sabato, febbraio 7
Cuore di cactus
Ebbene, il terzo week end Bracciano è colmo di nuvole nere, pioggia solerte che non trascura di chetarsi nell'attimo in cui ti metti al riparo, e ti riaccoglie nel ventre umido del mondo quando accenni la passeggiata sul lago.
La mattina, nei giorni di corso, esco sempre prestissimo, per avere la possibilità di seguire in silenzio la via che porta sulle sponde, inciampare in una foto, calpestare un po' d'erba. Gli odori dell'acqua e della terra mi spengono la testa, e se ho voluto accompagnare il mio collega, giovedì e venerdì, oggi il mio cuore di cactus si è ritratto un po' di più, lasciando solo le spine: gli ho detto che mi fermavo a dormire fuori, per non averlo con me in macchina.
(anche quando finisce la giornata ho bisogno di "decompressione").
Il mio collega, che ho convinto a seguire la mia stessa scuola di osteopatia, è un uomo tranquillo di cinquant'anni, un po' bigotto e di sinistra, simpatico ma vagamente conflittuale, nelle sue espressioni. Il mio insegnante, che è anche il mio osteopata, una volta mi ha detto, con tono sorpreso, che abbiamo due caratteri completamente diversi. Io penso, invece, che un po' ci assomigliamo; ma la mia voce in genere è aperta e forte, come la tramontana. Lui nelle rare volte in cui urla lo fa con una voce che sembra strozzarlo, come se allo stesso tempo cercasse d'impedire alle parole di uscire: è uno scirocco sabbioso d'estate. E altrimenti parla così piano che con la macchina in moto, e il finestrino aperto, si fatica ad udirlo. Però parla.
Come la tramontana che è implacabilmene gelida, e ti blocca il respiro nella pancia, a me la mattina piace spandermi in silenzio, allungarmi in solitudine verso la giornata testandone i meandri e raschiando il torpore dagli anfratti dell'anima; pulirmi il cuore dai residui non digeriti del giorno prima o della notte che, infilatasi nel mezzo, si trascina ancora in qualche angolo. Soprattutto quando devo passare tutto il giorno in mezzo ad un sacco di gente.
Lungo il lago, riparo nel mio cuore, e l'amore gli rallarga la visione; si spande, perché in questo periodo è in uno stato pieno di amore, e sorrido, solo per avvertire il fruscio della pelle sui denti. E corro, solo per sentire il sangue che affluisce sulle gote, infiammandole e incidendo negli occhi la luce del giorno.
Poi rientro nei ranghi, mi apparecchio il sorriso del buongiorno buongiorno e cerco di solidarizzare con questa classe che incontrerò per i prossimi cinque anni. Di cui, aihmè, finora non riesco a dire molto bene.
L'assistente con cui avevo discusso è sempre più pieno di sé; diverse persone fanno ancora finta di non averti visto, e se ti parlano lo fanno con un'aria supponente; se sembri intelligente vogliono esserlo di più, se ti tieni sotto tono credono che tu sia stupido, e non ti si filano proprio.
Tutti, proprio tutti, vorremmo essere trattati dal "mio" insegnante, che il mio collega chiama "olandese volante" col tono di disprezzo che usa (ormai lo conosco un po', lavoriamo insieme da anni) quando una persona gli incute rispetto.
Molti invece cominciano a sciogliersi un po' o forse, sempre meglio partire dal fatto che l'imperfetta visione sia la mia, sto iniziando ad abituarmi a loro...
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