'attenzione, per tornare al globale.
Dalla sensazione, locale, all'immagine reale. Piena.
Quanti di noi hanno conoscenza del proprio corpo? Se in questo momento siete seduti e vi chiedessi di alzarvi...(fatelo se vi va)...
e poi vi chiedessi di descrivere esttamente come eravate seduti?
Sentite ancora l'appoggio dei glutei sulla sedia?
Sapreste dire quale dei due poggiava maggiormente? Ricordate;.
Esperite ancora la pressione, l'immagine di quello che era?
Provate a sedervi di nuovo, ora, e se volete, fate più attenzione.
Alzatevi ancora.
Ma la schiena stava appoggiando? Riuscite da in piedi a sentire ancora quella sensazione?
Se alzate un braccio e poi lo abbassate, sapete riprodurre mentalmente la direzione, la pressione del movimento, la sensazione di tensione sotto ascellare quando il braccio è alla massima elevazione?
Il nostro cervello attiva le stesse aree motorie, sia quando si fa un movimento che quando lo si immagina. Entrambe le cose sono quindi vere, perché riproducibili. Quindi il fatto che ci si possa ingannare, che si possa 'sentire' la coltellata tra le scapole che vi hanno dato, l'abbraccio virtuale di un amico, l'attimo di sospensione del fiato quando si varca una soglia... per il cervello e per la mente sono reali.
Non sto parlando di Verità, anche se quello che dico è vero, ma di realtà. La percezione di reale rispetto a qualcosa che viene creato dalla mente, in base al suo vissuto. Per capirsi: "quando ci si scotta con l'acqua calda, si ha paura anche di quella fredda" direbbe il proverbio.
Così la mente, così il corpo. Così il cuore.
Ma del ricordo si sa come è, non come fu. Quindiha valore sostenere che possa essere reinterpretato. Compreso. Ricostruito fornendogli un'altra valenza.

Il mio cuore si sospende, quando varco quella soglia d'alberi. Al di là c'è una curva, dove scompare la scia di quello che era; ogni volta che scavalco quel limite, immagino che tutto quanto quello che era non sia più. Provo a togliere uno strato, come se mi sfilassi un maglione. Provo a lasciare un filo tirato, legato al punto in cui mi fermo per la foto, e vado avanti, lasciando che si tiri, che disfi pian piano quella maglia pesante dell'esperienza.
Questa che sto vivendo, è un'altra possibilità. UN'altra vita, dopo la prima.
Un orizzonte libero da ogni aspettativa. E correndo con lo sguardo scopro un fiore tra piastrelle di cemento; un sorriso in un ricordo buio (prima che si dipani e dispaia); un punto d'appoggio che non sapevo più.

2 commenti:

Mobu ha detto...
Questo commento è stato eliminato dall'autore.
Lila ha detto...

Trovo una curva sul viso, nel ricordo e nell'assenza.
Trovo un sorriso nella presenza delle persone che mi sfiorano la vita.

Grazie di cuore.